T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 24-05-2011, n. 4629 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale di Roma in data 28 febbraio 2011 e depositato il successivo 18 marzo 2011 i ricorrenti, proprietari di un appartamento sito in Roma, impugnano la determinazione a demolire "una veranda con struttura in alluminio e vetri con grigliato ligneo esterno di mt. 1,50 X 4,00 circa adibita a lavanderia (lato cortile); una veranda con infissi in alluminio, priva di vetri di mt. 1,00X2,00 circa adibito a ripostiglio (Lato Via Nemea) entrambi di vecchia realizzazione", realizzate in assenza di titolo abilitativo.

2. Avverso tale provvedimento deducono:

1. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Carenza di pubblico interesse. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

Lamentano che lo stesso Comune, nella determinazione impugnata, definisce le due verande di vecchia realizzazione, sicchè si sarebbe dovuto motivare più congruamente in ordine all’interesse pubblico alla irrogazione della sanzione, come da giurisprudenza della sezione. Il Comune ha invece mancato del tutto sotto tale profilo, mentre le opere, come pure risulta dal provvedimento impugnato sono risalenti nel tempo essendo state realizzate nel corso degli anni settanta dai precedenti proprietari dell’unità immobiliare ed i ricorrenti hanno soltanto provveduto, al momento dell’acquisto (1988) ad eseguire delle opere di manutenzione straordinaria di dette strutture, in quanto oramai vetuste. Le opere sono inoltre di minima consistenza (6 mq e 3 mq su un terrazzo della superficie complessiva di ben 155 mq). Sostengono che l’inerzia del Comune ha ingenerato una situazione di consolidato affidamento, laddove sin dalla determinazione di sospensione dei lavori n. 1437 del 29 settembre 2009 era stata rilevata la vetustà delle opere in oggetto.

2. In subordine, violazione e falsa applicazione degli articoli 33 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 16 della L.R. Lazio n. 15/2008 in relazione agli articoli 3, comma 1 lett. e.6), 22 e 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed all’art. 19 della L.R. Lazio n. 15/2008. Eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti.

I ricorrenti sostengono che, fermo restando quanto opposto in precedenza, il provvedimento impugnato sarebbe comunque illegittimo, non rientrando le opere contestate nella categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui agli articoli 33 del D.P.R. n. 380 del 2001 e 16 della L.R. Lazio n. 15 del 2008. Lamentano che le verande sono di modestissime dimensioni e che in realtà costituiscono pertinenza dell’appartamento destinate come sono ad uso ripostiglio per i mobili del terrazzo e/o per le attrezzature della cucina, delle dimensioni rispettivamente di mq. 6 e mq. 3 a fronte di una superficie complessiva dell’appartamento pari a mq. 195 al netto della superficie del terrazzo di mq. 155 per un volume di mc. 585. Oppongono che le pertinenze, prima della entrata in vigore del Testo Unico sull’Edilizia, erano assoggettate ai sensi dell’art. 7 del D.L. n. 9/1982 convertito in L. n. 94/1982 a regime autorizzatorio ed erano perseguibili, in assenza di questa, con la sanzione pecuniaria. Con il Testo Unico invece sono subordinate a permesso a costruire ai sensi dell’art. 10 gli interventi che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale, mentre le altre pertinenze sono assoggettabili a DIA oppure, in assenza o in difformità dal titolo abilitativo, alle sanzioni pecuniarie previste dall’art. 37 commi 1 e 4 e non alla sanzione demolitoria. Nel caso in esame dunque trattandosi di pertinenze che non impegnano un volume superiore al 20% dell’appartamento di proprietà, gli interventi erano effettuabili tramite DIA o, in assenza, alla sanzione pecuniaria, ma giammai a quella demolitoria.

3. Concludono con la richiesta cautelare e per l’accoglimento del ricorso.

4. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, contrastando le due censure principalmente proposte e rassegnando conclusioni opposte a quelle dei ricorrenti.

5. Alla Camera di Consiglio del 31 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione in forma semplificata, avvertitene sul punto le parti costituite.

6. Ad essa il Collegio ha dovuto rilevare la sostanziale infondatezza del ricorso.

7. E’ vero, come sostengono i ricorrenti, che quando un manufatto risale indietro nel tempo l’Amministrazione è tenuta ad una motivazione perspicua delle ragioni di pubblico interesse che la muovono ad intervenire anche a distanza notevole di tempo dalla realizzazione del manufatto, ma come chiarito dalla sezione in altre analoghe occasioni la risalenza di una costruzione, se non è mai causa di esimente della responsabilità nel compimento di un’opera edilizia abusiva, può tuttavia costituirne una attenuazione, quando venga opportunamente provata ed esattamente, nella stessa sentenza citata in ricorso dagli interessati, tale dimostrazione viene fatta risalire a "prima dell’entrata in vigore della l. 6 agosto 1967 n. 765," in quanto "l’art. 10 della legge ha profondamente innovato, in materia di assensi edificatori, al previgente e meno restrittivo sistema di cui all’art. 31, l. 17 agosto 1942 n. 1150" (TAR Lazio, sezione I quater, 11 settembre 2009, n. 8590).

Quindi a meno di non fornire tale prova, la realizzazione di un qualsiasi manufatto, anche costituente esigua modificazione della sagoma e della volumetria dell’immobile cui si riferisce, comunque necessitava e necessita di idoneo titolo abilitativo sia esso concessione o autorizzazione a seconda dell’entità, delle dimensioni e del carico urbanistico impegnato.

Al riguardo deve essere pure rilevato che la realizzazione di un’opera abusiva costituisce comunque un illecito permanente, che si protrae nel tempo e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni (Consiglio di Stato, sezione IV, 16 aprile 2010, n. 2160), anche tacitamente formatesi, come la DIA. Ma mancando quest’ultima, per espressa ammissione di parte ricorrente, restano integrati gli estremi dell’illecito sanzionato dalla legge, proprio perché anche all’epoca in cui il manufatto si vuol far risalire (il 1977 o tutt’al più all’epoca del suo restauro il 1988) comunque era necessario un titolo autorizzatorio, la cui mancanza appunto produce la permanenza dell’illecito di cui sopra.

8. Ma non può essere condivisa neppure la seconda censura con la quale i ricorrenti rappresentano che data l’esiguità delle strutture restaurate (mq. 6 e mq. 3) rispetto alla volumetria dell’appartamento esse comunque erano inferiori al 20% della volumetria complessiva per il quale l’art. 10 del d.P.R. 6 giugno 2011 richiede il permesso a costruire ed erano, quindi, da qualificarsi come pertinenza; e se non è necessario il permesso a costruire basta una DIA, con la conseguenza che se questa manca o se il manufatto è in difformità, ai sensi del successivo art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001 l’Amministrazione può procedere alla irrogazione della sanzione pecuniaria.

Come rilevato dalla Cassazione, anche di recente, secondo una linea interpretativa seguita da tutti i Tribunali Amministrativi "La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: si deve trattare, invero, di un’opera – che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato – preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede." (Cassazione penale, sezione III, 24 marzo 2010, n. 24241), e nel caso in esame le due verande presentano tali caratteristiche.

Tuttavia è pure da rilevare che la circostanza per la quale i due manufatti siano posti a servizio della abitazione dei ricorrenti, non esonera gli interessati dal richiedere un idoneo titolo abilitativo, ma rileva esclusivamente al fine di stabilire quale sia il regime abilitativo in base al quale anche la realizzazione di una semplice pertinenza vada soggetto, posto che comunque sono sottoposti al permesso a costruire anche "gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici" ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001, laddove nel caso in esame l’esiguità dell’aumento di volumetria e la modificazione del prospetto dell’edificio dove sono situate le verande induce a ritenere la necessità della DIA.

Ma, come già accennato, i ricorrenti non hanno neppure presentato la DIA, sicchè, malgrado il riconoscimento da parte dell’Amministrazione comunale in ordine alla vetustà delle verande, il difetto di qualsivoglia titolo abilitativo impedisce di condividere le prospettate censure, dalle quali pertanto il provvedimento va ritenuto scevro, con conseguente reiezione del ricorso.

9. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti A.A. e M.V.A. al pagamento di Euro 1.000,00 per spese di giudizio ed onorari a favore di Roma Capitale.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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