Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 24-05-2011, n. 20546 Durata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

enerale Dott. SANTE SPINACI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. In data 6 luglio 2010 il Tribunale di Catanzaro, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ha respinto l’appello proposto da D. L.A. avverso l’ordinanza emessa il 13 gennaio 2010 dal G.i.p. dello stesso Tribunale, che aveva rigettato la richiesta di declaratoria della perdita di efficacia della misura cautelare della custodia in carcere allo stesso applicata per decorrenza dei termini di fase delle indagini preliminari, previa retrodatazione dei medesimi ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3. 1.1. Il provvedimento impugnato evidenziava le seguenti circostanze:

– con ordinanza in data 23 aprile 2008 il G.i.p. del Tribunale di Sala Consilina aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di D.L.A., in sede di convalida dell’arresto eseguito in suo danno il (OMISSIS), in relazione al delitto di concorso in detenzione illecita di 763 grammi di eroina;

– in seguito, con ordinanza del 14 dicembre 2009, emessa dal G.i.p. del Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale denominato "Pony Express", confermata in sede di riesame, D.L.A. era stato sottoposto ad altra misura cautelare della custodia in carcere, in relazione ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, per avere in più occasioni, antecedenti l’arresto avvenuto il (OMISSIS), detenuto e ceduto illecitamente sostanze stupefacenti e aver così partecipato ad associazione dedita al traffico delle dette sostanze, con l’incarico di recarsi a (OMISSIS) per l’approvvigionamento delle stesse da trasportare in Calabria e, quindi, smerciarle al dettaglio;

– con ordinanza del 13 gennaio 2010, il G.i.p. del Tribunale di Catanzaro aveva rigettato la richiesta di dichiarare la perdita di efficacia della seconda misura per decorrenza dei termini di fase delle indagini, previa retrodatazione degli effetti di detta misura all’arresto del (OMISSIS) avvenuto in (OMISSIS).

1.2. Il Tribunale di Catanzaro, pronunciandosi in sede di appello a seguito di detta ultima ordinanza, ha sottolineato l’insussistenza "da qualsiasi punto di vista" della violazione, nella specie, del divieto di contestazione a catena previsto dal codice di rito.

Il Tribunale, richiamati i precedenti e gli arresti giurisprudenziali in materia, e condotta un’analisi delle fattispecie, cui è applicabile l’istituto della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare disciplinato dall’art. 297 c.p.p., comma 3, individuate da questa Corte anche a S.U. con sentenze n. 21957 del 22 marzo 2005 e n. 14535 del 19 dicembre 2006 e dalla Corte cost. con sentenza n. 408 del 24 ottobre 2005, rilevava, in particolare, che:

– nella specie non poteva ritenersi operativa la contestazione a catena per difetto del requisito dell’anteriorità dei fatti all’emissione della prima ordinanza, atteso che il delitto associativo, di cui al capo 37) della rubrica dell’ordinanza cautelare del 14 dicembre 2009, era stato contestato come commesso dal dicembre 2007 con attualità delle condotte illecite, e quindi anche oltre l’emissione della prima ordinanza cautelare del 23 aprile 2008;

– tuttavia, anche all’esito dell’indagine sulla condotta delittuosa specifica e del rilievo che le azioni criminose in contestazione, e che avevano fondato l’ipotesi associativa contestata, erano antecedenti all’arresto del (OMISSIS), non poteva ritenersi operativa la contestazione a catena, perchè i fatti risultavano oggetto di distinti procedimenti penali e non ricorreva una connessione qualificata dal vincolo della continuazione tra il reato, che aveva portato all’arresto del D.L. in (OMISSIS), e il reato associativo, oggetto dell’ordinanza cautelare del 14 dicembre 2009, in difetto della prova della unicità del disegno criminoso;

– la circostanza che i procedimenti fossero diversi e pendenti dinanzi a diverse autorità procedenti comportava che i due procedimenti non potevano essere riuniti e la sequenza dei provvedimenti cautelari non dipendeva dalla scelta dell’autorità giudiziaria di ritardare la decorrenza della seconda misura;

– anche ritenendo la connessione qualificata tra i due procedimenti, non era in ogni caso, ravvisabile la violazione del divieto di contestazione a catena, atteso che la verifica della desumibilità dagli atti dei fatti – oggetto della seconda ordinanza del 14 dicembre 2009 – prima del rinvio a giudizio, disposto, per il fatto contestato con la prima ordinanza del 23 aprile 2008, con decreto, che aveva disposto il giudizio immediato, emesso dal G.i.p. di Sala Consilina il 17 settembre 2008, e della sussistenza per gli stessi di elementi tali da legittimare un provvedimento cautelare, consentiva di rilevare che gli elementi gravemente indiziari posti alla base della seconda ordinanza del 14 dicembre 2009, pur emergendo da conversazioni captate prima del decreto di giudizio immediato del 17 settembre 2008 emesso nel primo procedimento, erano stati raccolti e riepilogati in una "voluminosissima informativa" della P.G. del 5 settembre 2008, di pochi giorni antecedente il predetto decreto, con conseguente oggettiva impossibilità di valutazione della loro portata probatoria, in una lettura complessiva delle risultanze investigative, e di presentazione di istanza cautelare in data antecedente all’indicato decreto.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, avv. Salvatore Manna, D.L. A., che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale lamenta l’inosservanza dei principi contenuti nell’art. 297 c.p.p., comma 3, sul rilievo che il Tribunale, limitandosi a enunciare massime di giurisprudenza di questa Corte, ha omesso di adeguare i principi alla fattispecie concreta.

Il ricorrente, in particolare, deduce che è erronea l’affermazione del Tribunale secondo la quale mancherebbe il requisito dell’anteriorità dei fatti all’emissione della prima ordinanza, perchè l’argomentazione che il delitto associativo contestato dal dicembre 2007 sia proseguito fino a epoca successiva all’emissione della prima ordinanza del 23 aprile 2008 non poggia su dati concreti e obiettivi, nè dagli atti può ricavarsi che, dopo il suo arresto in (OMISSIS), egli abbia continuato a delinquere.

Il detto arresto, si rileva, è stato determinato dall’attività d’indagine condotta nel corso del procedimento, che ha portato all’ordinanza del 14 dicembre 2009, ed è stato l’ultimo atto d’indagine, essendosi a esso pervenuti per l’ascolto della conversazione telefonica nell’ambito dello stesso procedimento e non emergendo dal testo dell’ordinanza impugnata che l’attività delittuosa del ricorrente si sia protratta successivamente alla detta data.

Il fermo dell’autovettura a bordo della quale viaggiava il ricorrente nei pressi di (OMISSIS) in dipendenza dell’ascolto della conversazione telefonica nell’ambito dell’altro procedimento dimostra ancora, secondo la difesa, che già a quella data era possibile "desumere tutti i fatti contestati nell’ordinanza per cui oggi è ricorso", nella loro "completezza e interezza", senza che possa annettersi rilievo alle operazioni di sbobinamento delle conversazioni telefoniche.

Nè, secondo il ricorrente, è legittimamente escludibile il requisito della connessione qualificata tra i fatti oggetto delle due ordinanze cautelari, perchè con riferimento al reato associativo della seconda ordinanza vi è il medesimo fatto per cui è intervenuto l’arresto del (OMISSIS) e i reati di cui ai residui capi di imputazione sono stati commessi prima dello stesso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è palesemente infondato.

2. Questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 10/04/2007, Librato, Rv. 235911) ha ricostruito lo stato della giurisprudenza di legittimità e costituzionale intervenuta in merito all’art. 297 c.p.p., comma 3, partendo dalla decisione delle stesse Sezioni Unite n. 21957 del 22 marzo 2005 (dep. 10/06/2005, P.M. in proc. Rahulia e altri), che aveva ripercorso le vicende dell’istituto della retrodatazione dalla sua introduzione giurisprudenziale, attraverso l’elaborazione di regole per contrastare le c.d. contestazioni a catena, fino alla sua recezione legislativa da ultimo con l’art. 297 c.p.p., comma 3, nel testo modificato dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 12, e aveva chiarito che:

– nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento, per lo stesso fatto o per fatti diversi, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza e legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare le misure adottate con la seconda ordinanza (Rv. 231057);

– nel caso di ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti legati da una connessione qualificata, la retrodatazione opera solo per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare (Rv. 231058);

– nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti non legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera solo se al momento dell’emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza (Rv. 231059).

2.1. Il nuovo intervento di questa Corte a Sezioni Unite è conseguente alla pronuncia della Corte Costituzionale, che, con la decisione 3 novembre 2005, n. 408, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.p., comma 3, "nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza", determinando il sorgere del dubbio circa la possibile applicazione del principio non solo a fatti diversi relativi allo stesso procedimento ma anche a fatti diversi relativi a diversi procedimenti.

La decisione di questa Corte sul punto distingue tra il caso in cui i diversi procedimenti pendono davanti ad autorità giudiziarie diverse da quello in cui i diversi procedimenti pendono davanti alla stessa autorità giudiziaria, e rileva che:

– nel primo caso, la retrodatazione non ha alcuna ragione di operare, poichè la diversità delle autorità giudiziarie procedenti indica una diversità di competenza e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti e che, quindi, la sequenza dei provvedimenti cautelari non è il frutto di una scelta per ritardare la decorrenza della seconda misura;

– nel secondo caso, se per i fatti oggetto del secondo provvedimento cautelare il procedimento aveva avuto inizio, o avrebbe dovuto averlo, al momento dell’emissione della prima ordinanza, può ritenersi che l’adozione della seconda misura sia stata il frutto di una scelta del pubblico ministero, pur essendo gli elementi già desumibili dagli atti. In tale secondo caso la retrodatazione opera automaticamente se i fatti sono collegati da connessione qualificata, mentre in mancanza di connessione, non giustifica la retrodatazione il fatto che l’ordinanza emessa nel secondo procedimento si fondi su elementi già presenti nel primo, atteso che in molti casi gli elementi probatori non manifestano immediatamente il loro significato.

Pertanto, la circostanza che alcuni elementi siano stati in possesso degli organi delle indagini non dimostra che ne fosse stata individuata la portata probatoria, potendo l’elaborazione di alcuni atti di indagine, quali ad esempio le intercettazioni, dare ragione dell’intervallo di tempo trascorso tra l’acquisizione delle fonti di prova e l’inizio del procedimento.

Le Sezioni Unite hanno, quindi, fissato il principio che "quando in differenti procedimenti, non legati da connessione qualificata, vengono emesse più ordinanze cautelari per fatti diversi, e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della prima, è da ritenere che i termini della seconda ordinanza debbano decorrere dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del Pubblico Ministero". 3. Di tali principi il Tribunale ha fatto esaustiva ricostruzione, corretta interpretazione e precisa applicazione, esaminando adeguatamente tutte le questioni prospettate e prospettabili, evidenziando e correlando logicamente i dati fattuali disponibili e svolgendo un articolato iter argomentativo, non astratto dalle risultanze processuali e dalle argomentazioni difensive sviluppate con i motivi di appello.

3.1. Sono state, in particolare, evidenziate due questioni risolutive per escludere, nel caso di specie, sotto differenti aspetti, la ricorrenza, dedotta dalla difesa, degli estremi della retrodatazione:

– i due procedimenti, nei quali sono state emesse a carico del D. L. le ordinanze cautelari in data 23 aprile 2008 dal G.i.p. del Tribunale di Sala Consilina per il reato di concorso in detenzione illecita di eroina, e in data 14 dicembre 2009 dal G.i.p. del Tribunale di Catanzaro per i reati di partecipazione ad associazione dedita al traffico delle sostanze stupefacenti e di cessione delle stesse, non hanno riguardato fatti avvinti da connessione qualificata e pendono dinanzi a distinti uffici giudiziari, con conseguente diversità di competenza, che consente di escludere la possibilità della loro riunione e di ritenere frutto di scelta del Pubblico Ministero la sequenza dei provvedimenti cautelari e la contestazione frazionata dei reati;

– ove sussistente la connessione qualificata tra i fatti oggetto dei due distinti procedimenti, come ritenuta dalla difesa, gli elementi gravemente indizianti posti a base della seconda ordinanza del 14 dicembre 2009 del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro, pur emergendo dalle conversazioni antecedenti al decreto di giudizio immediato del 17 settembre 2008 emesso dal G.i.p. di Sala Consilina nel primo procedimento, nel quale era stata emessa la prima ordinanza del 23 aprile 2008, non erano desumibili dagli atti relativi alla prima ordinanza, poichè la "voluminosissima informativa" della P.G. che aveva raccolto e riepilogati era del 5 settembre 2008, di dodici giorni antecedenti il predetto decreto.

3.2. Sulla prima questione l’orientamento attuale di questa Corte è conforme ai principi elaborati dalle indicate decisioni delle Sezioni Unite, affermandosi che non è applicabile la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ex art. 297 c.p.p., comma 3, nel caso di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari disposte in procedimenti diversi, pendenti davanti ad autorità giudiziarie diverse, per fatti differenti, tra i quali non sussista connessione qualificata, ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), ove si tratti di procedimenti originati da distinte e autonome notizie di reato, la cui separazione, pertanto, non consegua a una scelta strategica del P.M., e non sia configurabile il vincolo della continuazione tra i singoli fatti sia pure omogenei (da ultimo, Sez. 2, n. 44381 del 25/11/2010, dep. 16/12/2010, Noci, Rv. 248895).

Anche sulla seconda questione questa Corte ha ripetutamente affermato, in modo conforme agli indicati arresti delle decisioni delle Sezioni Unite, che, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, il momento in cui dagli atti possono desumersi i gravi indizi di colpevolezza idonei a giustificare l’adozione della misura cautelare coincide non con la materiale disponibilità della informativa di reato, ove questa riassuma i dati investigativi e gli elementi di prova progressivamente acquisiti, ma va riferita al momento valutativo, risultante dal tempo obiettivamente occorrente al pubblico ministero per una lettura ponderata del materiale e per mettere in rapporto un determinato dato con le altre risultanze investigative, senza che rilevi il parametro rigorosamente temporale, ossia relativo alla mera presenza in atti di quel dato (Sez. 2, n. 11133 del 12/12/2008, dep. 13/03/2009, Macrì, Rv. 243421; Sez. 5, n. 2724 del 04/11/2009, dep. 21/01/2010, Fracasso, Rv. 2459; Sez. 6, n. 49326 del 21/12/2009, dep. 22/12/2009, Amicuzi, Rv. 245423, e, da ultimo, Sez. 1, n. 12906 del 17/03/2010, dep. 07/04/2010, Cava, Rv. 246839).

3.3. Il Tribunale di Catanzaro, nel prospettare le indicate questioni (in aggiunta alle altre non rilevanti nella specie per essere relative alla diversa ipotesi della emissione di più ordinanze nello stesso procedimento penale), ha seguito un’opzione garantista per la difesa, verificando la percorribilità di entrambe le ipotesi, conformi nella loro impostazione ai principi di diritto affermati da questa Corte, e motivatamente esaminandole.

Con valutazioni di merito e correttamente argomentate il Tribunale ha ritenuto di poter escludere che tra i reati oggetto delle due diverse misure cautelari potesse ravvisarsi connessione rilevante ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, e in particolare il vincolo della continuazione.

Nell’ordinanza, infatti, si rileva che la rappresentazione fin dall’inizio dei singoli episodi criminosi, individuati almeno nelle loro linee essenziali, non è ravvisabile solo perchè il reato contestato in sede di arresto in (OMISSIS) sia stato reato- fine rispetto all’associazione oggetto del secondo procedimento, poichè il programma generale di delinquenza dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, fondato su un accordo di carattere generale e stabile, deve essere tenuto distinto dal disegno criminoso, la cui unicità è presupposto essenziale per la configurabilità della continuazione, e non sussistendo elementi specifici evidenziati dal D.L. o emergenti dagli atti probativi della stessa.

E’ anche il risultato di congruo apprezzamento dei dati fattuali il rilievo del Tribunale che gli indizi posti a base dell’ordinanza del 14 dicembre 2009 sono derivati da plurime conversazioni intercettate prima del decreto di giudizio immediato del 17 settembre 2008 per il fatto oggetto della prima ordinanza, compendiate in una "voluminosissima informativa riepilogativa e conclusiva della Polizia Giudiziaria datata 5 settembre 2008", e che l’elaborazione degli elementi in tal modo acquisiti ha richiesto "tempi non brevi" e "pienamente leggibili solo alla luce di una lettura complessiva delle risultanze investigative intercettive", alla luce della loro attinenza non solo alla singola posizione del D.L. ma all’esistenza e all’operatività dell’intera associazione a delinquere.

3.4. Le doglianze svolte dal ricorrente – a fronte dei principi di diritto suindicati e delle articolate valutazioni svolte dal Tribunale – sono manifestamente infondate.

Il ricorrente, che ha opposto una lettura parziale dei principi di diritto fissati da questa Corte, ha svolto censure che si risolvono in critiche in linea di fatto e di puro merito, inammissibili in questa sede o in censure che, non collegate alle ragioni argomentate della decisione impugnata, non prospettano alcuna critica specifica, sfociando nell’aspecificità.

La censura, che attiene all’anteriorità dei fatti contestati con la seconda ordinanza rispetto alla data di emissione della prima ordinanza, non solo prospetta una ricostruzione in fatto alternativa a quella svolta dal Tribunale, ma si riferisce a questione non risolutiva alla luce dei principi di diritto pur (anche se solo in parte) richiamati e dell’analisi condotta dal Tribunale, rilevante essendo, quando, come nella specie, le ordinanze cautelari siano state emesse non nello stesso procedimento, ma in procedimenti diversi, non la questione dell’anteriorità del fatto o dei fatti di un procedimento all’altro, ma la possibilità di rilevare tra i fatti una connessione qualificata e la possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza.

Nè la doglianza svolta con riferimento all’affermazione del Tribunale che gli elementi posti a fondamento della seconda misura non potevano desumersi dagli atti, al momento dell’emissione della prima misura, si pone quale censura idonea a contrastare gli apprezzamenti svolti dal Tribunale sulla necessaria interpretazione, elaborazione e valutazione da parte del Pubblico Ministero degli elementi acquisiti, nel loro complesso e nella loro concatenazione, prima di avanzare idonea istanza cautelare, e sulla complessità delle risultanze investigative intercettive, attinenti all’esistenza e alla operatività dell’intera associazione dedita al narcotraffico e non solo alla singola posizione dell’indagato.

Il ricorrente ha, infatti, contestato, in modo generico, che fosse complessa l’attività di sbobinamento delle registrazioni delle conversazioni telefoniche e ha dedotto che la dipendenza del fermo dell’autovettura sulla quale viaggiava dall’ascolto della conversazione in corso di svolgimento è probativa della desumibilità degli elementi indiziari per emettere la seconda ordinanza già alla detta data.

In tal modo non solo si è confermato che l’arresto in (OMISSIS) è stato un episodio ritratto nel corso di un’attività investigativa in fase di svolgimento, la cui definizione avrebbe supposto quantomeno lo sbobinamento delle registrazioni delle conversazioni intercettate, ma non si è sindacata la questione risolutiva rappresentata dalla data (5 settembre 2003), nella quale, con la nota informativa, è stato portato a conoscenza del Pubblico Ministero il quadro completo delle conversazioni intercettate, necessario, non per operare un arresto in flagranza ma, per conferire una piattaforma indiziaria all’ipotesi associativa poi delineata e contestata, e dalla distanza temporale tra detta data e quella (17 settembre 2008) nella quale il G.i.p. di altro Ufficio giudiziario ha emesso il decreto di giudizio immediato per il fatto di reato, di cui all’arresto del (OMISSIS).

Del tutto inconducente, a fini delle chieste valutazioni, è il riferimento fatto in ricorso alla perdurante pendenza del procedimento penale relativo all’ordinanza emessa il 19 aprile 2008 (rectius: 23 aprile 2008) dinanzi ad altro Ufficio giudiziario, che è dato non contestato, mentre la sussistenza della connessione qualificata è affidata dal ricorrente a generiche deduzioni di contenuto negativo rispetto alle argomentazioni del Tribunale, non sottoposte a critica specifica e motivata, e a deduzioni che attengono a reati fine dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la cui contestazione unitamente al reato associativo e la cui commissione in epoca antecedente all’arresto del (OMISSIS), non rilevante per quanto già rilevato è affidata alla sola e non dimostrata deduzione difensiva.

4. Pertanto, stante la correttezza logica e giuridica dell’ordinanza, e la manifesta infondatezza delle censure, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Seguono la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma che si determina nella misura ritenuta congrua di Euro mille.

3. La Cancelleria provvedere all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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