Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 24-05-2011, n. 20545 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 21 gennaio 2010, la Corte d’appello di Trieste, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato non luogo a provvedere sull’istanza presentata il 9 novembre 2009 nell’interesse di H.S., condannato con sentenza del 4 aprile 2006 della stessa Corte (irrevocabile il 20 maggio 2006), in parziale riforma della sentenza del 12 marzo 2005 del G.u.p. del Tribunale di Trieste, alla pena di due anni di reclusione ed Euro trentamila di multa per il reato di cui all’art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 3 e 3 bis.

La Corte premetteva che l’istante era stato condannato, in solido con i coimputati, al pagamento delle spese processuali; in seguito, era stato invitato dall’ufficio Recupero Crediti della stessa Corte, con missiva del 9 marzo 2007, a pagare Euro 19.171,89 per spese inerenti alle intercettazioni telefoniche disposte in quel procedimento, e, successivamente, per il mancato pagamento delle somme richieste, era stato destinatario di due cartelle esattoriali, la prima per l’importo di Euro 19.520,65 e la seconda per quello di Euro 19.693,97.

Secondo la Corte la richiesta avanzata da H., che deduceva la competenza del Tribunale di Trieste riguardo al recupero delle spese processuali, la non ripetibilità ex art. 5 D.P.R. n. 115 del 2002 delle spese di noleggio delle apparecchiature necessarie per le intercettazioni telefoniche e la mancanza del decreto di liquidazione delle spese straordinarie, aveva contenuto identico a precedente istanza già esaminata con ordinanza del 16 dicembre 2008, le cui motivazioni erano integralmente richiamate.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, H.S., che, dopo l’esposizione dei fatti, articola quattro motivi di censura e chiede l’annullamento, con o senza rinvio, dell’ordinanza impugnata, la revoca dell’invito al pagamento delle somme indicate e di ogni altro atto conseguente, la sospensione della procedura esecutiva e la declaratoria d’illegittimità della ripetizione delle spese, con la revoca di ogni atto esecutivo conseguente.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento alla già proposta eccezione d’incompetenza della Corte d’appello a procedere al recupero delle spese per essere competente il Tribunale, essendo stata riformata la sentenza del 12 marzo 2005 del G.u.p. del Tribunale di Trieste solo con riferimento alla pena, senza che possa ritenersi la competenza del giudice civile, limitata alla ipotesi di contestazione delle singole partite di spesa, senza estendersi alla contestazione del titolo esecutivo.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge per la non addebitabilità a suo carico delle spese di noleggio delle apparecchiature per le intercettazioni telefoniche, non ripetibili ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 5.

Secondo il ricorrente, la non ripetibilità delle dette spese è dipendente dalla loro anticipazione da parte dello Stato nella fase delle indagini preliminari, e non nelle fasi dibattimentale e predibattimentale, e dalla loro mancata specifica previsione, nel richiamato art. 5, tra le spese ripetibili, in quanto rientranti nella categoria delle spese sostenute dallo Stato per lo svolgimento della sua azione di repressione del crimine.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge per mancanza del titolo di liquidazione delle spese, rilevando che la necessità della debita motivazione della liquidazione deriva dalla previsione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 168 e 170, cui sì riferisce l’art. 70 dello stesso decreto per la liquidazione delle spese straordinarie.

Nè la previsione normativa del decreto motivato è superabile con il visto di liquidazione apposto dal Pubblico Ministero sulle fatture di spesa, privo di motivazione anche a proposito della indispensabilità delle spese e all’indicazione dell’atto di riferimento, e qualificabile come atto interno amministrativo, impugnabile dal ricorrente, che ne avrà interesse, "quando il decreto avrà acquistato i requisiti di legge idonei per essere a lui addebitato come spesa". 2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione della pronuncia di non luogo a provvedere, perchè adottata per relationem ad altra ordinanza, emessa dalla stessa Corte in sede amministrativa, a seguito di istanza di correzione del conteggio delle spese nell’ambito di un procedimento di riscossione di spese processuali di competenza del funzionario della cancelleria, non richiamabile per supportare una decisione giudiziale, e in ogni caso neppure allegata nè riportata nel testo dell’ordinanza impugnata.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per l’effetto preclusivo derivante dalla già intervenuta decisione sulla istanza.

4. Con motivi aggiunti depositati il 10 gennaio 2011, il ricorrente, nel contestare la fondatezza della declaratoria di inammissibilità del ricorso richiesta dalla Procura Generale, deduce che il principio del ne bis in idem non può trovare applicazione nel caso di specie per avere la Corte d’appello di Trieste emesso l’ ordinanza del 16 dicembre 2008 a seguito di istanza di correzione ex D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 211, comma 2, che, rientrando nella competenza del funzionario addetto all’Ufficio, non può rappresentare un precedente in sede di esecuzione penale.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato in ogni sua deduzione.

2. E’ innanzitutto destituito di fondamento il quarto motivo, ripreso con i motivi aggiunti, con il quale si censura la pronuncia di non luogo a provvedere adottata dalla Corte d’appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, sulla base della ritenuta operatività, non condivisa dalla difesa, del principio del ne bis in idem.

2.1. Detta ordinanza è stata emessa dalla Corte con riguardo all’incidente di esecuzione proposto nell’interesse di H. S., all’esito dell’udienza svoltasi in camera di consiglio ai sensi degli artt. 665 e 127 c.p.p., essendo stata rilevata la già intervenuta decisione, con ordinanza della stessa Corte del 16 dicembre 2008, di "istanza della medesima parte e di identico contenuto".

Il ricorrente, nel censurare detta ordinanza, oppone che l’ ordinanza del 16 dicembre 2008, richiamata per relationem, è stata emessa in sede amministrativa in relazione ad un’istanza di correzione del conteggio delle spese processuali nell’ambito di un procedimento volto alla riscossione delle stesse di competenza del funzionario della cancelleria, e come tale non richiamabile per supportare una decisione giudiziale.

2.2. Tale censura appare inconferente e generica, in quanto, riferendosi a decisione, che si assume resa quale esercizio della facoltà di autotutela dell’autorità giudiziaria, alla stessa spettante quando interviene in sede amministrativa nell’ambito del recupero delle spese, il ricorrente avrebbe dovuto assolvere l’onere di sostenere la validità del suo assunto mediante l’allegazione al ricorso del detto atto.

In virtù del principio di autosufficienza del ricorso, già elaborato dalle Sezioni civili (da ultimo, Sez. 3, n. 18375 del 07/07/2010, dep. 06/08/2010, Rv. 614390, in motivazione sub 5, non massimata sul punto) e recepito e applicato anche in sede penale con giurisprudenza costante (tra le altre Sez. 1, sent. 6112 del 22/01/2009, dep. 12/02/2009, Rv. 243225), deve, infatti, ritenersi preclusa a questa Corte la ricerca autonoma e diretta degli atti del processo.

3. Palesemente infondata è, in ogni caso, anche la questione della competenza della Corte d’appello a procedere al recupero delle spese, dedotta con il primo motivo sul rilevo della competenza del Tribunale di Trieste per l’intervenuta riforma in appello della sentenza del 12 marzo 2005 del G.u.p. del Tribunale di Trieste solo con riferimento alla pena, non incidente, ai sensi dell’art. 665 c.p.p., sulla competenza del primo giudice.

3.1. L’infondatezza del motivo emerge chiara dalla previsione normativa del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 208, comma 1, a norma del quale "se non diversamente stabilito in modo espresso, ai fini delle norme che seguono e di quelle cui si rinvia, l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è quello presso il magistrato, diverso dalla Corte di cassazione, il cui provvedimento è passato in giudicato o presso il magistrato il cui provvedimento è divenuto definitivo".

Tale norma è stata modificata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, entrata in vigore il 4 luglio 2009, che ha sostituito il predetto art. 208, comma 1, prevedendo che l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è per il processo penale quello presso il giudice dell’esecuzione.

Tale norma è entrata in vigore quando le attività connesse al recupero dei crediti, nel caso di specie, erano già pervenute alla formazione del ruolo esecutivo ed era stata emessa la cartella esattoriale, con conseguente radicamento della competenza della Corte d’appello, la cui sentenza era passata in giudicato il 20 maggio 2006, secondo la normativa all’epoca vigente e il cui intervento nella procedura esecutiva già si è espresso, in ogni caso, con l’ ordinanza del 16 dicembre 2008 suindicata.

4. Il ricorso è inammissibile anche quanto al secondo e al terzo motivo per altro e assorbente profilo.

4.1. Secondo l’orientamento costantemente espresso da questa Corte, in tema di spese di giustizia afferenti al processo penale, la competenza a decidere spetta al giudice dell’esecuzione, qualora sia contestata non soltanto la condanna al pagamento delle medesime, ma anche la stessa esecutività del titolo, mentre ogni altra questione concernente la procedura esecutiva va dedotta dinanzi al giudice civile con le forme dell’opposizione agli atti esecutivi, ove sia posta in discussione la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto, e perciò anche l’omessa notifica al condannato dell’estratto del titolo esecutivo, ovvero con le forme dell’opposizione all’esecuzione, ove si contestino le causali di spesa o il loro ammontare (Sez. 1 n. 1108 del 05/03/1991, dep. 19/04/1991, Manti, Rv. 186931; Sez. 4, n. 2751 del 13/11/1996, dep. 13/12/1996, Pagliaranì, Rv. 206323; Sez. 6, n. 3827 del 07/10/1997, dep. 02/12/1997, Pagliara, Rv. 209484).

4.2. L’individuazione delle diverse competenze non è cambiata dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, che oltre ad abrogare, per quanto qui interessa, l’art. 695 c.p.p., ha riformato il procedimento per il recupero delle spese processuali, sostituendo, fra l’altro, al precetto, che la cancelleria era tenuta a notificare al condannato sotto il vigore della vecchia normativa ai sensi dell’art. 181 disp. att. c.p.p., l’invito di cui al cit. D.P.R., art. 212, nè per effetto del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, in l. 6 agosto 2008, n. 133, che ha sostituito l’invito a pagare con l’iscrizione a ruolo delle spese.

Si è, infatti, osservato che la competenza a decidere spetta ancora al giudice dell’esecuzione, poichè la possibilità di impugnare gli atti di esecuzione relativi alle spese di giustizia non esclude quella di contestare, ancor prima, la possibilità stessa di procedere a esecuzione (Sez. 1, n. 19547 del 02/04/2004, dep. 27/04/2004, Confi, comp. in proc. Lunardon, Rv. 227983; Sez. 1, n. 15934 del 30/03/2007, dep. 19/04/2007, Stara, Rv. 236173; Sez. 1, n. 2946 del 18/12/2007, dep. 18/01/2008, Mannelli, Rv. 238653; Sez. 1, n. 44079 del 11/11/2008, dep. 26/11/2008, Galiazzo, Rv. 241850; Sez. 1, n. 45773 del 02/12/2008, dep. 11/12/2008, Stara, Rv. 242573).

4.3. Nel caso in esame, il ricorrente, come emerge dal contenuto delle deduzioni riprese con il ricorso, non ha contestato la sussistenza, la validità o l’operatività del titolo esecutivo, rappresentato dalla sentenza 4 aprile 2006 della Corte d’appello di Trieste, irrevocabile il 20 maggio 2006, costituente titolo per il recupero delle spese di giustizia, ma ha lamentato che l’ufficio recupero crediti ha richiesto il pagamento delle spese inerenti le intercettazioni telefoniche disposte nel procedimento definito con la predetta sentenza ed effettuate nel corso di indagini preliminari, chiedendone l’espunzione in quanto non ripetibili, e ha lamentato l’assenza di decreti di liquidazione delle dette spese, tali non essendo le autorizzazioni del Pubblico Ministero al pagamento delle relative fatture.

Ma, in tema di procedimento di recupero delle spese anticipate dallo Stato, le questioni attinenti alla determinazione dell’ammontare delle singole voci di spesa, non attinenti alla validità del titolo esecutivo, possono essere sollevate dal soggetto condannato solo attivando la procedura d’opposizione all’esecuzione a norma dell’art. 615 c.p.c..

5. Il ricorso è, pertanto, inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma che si determina nella misura ritenuta congrua di Euro mille.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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