Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 24-05-2011, n. 20543 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 12 maggio 2010 la Corte d’appello di Lecce, decidendo quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da C.C., volta a ottenere:

– il riconoscimento del principio del ne bis in idem ex art. 649 c.p.p. in relazione alle seguenti sentenze:

– sentenza n. 202 dell’8 febbraio 2007 della Corte d’appello di Lecce, irrevocabile il 14 giugno 2007, di condanna alla pena di anni dieci e mesi quattro di reclusione ed Euro 37,500 di multa (in essa compresa la pena, per ritenuta continuazione, inflitta con la sentenza n. 831 del 26 maggio 2006 della stessa Corte d’appello), per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso nota come Sacra Corona Unita, contestato ai sensi dell’art. 416 bis c.p., commesso nelle province di (OMISSIS) fino all’ (OMISSIS), e per il reato di detenzione finalizzata alla illecita cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo eroina, cocaina, hashish e marijuana, contestato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commesso in (OMISSIS) e provincia fino al (OMISSIS);

– sentenza n. 831 del 26 maggio 2006 della Corte d’appello di Lecce, irrevocabile il 22 maggio 2007, di condanna alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed Euro 24.000 di multa, per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso operante nel brindisino e nota come Sacra Corona Unita, contestato ai sensi dell’art. 416 bis c.p., commesso in (OMISSIS) fino al (OMISSIS), per il reato di cessione a tale F. di un quantitativo indeterminato di sostanza stupefacente del tipo cocaina, contestato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commesso in (OMISSIS), e per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di favoreggiamento dell’ingresso di cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato, contestato ai sensi dell’art. 416 c.p. e L. n. 40 del 1998, art. 10, commesso in (OMISSIS) e provincia tra (OMISSIS);

– l’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. tra le seguenti sentenze:

– sentenza n. 202 dell’8 febbraio 2007 della Corte d’appello di Lecce, irrevocabile il 14 giugno 2007, suindicata;

– sentenza n. 131 del 14 maggio 1993 del Tribunale di Brindisi, irrevocabile l’11 gennaio 1995, di condanna alla pena di anni dodici di reclusione per reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commesso in (OMISSIS) e altre località della Calabria fino al (OMISSIS).

1.1. La Corte argomentava la decisione rilevando che:

– quanto alla prima richiesta, le due sentenze sì riferivano alla medesima ipotesi delittuosa, ma riguardavano condotte poste in essere in ambiti temporali diversi e non sovrapponibili, già unificate sotto il vincolo della continuazione nella sentenza n. 202 dell’8 febbraio 2007 della Corte d’appello di Lecce, irrevocabile il 14 giugno 2007, emessa, a seguito di rinuncia ai motivi di gravame, con accordo sulla pena a norma dell’art. 599 c.p.p., determinata aumentando ex art. 81 c.p. la pena inflitta con la sentenza n. 831 del 26 maggio 2006;

– quanto alla seconda richiesta, non era provata la sussistenza della dedotta unicità del disegno criminoso tra le condotte, ben distinte per tipologia di reati, bene protetto, modalità della condotta ed epoca di commissione.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, C.C., che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), rilevando che la Corte d’appello, nel rigettare la richiesta ex art. 649 c.p.p., non ha applicato correttamente i principi fissati dalla legge e tipicizzati dalla uniforme giurisprudenza di questa Corte e non ha verificato in modo rigoroso e certo se ricorrevano i presupposti per il riconoscimento del principio del ne bis in idem.

Il ricorrente, in particolare, deduce che:

– l’attività partecipativa accertata fino al (OMISSIS) con la sentenza del 26 maggio 2006, resa nel processo denominato "Liberazione", per prima divenuta irrevocabile (22 maggio 2007), e quella accertata fino all’ottobre 2000 con la sentenza dell’8 febbraio 2007, resa nel processo denominato "Mediana", per seconda divenuta irrevocabile (14 giugno 2007), per le quali vi è stato il riconoscimento della continuazione, non possono essere considerate fatto nuovo o diverso in termini di prosecuzione della condotta illecita, suscettibile di autonoma sanzione;

– la verifica della sussistenza di ipotesi di duplicazione processuale per il medesimo fatto deve essere condotta in concreto attraverso l’analisi degli elementi costitutivi delle singole fattispecie contestate (condotta, evento e nesso di causalità), evidenziati nelle sentenze, avendo riguardo alla formazione del sodalizio, alla partecipazione allo stesso, alla sua estensione nel territorio e alla tipologia dei reati commessi;

– nel caso di specie, i fenomeni evolutivi, emergenti dallo stesso contenuto delle sentenze, che hanno caratterizzato l’associazione di stampo mafioso nel territorio brindisino a partire dagli anni ’80 e hanno comportato l’avvicendamento degli esponenti di vertice, l’incremento dei traffici illeciti con l’ampliamento del programma criminoso, il contatto diretto con le consorterie contrabbandiere e il più accentuato contrasto di interessi economici, e anche la modifica della denominazione dell’associazione (da Sacra corona libera a Sacra corona unita), non hanno inciso sulla unicità del sodalizio criminoso;

– alla stregua di tali emergenze, la ricorrenza di una chiara ipotesi di duplicazione è resa evidente dalla identità delle contestazioni di partecipazione al detto unico sodalizio, mosse a esso ricorrente con le due sentenze, dalla sovrapponibilità delle date di commissione del reato e dalla coincidenza sostanziale delle tipologie dei reati contestati;

– la Corte d’appello, omettendo l’esame degli atti e delle argomentazioni delle sentenze e confrontando solo le imputazioni, non ha proceduto all’adeguato accertamento dei fatti e alla valutazione complessiva della diversità-identità dell’organismo associativo complesso, distribuito sul territorio e operante nel tempo, e non ha tenuto conto della possibile riconducibilità della parziale sovrapponibilità dei fatti contestati alla diversa tecnica di redazione delle imputazioni, della inclusione "per certi aspetti" di una imputazione nell’altra, della possibile riconduzione della parziale coincidenza dei partecipi a fatti probatori e non alla diversità ontologica delle associazioni, delle caratteristiche di mutevolezza dell’organismo associativo nel mantenimento della sua identità, e del riferimento normativo al medesimo fatto e non alla medesima imputazione.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e carenza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), rilevando che la Corte d’appello, nel rigettare la richiesta ex art. 671 c.p.p., non ha applicato correttamente la legge e non ha verificato in modo rigoroso e certo la ricorrenza degli elementi e dei presupposti per il riconoscimento del vincolo della continuazione.

Secondo il ricorrente, la sussistenza della unicità del disegno criminoso è comprovata dall’esame dei fatti, di cui alle sentenze, e dai dati probatori agli atti, avuto riguardo alla presenza di plurimi elementi indicativi: identica natura dei reati, medesimezza del movente, analogia del modus operandi, omogeneità delle violazioni, modalità delle condotte, sistematicità delle abitudini programmate di vita, tipologia dei reati e causali.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

1.2. Questa Corte ha costantemente affermato che il principio generale del ne bis in idem, di cui sono espressione gli artt. 649 e 669 c.p.p., al pari delle norme sui conflitti positivi di competenza ( art. 28 c.p.p., e ss.), tende a evitare che per lo stesso fatto reato si svolgano più procedimenti contro la stessa persona e si emettano più provvedimenti anche non irrevocabili, l’uno indipendente dall’altro, e a porre rimedio alle violazioni del principio stesso (Sez. 6, n. 31512 del 25/02/2002, dep. 20/09/2002, P.M. in proc. Sulsenti, Rv. 222736; Sez. 1, n. 24017 del 30/04/2003, dep. 30/05/2003, Morteo, Rv. 225004).

Ai fini della preclusione connessa al predetto principio, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. Un. 28 giugno 2005, n. 34655, ric. P.G. in proc. Donati e altri, Rv. 231799; Sez. 1, n. 19787 del 21/04/2006, dep. 09/06/2006, Marchesini, Rv. 234176; Sez. 2, n. 21035 del 18/04/2008, dep. 27/05/2008, Agate e altri, Rv.

240106; Sez. 5, n. 16703 del 11/12/2008, dep. 20/04/2009, Palanza e altri, Rv. 243330; Sez. 4, n. 48575 del 03/12/2009, dep. 18/12/2009, Bersani, Rv. 245740; Sez. 2, n. 26251 del 27/05/2010, dep. 09/07/2010, Rapisarda e altri, Rv. 247849; Sez. 5, n. 28548 del 01/07/2010, dep. 20/07/2010, Carbognani, Rv. 247895).

1.3. E’ stato anche più volte affermato che la struttura dell’associazione per delinquere non è, di per sè, incompatibile con la contemporanea adesione di uno stesso soggetto a più sodalizi criminosi, soprattutto quando l’adesione ai diversi organismi delinquenziali s’inquadri in più ampie strategie di gruppi di criminalità organizzata, volte a stabilire alleanze per rendere più capillare e saldo il controllo del territorio oppure a strutturare l’operatività delle associazioni in modo più funzionale, dinamico e tattico e rispetto alle esigenze di gestione e di predominio esclusivo delle attività illecite (tra le altre, Sez. 1, n. 44860 del 05/11/2008, dep. 02/12/2008, Ficara, Rv. 242197).

Pertanto, in tema di associazione a delinquere, il "fatto" è diverso, quando il soggetto, come nel caso in esame, faccia parte, in coincidenza temporale, di due distinti organismi criminosi, quando la condotta prosegua o riprenda in epoca successiva a quella accertata con la sentenza di condanna (Sez. 3, n. 15441 del 13/03/2001, dep. 12/04/2001, Migliorato, Rv. 219499), qualora vi sia protrazione di una qualsivoglia attività, che risponde ai bisogni di un sodalizio criminoso, oltre la data indicata come terminativa di essa in una precedente sentenza di condanna (Sez. 1, n. 11344 del 10/05/1993, dep. 11/12/1993, Algranati e altri, Rv. 195765), quando una delle associazioni sia costituita con il consenso dell’altra e operi sotto il suo controllo (Sez. 6, n. 1793 del 03/06/1993, dep. 11/02/1994, De Tommasi e altri, Rv. 198568) oppure sia a questa legata da vincolo federativo (Sez. 2, n. 17746 del 30/01/2008, dep. 05/05/2008, Trimboli, Rv. 239768), potendo verificarsi anche nel campo dell’economia criminale, come nell’ambito delle attività lecite, che un soggetto sia contemporaneamente socio di più società (Sez. 1 n. 25727 del 05/06/2008, dep. 25/06/2008, Micheletti, Rv. 240470), perchè, non potendosi far ricorso, in materia di associazioni criminali, al criterio civilistico della personalità giuridica è sempre e comunque la singola persona fisica quella alla quale può e deve addebitarsi (sussistendone, ovviamente, le condizioni di fatto) la duplice e distinta partecipazione, anche in coincidenza temporale, ai due distinti organismi criminosi (Sez. 1, n. 6410 del 13/01/2005, dep. 18/02/2005, Serraino, Rv. 230831).

1.4. Alla luce di detti principi condivisi dal Collegio, è indubbio che, in presenza di più gruppi cui il medesimo soggetto abbia prestato adesione, l’accertamento dell’esistenza di un’unica associazione o di distinte organizzazioni criminali – in assenza di documentati rapporti contrattuali – è questione di fatto che va risolta mediante l’esame di indici materiali congruamente apprezzati in base alle regole di esperienza.

Nel caso di specie, la valutazione del giudice di merito è ragionevole, poichè l’autonomia dei due sodalizi è stata affermata in ragione di convergenti dati sintomatici, costituiti dai diversi e non sovrapponibili ambiti di operatività delle associazioni e dalla diversità ontologica e temporale delle condotte.

Nè appare illogica o giuridicamente errata la valutazione, a comprova di quanto illustrato in ordine alla pluralità di fatti, del comportamento processuale dell’imputato che, nella conoscenza dei fatti, nel procedimento definito con la sentenza n. 202 dell’8 febbraio ha concordato la pena a norma dell’art. 599 c.p.p., con rinuncia ai motivi di gravame, determinata aumentando ex art. 81 c.p. la pena inflitta con la sentenza n. 831 del 26 maggio 2006, rispetto alla quale ora si invoca il ne bis in idem.

1.5. Le doglianze del ricorrente che, ignorando del tutto tale ultima valutazione e appuntandosi sulla necessità di approfondimenti di profili di carattere storico e criminologico e sulla ricostruzione della operatività dei sodalizi, tendono a opporre censure in punto di fatto e un’alternativa lettura di dati fattuali e valutazione della loro rilevanza (sulla parziale sovrapponibilità dei fatti contestati, sulla parziale coincidenza dei partecipi, sulla conservazione della identità dell’organismo associativo, pur nell’evoluzione nei soggetti, nei fatti, nei territori), sono estranee alla previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1 e, pertanto, inammissibili in questa sede ai sensi del cit. articolo, comma 3. 2. La seconda censura è manifestamente infondata.

2.1. A norma dell’art. 671 c.p.p., il giudice dell’esecuzione può applicare in executivis l’istituto della continuazione nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili, pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, e rideterminare le pene, inflitte per i reati separatamente giudicati, alla stregua dei criteri dettati dall’art. 81 c.p..

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’unicità del disegno criminoso, prevista dall’art. 81 c.p. per la configurabilità del reato continuato, non identificabile con un generico programma delinquenziale o con un’abitualità criminosa, sussiste se le diverse azioni o omissioni siano ricollegate, sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, a un’unica previsione.

Tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso, vengono in considerazione la tipologia dei reati, il bene protetto, le condotte poste a fondamento delle diverse condanne, le loro modalità di commissione, la causale delle violazioni, la loro omogeneità, il contesto spazio-temporale in cui esse si collocano, e anche attraverso la constatazione dell’esistenza di alcuni soltanto di essi – purchè idonei a consentire il riconoscimento o il diniego del vincolo di continuazione – il giudice deve accertare se sussiste o meno la preordinazione di fondo che cementa, come facenti parte di un tutto unico, le singole violazioni (tra le altre, Sez. 1, n. 1587 del 01/03/2000, dep. 20/04/2000, D’Onofrio, Rv. 215937; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, dep. 02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, dep. 23/12/2009, Notaro, Rv. 245833; Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, dep. 07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838).

2.2. La Corte di merito, nel caso di specie, si è adeguata a tali principi, pienamente condivisi da questo Collegio, evidenziando l’iter logico seguito per ritenere che, alla base dei reati separatamente giudicati, non vi era un’unica originaria ideazione criminosa.

Sono state, in particolare, analizzate le due sentenze di condanna indicate dall’istante, evidenziandosi che le condotte delittuose, con le stesse giudicate, sono ben distinte quanto a tipologia di reati, bene protetto, modalità della condotta ed epoca di commissione, poichè l’una riguarda la partecipazione del C. a sodalizio mafioso e il reato di detenzione finalizzata alla illecita cessione a terzi di sostanza stupefacente nel 2000 e l’altra l’appartenenza ad associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti operante fino al giugno 1991. 2.3. La disamina svolta con motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici resiste alle censure mosse, che, fondate sul riferimento a elementi indicativi di carattere generale, che si indicano essere stati desunti dall’esame dei fatti, di cui alle sentenze, e dai dati probatori (identica natura dei reati, medesimezza del movente, analogia del modus operandi, omogeneità delle violazioni, modalità delle condotte, sistematicità delle abitudini programmate di vita, tipologia dei reati e causali), sono generiche e non collegate alle ragioni argomentate dall’ordinanza, che sono state ignorate.

3. Il ricorso è, pertanto, inammissibile.

Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione – al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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