Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-09-2011, n. 19749 Proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.F., assumendosi proprietario, per acquisto fattone con atto pubblico, di una particella di terreno posta in comune di Acri, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Cosenza, M.L., per sentirlo condannare al rilascio di tale immobile, di cui, sosteneva, questi si era impossessato realizzandovi una costruzione.

Nel resistere in giudizio, il convenuto deduceva che il terreno in questione gli era stato promesso in vendita da F.B., comune dante causa, la quale l’aveva, altresì, immesso nel godimento del bene, previo pagamento del prezzo. Precisava., quindi, che solo per una svista nel tipo di frazionamento catastale nel titolo di proprietà dell’attore era stata inclusa anche la particella in oggetto, e che, di conseguenza, egli vi aveva costruito in buona fede.

Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda.

Il Tribunale, ritenendo che il fondo fosse di proprietà dell’attore;

che non era stata proposta alcuna domanda ai sensi dell’art. 938 c.c.; e che, ad ogni modo, non era provata la buona fede dell’occupante, accoglieva la domanda e condannava il convenuto a rilasciare il suolo occupato e a demolire le opere ivi realizzate.

La Corte d’appello di Catanzaro, adita da M.L., rigettava il gravame in quanto l’appellante non aveva censurato la duplice ratio decidendo, limitandosi a criticare la sola valutazione delle prove sulla buona fede dell’occupazione.

Per la cassazione di detta sentenza ricorre M.L., con due motivi di annullamento.

La parte intimata resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 938 c.c., assumendo che la Corte d’appello avrebbe ritenuto che la domanda di acquisto per accessione invertita, ex art. 938 c.c., della particella di terreno occupata mediante la costruzione, sia stata formulata soltanto in sede di gravame. Per contro, osserva, l’interpretazione della domanda deve essere operata non solo a livello letterale, ma anche e soprattutto nel suo contenuto sostanziale.

Nello specifico, prosegue, dalla lettura della comparsa di costituzione e risposta emerge che (i) M.L. aveva sconfinato nella sua attività edificatoria; (ii) l’occupazione del fondo dell’attore era avvenuta in buona (fede; e (iii) la costruzione era stata eseguita con la consapevolezza e senza opposizione da parte di M.F.. Da ciò si ricava che nella propria difesa il convenuto aveva dedotto tutti i requisiti dell’accessione invertita, non lasciando dubbi di sorta su tale domanda e sul suo oggetto sostanziale.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 936 e dell’art. 1147 c.c., nonchè l’insufficienza della motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Sostiene al riguardo che la Corte d’appello ha ritenuto che il requisito della buona fede rilevi esclusivamente ex art. 938 c.c. e che quest’ultima debba essere provata da colui il quale la eccepisca, mentre (a) dalla correlazione con il disposto dell’art. 936 c.c., si ricava che la buona fede costituisce soltanto una limitazione allo ius tollendi; e (b) dall’art. 1147 c.c. e dalla relativa giurisprudenza di legittimità, si deduce che la presunzione di buona fede ha carattere generale e non limitato all’ambito possessorio in cui è posta.

3. – Il ricorso è inammissibile.

L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, pone, a pena d’inammissibilità del ricorso per cassazione, un requisito di specificità valevole per ogni tipologia di motivo, così imponendo al ricorrente l’onere di indicare in maniera precisa le carenze o le lacune da cui la decisione impugnata sia in tutto o in parte affetta (cfr. Cass. n. 3904/00 e successive conformi). Mancando tale contestazione mirata e puntuale, rimangono intatte e non più aggredibili le ragioni su cui si basa la pronuncia di merito, per cui il ricorrente non ha interesse ad ottenere una statuizione su censure diverse, che per la loro alterità rispetto alle ragioni della decisione impugnata non varrebbero a produrne l’effetto demolitorio.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, del resto, ferma nel considerare inammissibile anche il ricorso che, a fronte di una sentenza d’appello basata su di una molteplicità di rationes decidendi, si limiti a censurare solo alcune di queste ultime (cfr. e pluribus, Cass. nn. 12372/06, 5493/01 e 23931/07), dal che si ricava che identica conseguenza debba trarsi allorquando nessuna delle varie censure formulate nel ricorso per cassazione colga l’unica ragione posta a fondamento della sentenza impugnata.

3.1. – E’ quanto si è verificato nella specie, atteso che il ricorso non contiene contestazione alcuna della ratio decidendi della sentenza d’appello. la quale, a sua volta, è basata unicamente sul fatto che l’appellante non aveva censurato entrambe: le rationes decidendi della pronuncia di primo grado.

Ignorando tale motivazione in rito della pronuncia della Corte territoriale, il ricorrente ha rivolto le proprie doglianze verso la sentenza del giudice di prime cure, completando (vanamente) ora per allora i motivi di contrasto alla decisione di merito a sè sfavorevole.

4. – Il ricorso va dunque respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.200,00, di cui 200,00 per spese vive, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *