Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-05-2011) 25-05-2011, n. 20916 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe indicata è stata confermata la dichiarazione di colpevolezza di M.S. in ordine al reato di cui all’art. 595 c.p., comma 3, art. 57 c.p. e L. n. 47 del 1948, art. 13, contestatogli "perchè, in qualità di direttore responsabile del periodico "(OMISSIS)", ometteva di esercitare il controllo necessario ad impedire che venissero commessi reati a mezzo la pubblicazione, di talchè veniva dato alle stampe l’articolo, anonimo, dal titolo "Traliccio mobile: ordinata demolizione" recante offesa alla reputazione dell’ex sindaco di (OMISSIS) Avv. L. R. mediante le seguenti frasi:

– "l’ex sindaco L., non aveva messo nel conto che le pentole non sempre hanno i giusti coperchi. Questa volta non c’è stato alcun funzionario comunale disposto a "camuffare" un’autorizzazione edilizia all’atto del suo rinnovo. Dopo la nostra denuncia, anzi due giorni dopo, i concessionari Tim ed Omnitel sono stati spediti presso l’Ufficio Urbanistica comunale, come se fosse una loro iniziativa (….)".

– "quindi l’iter procedurale adottato dall’ex sindaco L. R. non risulta conforme alle vigenti normative, atteso l’interesse pubblico che l’opera riveste".

– "con l’ordinanza di demolizione che l’Ufficio tecnico comunale ha già predisposto e notificato dovrà essere demolito il traliccio perchè è abusivo e va ripristinato lo stato dei luoghi"; in (OMISSIS).

L’articolo giornalistico aveva ad oggetto una vicenda riguardante le autorizzazioni comunali per l’installazione di alcune stazioni radio per la telefonia cellulare su di un terreno di proprietà di L. V., padre della persona offesa, rilasciati negli anni 2000 e 2002, nel periodo in cui L.R. ricopriva la carica di sindaco di (OMISSIS).

Ricorre per cassazione l’imputato e deduce:

1 – Violazione di legge – vizi motivazionali. Travisamento della prova.

Il primo giudice non ha potuto fare a meno di dare atto che nell’anno 2003 il rinnovo delle autorizzazioni, tra cui quello di L. V., fu contestato sotto il profilo della legittimità amministrativa e urbanistica dal funzionario pro tempore L.T. M.S., il quale con missiva 29 luglio 2003 aveva chiesto l’adozione dei provvedimenti consequenziali alla ritenuta illegittimità dei provvedimenti anteriori.

Da tanto consegue che:

– risponde a verità l’espressione "che vi furono funzionari che non vollero firmare il rinnovo delle autorizzazioni";

– hanno travisato la prova i giudici di entrambi i gradi allorchè censurano l’affermazione che non vi furono funzionari disposti "a camuffare un’autorizzazione edilizia all’atto del suo rinnovo" e che "l’iter procedurale adottato dall’ex sindaco L.R. non risulta conforme alle vigenti normative…..";

– non può essere ritenuta infamante la conclusione logica del giornalista della emissione dell’ordine di demolizione (che in effetti non v’era stato), ma che si leggeva ragionevolmente fra le righe della su menzionata missiva del L.T.M..

2. Falsa applicazione degli artt. 595, 43, 51 e 57 c.p., art. 530 c.p.p., comma 3. In relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) e c).

A tutto concedere l’imputato ha fornito una ricostruzione alternativa dei fatti fondata su dati certi: che i funzionari competenti del tempo non rinnovavano le autorizzazioni; che nelle more i ripetitori operavano abusivamente; che un funzionario riteneva illegittime le autorizzazioni inizialmente rilasciate, per cui erano da considerare abusive.

Tale argomento non è neutro ai fini dell’art. 51 c.p. e, sebbene portato all’attenzione del giudice d’appello con specifico motivo, non è stato neppure considerato.

3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego di revoca della sospensione condizionale della inflitta pena pecuniaria, revoca invocata in appello per la sua dannosità.

Rileva la Corte che sono da disattendere, perchè infondati, i primi due motivi di impugnazione, da esaminare congiuntamente siccome intimamente commessi sotto il profilo sia logico che giuridico.

Va subito richiamato, in punto di diritto, il principio ripetutamente affermato in giurisprudenza in materia di diffamazione a mezzo stampa, per il quale costituisce causa di giustificazione soltanto la cronaca e/o critica che rispetti la verità dei fatti, e non anche quella, neppure sotto l’aspetto putativo , che – sia pure nel rappresentare una notizia – vera – si sviluppi poi attraverso l’arbitrario inserimento di altre circostanze, non vere, o di giudizi o ipotesi mistificatori o discorsivi; dato che, in questi casi, essa diviene un mero pretesto per offendere l’altrui reputazione (cfr., fra le tante, cass. Sez. 1, 12 gennaio 1996, n.2210; sez. 5, 2 giugno 1998, Scalfari; sez. 5, 6 febbraio 2009, Deiana).

Nel caso in esame, non si è trattato, come si sostiene in ricorso, di "una ricostruzione alternativa dei fatti", in forza della quale, "persistendo il dubbio circa la sua attendibilità", si imporrebbe quanto meno il proscioglimento ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 3.

Difatti, la sola circostanza vera riferita dall’articolista risulta essere quella relativa alla iniziativa assunta dal funzionario subentrato nella istruzione delle richieste di rinnovo delle autorizzazioni comunali di cui si discute, in ragione di una diversa interpretazione delle norme procedimentali. Spiegano però i giudici del merito, – le cui decisioni si integrano a vicenda, stante la convergenza in punto di penale responsabilità – che siffatta iniziativa venne subito disattesa dal dirigente del settore urbanistico del comune, il quale riprese a seguire la medesima procedura antecedente, analogamente del resto a quanto avveniva in alcuni comuni viciniori, anche sulla base di puntuali pronunciamenti del Tar di Catania; che tale procedura era stata adottata non soltanto nel periodo in cui L.R. aveva ricoperto la carica di sindaco; che in relazione al rilascio delle autorizzazioni che qui interessano nessuna ingerenza o pressione era stata esercitata dal L. sugli organi addetti alla loro emissione; che nessuna ordinanza di demolizione era stata ammessa.

Se ne ricava che il diverso avviso espresso dal funzionario pro tempore al più poteva porre una questione circa la effettiva regolarità o meno della procedura sino ad allora adottata per il rilascio delle autorizzazioni. Ma nulla autorizzava l’articolista, diversamente da quanto ora si sostiene, a considerare sicuramente accertata la illegittimità delle stesse e l’abusività delle opere e, meno che mai, per quanto qui maggiormente interessa, che esse fossero state frutto di collusione o indebita ingerenza da parte del Sindaco. Sicchè ragionevolmente – e comunque in modo non manifestamente illogico e quindi non sindacabile in questa sede di legittimità – gli stessi giudici ne hanno tratto che l’inesatta rappresentazione dei fatti, unita soprattutto all’uso di allusioni maliziose ("il sindaco L. non aveva messo in conto che le pentole non sempre hanno i giusti coperchi"), era atta a ingenerare nel settore la certezza (o quantomeno in dubbio che L.R. avesse abusato dei poteri che derivavano dalla sua carica istituzionale per far conseguire ad un proprio familiare un vantaggio economico, adombrando nell’articolo quasi un interessamento della persona offesa ("non c’è stato funzionario comunale disposto a camuffare un’autorizzazione edilizia") al fine di indurre la P.A. a compiere un atto illegittimo (il rinnovo dell’autorizzazione) per un interesse personale.

Va invece accolto il terzo motivo di impugnazione.

Invero, nell’ipotesi di condanna alla sola pena pecuniaria, sussiste l’interesse dell’imputato a non vedersi riconosciuta la sospensione condizionale della pena, di cui – come è avvenuto nel caso concreto – non abbia fatto richiesta, nella prospettiva di una futura commissione di fatti anche a carattere colposo (come quelli collegati alla professione di direttore di un giornale) (cfr Cass. Sez. 5, 24 maggio 1994, n.10378, Pagliarini). Non v’era dunque ragione che il giudice d’appello non revocasse, come richiestogli, il beneficio "de quo".

E’ da segnalare, infine che, per l’effetto del rinvio in primo grado dell’udienza del 4 maggio 2005 a quella del 10 ottobre 2005, disposto per impedimento del difensore, si è avuta sospensione dei termini di prescrizione pari a 159 giorni, che determina il maturarsi della prescrizione al 9 maggio 2011, sicchè ad oggi il reato non è estinto.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del procedimento e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 800 per onorari, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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