Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-05-2011) 25-05-2011, n. 20812

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Verona, con sentenza in data 16/12/2008, dichiarava D.G.S., Carabiniere in servizio presso la stazione di Zevio, responsabile dei reati di furto aggravato, violenza sessuale, molestie ed estorsione, ritenendo assorbito in tale reato quello di abuso d’ufficio e, con la continuazione, lo condannava alla pena di anni sei di reclusione e Euro 1750 di multa, con le pene accessorie di legge, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, liquidati in Euro 10.000. La Corte di appello di Venezia, con sentenza in data 8.10.2010, in parziale riforma della sentenza, appellata dall’imputato, riconosciuta l’ipotesi lieve di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., riduceva alla pena ad anni sei, mesi quattro di reclusione e Euro 1500 di multa, confermando, nel resto la sentenza impugnata.

I fatti si riferivano al furto di una banconota da Euro 50 sottratta, all’interno della caserma dei Carabinieri di Zevio, a S.Z., in stato di arresto per reato concernente l’immigrazione clandestina, ad atti sessuali nei confronti di Z.S., molestie nei confronti della stessa, essendosi l’imputato presentato quotidianamente e anche più volte al giorno presso la lavanderia della stessa, inviandole più S.M.S. e estorsione per averla costretta, con comportamenti intimidatori a omettere di chiedergli la restituzione Euro 450 che la stessa aveva in precedenza prestato all’imputato. Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) mancanza di motivazione in ordine alla commissione dei reati ascritti;

b) mancanza di motivazione in ordine alla responsabilità ex art. 609 bis c.p.;

c) mancanza di motivazione in ordine al riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui all’art. 609 disse c.p., comma 3, e sulla "insignificante" diminuzione di pena rispetto alla possibilità di modularla. Nelle more del giudizio di Cassazione la parte offesa revocava la costituzione di parte civile e rimetteva la querela.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

La remissione della querela da parte di Z.S. non rileva ai fini della procedibilità dei reati ascritti all’imputato in danno della stessa, tutti perseguibili d’ufficio, mentre non risulta rimessa la querela con riferimento al furto di cui al capo a) presentata dalla parte offesa S.Z.. Ancorchè la motivazione della Corte territoriale appaia sintetica, avendo fatto riferimento alle argomentazioni svolte dal Tribunale per confutare i motivi di appello, è consolidato orientamento di questa Corte che la motivazione per relationem (con riferimento alla condotta del D. G. ed alla valutazione degli elementi probatori) sia legittima "quando: 1) – faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) – fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) – l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione". (Cass. Sez. Un. Sentenza n. 17 del 21.6.2000 dep. 21.09.2000 Rv. 216664).

Elementi tutti che la Corte territoriale dimostra di avere osservato, come desumibile dalla motivazione complessiva del provvedimento. Con riferimento alle censure formulate nell’atto di appello che ripropongono quelle già formulate in primo grado, il Tribunale ha fornito una esauriente valutazione avendo rilevato, in relazione al furto, che la prova emergeva dall’accertamento tempestivo effettuato dal maresciallo O., comandante della Stazione dei Carabinieri in cui prestava servizio quale appuntato il D.G., analiticamente riportate in sentenza, che disponeva l’arresto in flagranza di furto del D.G..

In relazione al reato di violenza sessuale il Tribunale ha dato rilievo alle dichiarazioni della parte offesa che ha affermato che l’imputato la baciava, qualche volta tirandola anche peri capelli, la prendeva per il collo, le metteva le mani sul fondoschiena, anche in presenza della sorella di lei" che ha dichiarato di avere visto il ricorrente "cercare di toccare la sorella nonostante quella le dicesse "giù le mani", toccandole il fondoschiena e anche il seno.

Il Tribunale con valutazione coerente e logica, confermata dalla Corte territoriale, ha rilevato che i baci rubati, i toccamenti, e il comportamento complessivo tenuto dall’imputato contro la manifesta volontà della donna, configurassero gli estremi dell’abuso sessuale.

Anche la censura relativa alla omessa motivazione sulla sussistenza dell’ipotesi lieve di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, va disattesa, avendo il Tribunale e la Corte correttamente valutato il comportamento dello stesso.

Con riferimento al reato di estorsione è stata correttamente ritenuta la responsabilità del prevenuto, in quanto l’imputato dopo avere ottenuto i prestiti dalla Z.S., con minacce verbali e tramite sms e con l’atto esplicito di accompagnare le parole mettendo le mani sulla fondina della pistola, ha costretto la parte offesa a tralasciare di richiedergli ulteriormente la restituzione dei prestiti.

E’ stato anche ritenuto sussistente il reato di molestie ex art. 660 c.p. in relazione alle ripetute visite in lavanderia e sotto casa della Z.S., con ripetitività quasi asfissiante, comportamenti che sono stati ritenuti idonei a ingenerare paura alla parte offesa.

Riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, questa suprema Corte ha più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691).

Inoltre, sempre secondo i principi di questa Corte – condivisi dal Collegio – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo.

Il Tribunale ha escluso la concessione delle attenuanti generiche in quanto dal foglio matricolare del D.G. risulta che dal 1990 al 1999 è stato ritenuto non idoneo al grado di carabiniere scelto "a causa di carenze professionali e di carattere", non è stato ritenuto idoneo all’avanzamento al grado di appuntato ed è incorso in diverse sanzioni disciplinari.

Con riferimento alla determinazione della pena, a seguito della minore gravità del fatto, la Corte territoriale ha diminuito considerevolmente l’originaria pena detentiva inflitta (anni sei di reclusione), riducendola ad anni quattro, con una valutazione fin troppo benevola, considerati i reati ascritti all’imputato e la condotta tenuta dallo stesso.

Sul punto questo Supremo Collegio ha costantemente affermato il principio, condiviso dal Collegio, che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p. (sez. 4, sentenza n. 41702 del 20/09/2004 ud – dep. 26/10/2004 – rv. 230278).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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