Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-05-2011) 25-05-2011, n. 20811

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Salerno, con sentenza in data 27/9/2010, confermava la sentenza, appellata dal PM, del Tribunale di Salerno, in data 9/1/2007, che assolveva perchè il fatto non sussiste D.F. dal reato di usura commesso in danno A. L., mediante operazioni di finanziamento realizzate con tre scritture private.

Proponeva ricorso per cassazione, ai soli effetti civili, il difensore della parte civile A.L. deducendo i seguenti motivi: a) difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta insussistenza del reato di usura e violazione di legge con riferimento all’art. 194 c.p.p., comma 3, ritenendo, in particolare, il carattere usurario dei versamenti mensili, con riferimento alle scritture private in relazione ai complessivi vantaggi previsti, rilevando come la circostanza che per l’anno 2001 l’azienda dell’ A. non avesse conseguito utili non valeva a escludere il carattere usurario dell’accordo, evidenziando come lo stesso consulente del PM, in relazione le ultime due scritture private aveva concluso per il carattere usurario dell’accordo e come la fissazione di un termine, nelle predette scritture, non incidesse sulla configurabilità del reato di usura, non avendo la Corte motivato sulla attendibilità del teste A.E., rilevando come lo stesso abbia espresso valutazioni personali sui fatti di causa, preclusi dall’art. 194 c.p.p., comma 3.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

La Corte di Appello di Salerno, invero, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria, evidenzia come, secondo le risultanze della consulenza tecnica disposta dal PM, l’importo indicato nelle scritture private e versato mensilmente non integra un tasso usuraio, essendo al di sotto del c.d. "tasso soglia" per poter qualificare usuraria l’operazione.

Con riferimento alle clausole delle scritture private, il giudice di merito evidenzia come con la prima scrittura le parti avevano convenuto non la cessione di una quota dell’azienda, ma una "partecipazione agli utili", mai realizzati, essendosi, invece, verificate delle perdite.

Anche con le ulteriori due scritture private non era stata realizzata alcuna cessione di quote stante la fissazione di un termine di durata della convenzione, incompatibile con il trasferimento di una quota dell’azienda che, alla scadenza del termine, avrebbe fatto ritorno al cedente.

Il teste A.E., materiale redattore delle scritture private, contrariamente l’assunto del ricorrente, non ha espresso valutazioni ma ha testimoniato su fatti direttamente a sua conoscenza, in tale qualità, dichiarando che la volontà delle parti, nella stesura delle scritture, era quello di attribuire alla D., a fronte del capitale dato in prestito, una partecipazione agli utili, senza cessione di quote dell’azienda, con una sorta di minimo garantito, costituito dalla somma che l’ A. corrispondeva mensilmente.

Peraltro secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, infatti, "anche in sede di legittimità può procedersi alla cosiddetta "prova di resistenza", nel senso di valutare se gli elementi di prova asseritamente acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, controllando in particolare la struttura argomentativa della motivazione al fine di stabilire se la scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa anche senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute di per sè sufficienti a giustificare l’identico convincimento". (Cass. Sez. 1A sent. 1495 del 2.12.1998 dep. 5.2.1999 rv 212274. V. anche Cass. Sez. 5A, sent. 569 del 18.11.2003 dep. 12.1.2004 rv 226972: "Allorchè con il ricorso per cassazione si lamenti l’illegale assunzione di una prova (nella specie dichiarativa), è consentito procedere in sede di legittimità alla c.d. "prova di resistenza", e cioè valutare se gli elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, mediante il controllo della struttura della motivazione, al fine di stabilire se la scelta di una certa soluzione sarebbe stata la stessa senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute sufficienti".

Nel caso di specie la dichiarazione del teste A.E. ha avuto, nella valutazione complessiva della Corte, una valenza meramente rafforzativa degli ulteriori elementi valorizzati dalla Corte territoriale per escludere la responsabilità dell’imputata con riferimento al reato di usura ascrittole.

E’ il caso di precisare che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, in cui i Giudici di merito hanno spiegato in maniera adeguata e logica le risultanze confluenti nella esclusione di responsabilità dell’imputata. Invero le decisioni di merito, quando utilizzano criteri omogenei e seguono un apparato logico- argomentativo uniforme, si integrano vicendevolmente confluendo in un unico prodotto, essendo anche possibile che la motivazione di seconda istanza attinga per reletionem a quella di primo grado, trascurando di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati.

La Corte di merito, con valutazione logica, in censurabile in sede di legittimità ha evidenziato, conformemente a quanto già rilevato dal Tribunale, come l’indicazione di un termine finale all’accordo costituisca un elemento incompatibile con un contratto di cessione di quota di azienda, in quanto, alla scadenza, la stessa sarebbe tornata nella disponibilità del cedente, rilevando come il contratto di cessione di azienda non abbia mai, comunque, avuto efficacia alcuna tra le parti, nemmeno a titolo di garanzia in quanto nessuna iscrizione ipotecaria risulta effettuata a carico dei beni immobili dell’agenda. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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