Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-05-2011) 25-05-2011, n. 20810 persona offesa

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Messina, con sentenza in data 28/5/2010, confermava la sentenza del Tribunale di Messina del 15.03.2006, appellata da P.G., dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 636 c.p. per aver introdotto nel terreno di proprietà di C.A. bovini per farli pascolare, causando danni al predetto fondo e condannato alla pena di mesi uno di reclusione e Euro 200 di multa. Proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione di legge e omessa motivazione per la mancata ricostruzione dei fatti con riferimento alla collocazione spazio- temporale e per violazione del diritto di difesa dell’imputato, con conseguente nullità del decreto di citazione in giudizio;

b) nullità della querela per indeterminatezza e genericità del suo contenuto, mancando la collocazione spazio-temporale dei fatti, risultando impossibile stabilire il dies a quo di decorrenza del termine di tre mesi ai fini dell’esercizio del diritto di querela;

c) violazione di legge e illogicità della motivazione avendo la Corte posto a fondamento della responsabilità del ricorrente le dichiarazioni della persona offesa dal reato senza alcun controllo sulla sua credibilità;

d) violazione di legge, mancanza o manifesta illogicità della motivazione per non avere la Corte assolto l’imputato in mancanza di prove sufficienti in relazione al preteso reato contestato;

e) violazione di legge, mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla pena inflitta non avendo i giudici di merito tenuto conto dei criteri e parametri di cui all’articolo 133 c.p.;

f) violazione di legge per la mancata rilevazione dell’intervenuta prescrizione, stante l’incertezza sulla collocazione spazio-temporale dei fatti contestati e risalendo questi ultimi, comunque ad oltre 10 anni;

g) improcedibilità dell’azione penale per la remissione implicita della querela stante la mancata presentazione in udienza delle specifiche conclusioni della parte civile.
Motivi della decisione

1) Preliminarmente va esaminato il motivo di ricorso relativo alla dedotta intervenuta prescrizione del reato.

Si deve osservare che nella presente fattispecie, decisa con sentenza del 15.3.2006, si applicano – ex L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 393 del 23/11/2006 – le nuove regole sulla prescrizione, comunque, più favorevoli all’imputato. Invero il reato di introduzione di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo si prescrive nel termine massimo di 7 anni e sei mesi (sei anni aumentati di 1/4 per le cause interattive), a cui devono aggiungersi anni anni due e mesi 11 per i rinvii richiesti dalla difesa in primo e secondo grado, maturando la prescrizione al 1.12.2011. 2) Con le ulteriori censure (ad eccezione dell’ultima, esaminata a parte) il ricorrente si limita a riproporre le medesime questioni già esaminate e disattese dai giudici di merito.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "per l’appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) comporta la inammissibilità dell’impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l’atto individui il "punto" che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame". (Cass. Sez. 6A sent. 13261 del 6.2.2003 dep. 25.3.2003 rv 227195).

Con riferimento ai primi due motivi di ricorso va evidenziato che non risulta inficiata l’epoca di commissione del reato, analiticamente ricostruito e commesso, come indicato nel capo di imputazione "almeno fino al luglio 2001" in base alle dichiarazioni dello stesso querelante; il termine di tre mesi per la proposizione della querela decorre dal giorno della conoscenza precisa, completa del fatto reato (Sez. 6, Sentenza n. 15263 del 03/05/1989 Ud. (dep. 07/11/1989 ) Rv.

182457 Conf mass n 155318 Sez. 6, Sentenza n. 11556 del 19/11/2008 Ud. (dep. 17/03/2009) Rv. 242985), cioè la conoscenza del fatto delittuoso nella totalità dei suoi elementi integrativi (Sez. 6, Sentenza n. 8550 del 30/06/1982 Ud. (dep. 04/10/1982) Rv. 155318), senza alcuna prova contraria rigorosa della intempestività della querela che incombe su chi la allega (Cass. 28.1.2008,n. 7333).

Sia la Corte che il Tribunale hanno affermato l’attendibilità della parte offesa rilevando come avesse reso dichiarazioni coerenti e precise. Quanto sopra è in linea con il costante insegnamento di questa Corte Suprema che ha più volte affermato il princìpio, condiviso dal Collegio, che in tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice, possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano – come nel caso di specie – situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità. (Sez. 3, Sentenza n. 22848 del 27/03/2003 Ud. – dep. 23/05/2003 – Rv. 225232).

Inoltre in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni.

(Sez. 3, Sentenza n. 8382 del 22/01/2008 Ud. -dep. 25/02/2008 – Rv.

239342).

Con riferimento alla contestata sussistenza di elementi di responsabilità a carico del prevenuto la Corte territoriale ha rilevato come i testi escussi abbiano concordemente confermato gli sconfinamenti della mandria del P., nonchè i relativi danni prodotti.

Infine per quanto riguarda il motivo relativo alla dedotta eccessività della pena si osserva che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p.. (Sez 4, sentenza nr. 41702 del 20/09/2004 Ud – dep. 26/10/2004 -Rv. 230278).

La Corte di appello di Messina ritiene la pena inflitta equa e proporzionale alla gravità dei fatti e alla personalità dell’imputato, gravato di precedenti specifici.

E’ manifestamente infondato anche l’ultimo motivo di ricorso, in quanto la mancata presentazione, da parte del relativo difensore, delle conclusioni all’udienza dibattimentale ex art. 82 c.p.p., comma 2, importa la revoca della costituzione di parte civile, ma non della querela. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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