Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-05-2011) 25-05-2011, n. 20807

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Catania, con sentenza in data 11/6/2010, confermava la sentenza del Tribunale di Catania in data 26/4/2001, appellata da P.G., dichiarato colpevole di estorsione, in concorso con ignoti, per aver preteso dai coniugi S. – F. una somma da pagare per rientrare in possesso della loro autovettura rubata da ignoti e condannato, concesse le attenuanti generiche, alla pena di anni tre, mesi quattro di reclusione, con le pene accessorie di legge.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p. avendo la Corte territoriale fondato la responsabilità dell’imputato solamente sulle dichiarazioni di una delle persone offese dal reato (teste S.), nonostante l’incoerenza delle sue affermazioni e le discrasia insussistenti con le deposizioni di altri testi;

b) difetto di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del reato contestato, mancando ogni violenza o minaccia, essendosi limitato il ricorrente a svolgere un ruolo di intermediazione nell’esclusivo interesse della vittima, condotta non penalmente rilevante;

c) difetto di motivazione con riferimento al reato contestato, in relazione all’art. 379 c.p., ritenendo potersi configurare, tutt’al più, il meno grave reato di favoreggiamento reale ( art. 379 c.p.), in mancanza dell’elemento psicologico del reato di estorsione;

d) violazione di legge non avendo la Corte territoriale rilevato l’intervenuta prescrizione del reato, commesso in data (OMISSIS).
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) In ordine logico va esaminato, preliminarmente il motivo concernente la prescrizione del reato contestato di estorsione che si prescrive in quindici anni. Infatti, in forza della L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, al presente processo – già pendente presso questa Suprema Corte all’atto di entrata in vigore della nuova legge sulla prescrizione – si applicano i termini prescrizionali previsti dal vecchio art. 157 c.p.. Quindi essendo la pena prevista per il reato contestato quella di 10 anni, in forza anche delle concesse attenuanti generiche, la prescrizione è di dieci anni aumentata a quindici per effetto degli eventi interruttivi e tale termine si matura – a far data dal fatto e cioè dal (OMISSIS), al (OMISSIS), anche senza tener conto di eventuali cause di sospensione della prescrizione.

Sul punto questo Supremo Collegio ha costantemente affermato il principio, condiviso dal Collegio, che in tema di prescrizione del reato, la disciplina transitoria prevista dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, nella parte in cui esclude per i processi già pendenti l’applicabilità dei termini che risultino più brevi per effetto delle nuove disposizioni, va interpretata nel senso che l’esclusione investe tutte le disposizioni che comunque comportino una abbreviazione dei termini. (Sez. 3, Sentenza n. 15177 del 14/02/2007 Ud. – dep. 16/04/2007 – Rv. 236813).

2) Con riferimento al primo motivo di ricorso, è indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa (Cass., sez. 3, 5 marzo 1993, Russo, m. 193862; Cass., sez. 4, 26 giugno 1990, Falduto, m. 185349) che, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere anche da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva (Cass., sez. 1, 28 febbraio 1992, Simbula, m. 189916; Cass., sez. 6, 20 gennaio 1994, Mazzaglia, m. 198250; Cass., sez. 2, 26 aprile 1994, Gesualdo, m. 198323; Cass., sez. 6, 30 novembre 1994, Numelter, m. 201251;

Cass., sez. 3, 20 settembre 1995, Azingoli, m. 203155), non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (Cass., sez. 6, 13 gennaio 1994, Patan, m. 197386, Cass., sez. 4, 29 gennaio 1997, Benatti, m. 206985, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208912, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208913, Cass., sez. 2, 13 maggio 1997, Di Candia, m.

208229, Cass., sez. 1, 11 luglio 1997, Bello, m. 208581, Cass., sez. 3, 26 novembre 1997, Caggiula, m. 209404). A tali dichiarazioni, invero, non si applicano le regole di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che riguardano le propalazioni dei coimputati del medesimo reato o di imputati in procedimenti connessi o di persone imputate di un reato collegato e che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità.

Nel caso di specie i Giudici di merito hanno sottoposto ad attento controllo le dichiarazioni della vittima, valutate nel contesto delle emergenze processuali, segnatamente evidenziando come le discordanze, rispetto la deposizione della moglie, erano spiegabili, oltre che con il lungo periodo di tempo trascorso dai fatti, con l’intento di non nuocere alla posizione processuale del ricorrente nei cui confronti entrambi i coniugi non avevano alcun risentimento, oltre a non essersi resi conto del disvalore della condotta dell’imputato.

La S., peraltro, all’udienza del 26/4/2001, ha confermato la veridicità di quanto da lei riferito in ordine ai fatti in occasione della denuncia ai carabinieri, a distanza di non molto tempo dai fatti.

L’utilizzazione della fonte di prova è stata, quindi, condotta dai Giudici del merito nella corretta osservanza delle regole di giudizio che disciplinano la valutazione della testimonianza delle persone offese dal reato e con adeguata motivazione, che si sottrae a censura in questa sede.

3) Con riferimento agli ulteriori motivi di ricorso va precisato che costituisce estorsione la condotta di colui, anche persona diversa dal ladro, che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro per fargli ottenere la restituzione dell’auto rubata.

Con riferimento alla dedotta mancanza di violenza o minaccia, va osservato che ai fini della configurabilità del delitto di estorsione occorre avere riguardo ad ogni elemento che possa influire nel determinare la coartazione dell’altrui volontà, e quindi anche alle condizioni di tempo e di luogo in cui si verificano le minacce, le quali possono essere anche larvate, indirette e figurate, purchè siano ritenute idonee a coartare la volontà delle persone offese.

Richiedere una somma di denaro al fine di far ottenere al derubato la restituzione della propria autovettura sottratta da ignoti, costituisce condotta idonea a configurare la minaccia che concretizza il dolo specifico richiesto per il delitto di cui all’art. 629 c.p., essendo idonea a coartare la libertà psichica delle persone offese in quanto la vittima subisce gli effetti di una minaccia implicita, e cioè quella della mancata restituzione del bene, in mancanza del versamento della richiesta di denaro a compenso dell’attività di intermediazione svolta (Sez. 2, Sentenza n. 4565 del 02/12/2004 Ud.

(dep. 08/02/2005) Rv. 230908), Sez. 6, Sentenza n. 45644 del 04/11/2009 Cc. (dep. 26/11/2009 ) Rv. 245480).

Sussiste anche la idoneità della minaccia, quale elemento costitutivo del delitto di estorsione, dovendo essere valutata con giudizio ex ante e cioè nella obiettiva capacità di porre in essere un attacco alla libertà psichica delle vittima, in conseguenza, viene a trovarsi in stato di costrizione morale. La Corte territoriale ha escluso che l’imputato abbia fatto da semplice intermediario tra gli autori del furto e le persone offese, nell’esclusivo interesse di quest’ultimo, in forza delle seguenti circostanze: 1) offerta di "aiuto" senza previa richiesta; 2) immediato contatto del ricorrente con gli autori del furto; 3) conduzione diretta della trattativa e riscossione della somma estorta con modalità incalzanti, recandosi personalmente, in ore notturne, nell’abitazione delle parti offese, con le quali non vi erano particolari rapporti di amicizia, escludendo la Corte la configurabilità del reato di favoreggiamento reale che può essere individuato solo ove l’autore non avesse concorso nel reato di estorsione.

E’ appena il caso di aggiungere che l’esattezza delle suddette valutazioni, non può formare oggetto di contestazione in sede di legittimità, essendo notoriamente preclusi alla Corte di legittimità l’esame degli elementi fattuali e l’apprezzamento fattone dal giudice del merito al fine di pervenire al proprio convincimento. In conclusione si tratta di reiterazione delle difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici di secondo grado, oltre che censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici. Ciò posto, ritiene il Collegio che è stato fatto buon governo da parte della Corte di merito della norma incriminatrice.

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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