Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-05-2011) 25-05-2011, n. 20850 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9 novembre 2010, la Corte d’Appello di Palermo confermava la decisione con la quale il G.U.P. di Palermo, a seguito di giudizio abbreviato, in data 23 febbraio 2010, condannava C. M. per i reati di violenza sessuale, sequestro di persona e lesioni nei confronti di D.S.C..

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 605 c.p. ed il vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che la privazione della libertà della persona offesa era funzionale alla consumazione della violenza sessuale, con la conseguenza che il reato di sequestro di persona doveva ritenersi assorbito in quello di cui all’art. 6096 c.p., comma 5.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 133 c.p. ed il vizio di motivazione in relazione al diniego di concessione delle attenuanti generiche, non avendo la Corte del merito considerato il comportamento mantenuto dall’imputato successivamente al fatto.

Altrettanto ipotizzava con riferimento alla valutazione della recidiva contestata, rispetto alla quale la Corte avrebbe fatto ricorso a mere valutazioni tautologiche senza considerare gli elementi favorevoli all’imputato.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

In data 13 aprile 2011 faceva pervenire motivi nuovi con i quali richiedeva annullarsi la sentenza in relazione all’aumento di pena per la recidiva in considerazione della sopravvenuta incompatibilità del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater con la Direttiva Comunitaria 2008U 15/CE.
Motivi della decisione

Il ricorso è in parte fondato.

Occorre osservare come correttamente il ricorrente abbia richiamato la giurisprudenza di questa Corte che è uniforme nel ritenere come in tema di concorso di reati, il delitto di sequestro di persona resti assorbito in quello di violenza sessuale qualora la privazione della libertà personale della vittima si protragga per il tempo strettamente necessario a commettere l’abuso sessuale (Sez. 3^ n. 15068, 8 aprile 2009; n. 39936, 13 ottobre2004; n. 37880,24 settembre 2004; n. 502,10 gennaio 2003).

Alla luce di tale principio, che il Collegio condivide e dal quale non intende discostarsi, deve rilevarsi che la motivazione appare carente laddove non indica se l’arco temporale durante il quale la persona offesa venne privata della libertà sia stato o meno coincidente con quello necessario per la consumazione della violenza.

Si rinviene, infatti, un riferimento ad un periodo (quasi mezz’ora) parzialmente coincidente con quello, indicato in altra parte della motivazione, entro il quale avrebbe avuto luogo il rapporto orale cui la persona offesa venne costretta (quindici – venti minuti).

Tale distinzione appare essenziale ai fini della configurabilità del concorso tra i due reati e la lacuna motivazionale dovrà pertanto essere colmata nel successivo giudizio di rinvio tenendo conto del principio in precedenza ricordato.

A conclusioni analoghe deve giungersi per quanto riguarda la recidiva.

Effettivamente sul ricorrente grava un precedente penale conseguente alla condanna per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater con riferimento al quale la Corte territoriale ha ritenuto di riconoscere la recidiva.

Deve tuttavia darsi atto della incompatibilità tra la menzionata disciplina e la Direttiva 2008/115/CE riconosciuta dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 28 aprile 2011 ( H.E.D., causa C-61/11 PPU), nella quale viene tra l’altro specificato (61) che il giudice nazionale è tenuto ad applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, disapplicando ogni disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115 e segnatamente l’art. 14, comma 5 ter tenendo in debito conto il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

Tale soluzione interpretativa, con riferimento alla disapplicazione delle norme incriminatrici di cui all’art. 14, commi 5 ter e 5 quater è stata peraltro già fatta propria dalla Prima Sezione penale di questa Corte (sent. nn. 1590U1, 1594U1 e 1606M1 del 28 aprile 2011, notizia di decisione n. 9/2011) che ha ritenuto quale effetto della pronuncia del giudice comunitario l’abolito criminis come emerge dal riferimento alla formula assolutoria "perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato".

Ciò posto, ritiene il Collegio che di tale opzione ermeneutica deve tenersi conto anche nel caso in esame, ritenendo pertanto come venuti meno gli effetti penali della condanna irrogata al ricorrente anche con riferimento all’applicazione della recidiva ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2.

Per quanto riguarda, invece, la mancata concessione delle attenuanti generiche deve rilevarsi la infondatezza del motivo di ricorso.

Occorre ricordare a tale proposito che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicchè deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 1^ n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6^ n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6^ n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1^ n. 4200, 7 maggio 1985).

Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 6^ n. 34364, 23 settembre 2010) con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6^ n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. 6^ n. 7707, 4 dicembre 2003).

Ciò posto, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia compiutamente indicato che la gravità dei fatti contestati, per la durata degli stessi e le violenze inferte alla giovane vittima con grave compromissione della libertà sessuale non consentivano la concessione delle attenuanti richieste.

Tale valutazione, congrua ed immune da vizi logici appare, alla luce dei principi richiamati, immune da censure.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio con riferimento al reato di sequestro di persona perchè assorbito in quello di violenza sessuale nonchè alla ritenuta recidiva, che esclude. Annulla detta sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Palermo per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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