Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-05-2011) 25-05-2011, n. 20848 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ella persona dell’Avv. Colaleo Luigi
Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4 maggio 2010, la Corte d’Appello di Milano riformava parzialmente la sentenza con la quale, il 13 ottobre 2009, il G.U.P. del Tribunale di Milano aveva condannato E.Q. W.W., a seguito di giudizio abbreviato, per i reati di violenza sessuale, rapina e lesioni commessi in danno di K. L.J..

Quest’ultima veniva infatti soccorsa da alcune persone mentre si trovava sulla pubblica via sanguinante, vestita di un solo collant ed in stato confusionale indotto, come venne in seguito accertato, dall’assunzione di alcoolici. Parte dei suoi abiti venivano rinvenuti nei pressi mentre, più lontano, veniva rinvenuto un perizoma ed alcuni fazzoletti di carta sporchi di sangue. Ricoverata in ospedale, risultava non in grado di riferire sulle circostanze dell’aggressione, ricordando solo di essere uscita con un suo conoscente, poi identificato nel ricorrente, di aver bevuto con lui e di avere viaggiato in auto con lui. Rammentava anche di aver parlato con l’uomo del loro ultimo incontro, conclusosi con un rapporto sessuale e di essersi opposta ad un nuovo approccio da parte dello stesso.

Questi veniva successivamente identificato grazie a specifica attività di indagine. A seguito di perquisizione si rinveniva presso la sua abitazione il telefono cellulare della donna e, nella sua auto, alcuni indumenti che la stessa indossava la sera del loro incontro, oltre alla borsetta contenente il passaporto.

Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione tramite i suoi difensori che presentavano motivi separati.

In particolare, i difensori Avv.ti Colaleo ed Egidi deducevano:

1. Nullità della sentenza per erronea valutazione dei fatti e degli elementi probatori in violazione dell’art. 192 c.p.p.. Premessa una ricostruzione dei fatti, si rilevava che la valutazione degli stessi da parte della Corte territoriale era errata in quanto gli elementi raccolti non evidenziavano indizi gravi, precisi e concordanti.

2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al reato di rapina, in quanto la violenza nei confronti della persona offesa non sarebbe stata esercitata al fine di appropriarsi degli oggetti che già si trovavano a bordo della vettura e l’allontanamento con la vettura non era finalizzato all’impossessamento dei beni della donna.

3. Vizio di motivazione in ordine al reato di lesioni personali, cagionate dalla necessità di difendersi dalle percosse della donna nel corso del litigio tra loro intercorso.

4. Difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, non potendo assumere rilevanza il precedente specifico, mentre doveva tenersi conto della sostanziale provocazione da parte della persona offesa quale conseguenza dello stato di alterazione in cui versava.

Il difensore Avv. Colaleo deduceva inoltre, con separato atto:

5. Violazione dell’art. 609 bis c.p. e difetto di motivazione, rilevando che la decisione impugnata era in sostanza fondata su personali illazioni dei giudici del merito in mancanza di elementi obiettivi circa la sussistenza del reato contestato ed era inoltre priva di indicazioni circa il ragionamento logico-valutativo attraverso il quale si era pervenuti all’affermazione di penale responsabilità. In ogni caso, pur volendosi considerare la sussistenza della violenza sessuale, l’episodio doveva essere inquadrato nell’ipotesi di minore gravità di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p..

6. Violazione dell’art. 628 c.p. e vizio di motivazione con riferimento al reato di rapina entro il quale non era inquadrabile la condotta concretamente posta in essere dal ricorrente.

Si insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è solo in parte fondato.

Occorre rilevare, con riferimento al reato di violenza sessuale che, contrariamente a quanto affermato in ricorso (nei motivi illustrati in premessa ai numeri 1 e 5), la sentenza impugnata appare immune da errori di diritto e vizi di motivazione.

Invero i giudici del gravame danno compiutamente atto della ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice di prime cure ed osservano che, anche in mancanza di una esauriente dichiarazione della parte offesa idonea ad una completa ricostruzione dei fatti, la violenza sessuale contestata appare sussistente alla luce di una serie di dati oggettivi che possono essere così sintetizzati:

– vi è certezza dell’incontro tra la persona offesa ed il ricorrente, circostanza confermata da entrambi e del fatto che la donna non abbia incontrato altre persone fino a quando non venne soccorsa, tanto è vero che lo stesso ricorrente aveva dichiarato di aver visto egli stesso i soccorritori e notato il sopraggiungere dell’auto della polizia;

– lo stesso ricorrente ha ammesso di aver percosso la donna nel corso di un alterco che ha tratto origine dal rimprovero, rivoltogli dalla stessa, di cercarlo solo per fare sesso e dalla pretesa che interrompesse il rapporto con la fidanzata;

– era inverosimile che, come affermato dal ricorrente, mentre la donna si lamentava di essere cercata solo per "fare sesso" si sarebbe spogliata fino a rimanere seminuda e che, per difendersi nella colluttazione con la stessa, abbia avuto la necessità di colpirla tanto violentemente da cagionarle lesioni in tutto il corpo.

Altrettanto inverosimile risultava l’affermazione che la fuga, avvenuta lasciando la donna ferita, seminuda e priva di documenti e cellulare era motivata dalla possibilità di una denuncia per le percosse infette alla stessa. Inoltre, la Corte evidenziava come nel giudizio di primo grado sia stato accertato che la presenza del sangue sugli indumenti della donna era tale da indicare che la stessa aveva sanguinato quando ancora li indossava e che le condizioni in cui venne ritrovata, con i collant indossati senza le mutandine, portavano ad escludere che si fosse volontariamente svestita.

– la donna, all’atto del ricovero in ospedale, lamentava disturbi nella zona genitale ed il medico che l’aveva visitata aveva riscontrato lesioni ritenute compatibili con un rapporto sessuale avuto nelle 48 ore precedenti e con l’aggressione subita, mentre non erano compatibili con un rapporto consensuale. Non risultava, inoltre, che la donna avesse avuto rapporti sessuali il giorno antecedente all’incontro con il ricorrente;

– le condizioni in cui vennero rinvenuti i vestiti della donna evidenziavano che gli stessi erano stati tolti da altra persona (i pantaloni erano rivoltati);

– le dichiarazioni della donna erano credibili in quanto la stessa aveva sempre ammesso di non ricordare come si era svolta la fine della serata trascorsa con il ricorrente (la circostanza risultava confermata dall’intercettazione di alcune conversazioni telefoniche della stessa) e non manifestava alcun pregiudizio nei confronti dello stesso.

Tutti gli elementi fattuali sopra rammentati sono stati presi in considerazione dalla Corte territoriale ed analizzati attraverso un percorso argomentativo lineare e privo di salti logici che ha tenuto conto di tutte le doglianze mosse dalla difesa nell’atto di gravame.

Non si tratta di mere illazioni, come ipotizzato in ricorso, bensì di una analisi rigorosa delle emergenze probatorie.

La correttezza dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito preclude ogni ulteriore valutazione in questa sede di legittimità.

Del resto, gli argomenti posti a sostegno del ricorso non contengono alcuna specifica censura verso la decisione impugnata, se non quella che la decisione sia frutto si personali supposizioni dei giudici, limitandosi, per il resto, a prospettare una lettura alternativa del compendio probatorio inammissibile in questa sede.

Deve inoltre escludersi che la vicenda, obiettivamente grave e connotata da una estrema violenza, potesse consentire ai giudici del gravame l’applicazione dell’art. 609 bis c.p., u.c..

Invero, come questa Corte ha avuto modo di osservare, l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c. può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. 3, n. 40174, 6 dicembre 2006; n. 1057, 17 gennaio 2007; n. 45604, 6 dicembre 2007).

Si è ulteriormente precisato che, per l’applicazione dell’attenuante in questione, non è sufficiente la mancanza di congiunzione carnale tra l’autore del reato e la vittima (Sez. 3, n. 14230, 4 aprile 2008;

n.10085, 6 marzo 2009).

Alla luce dei summenzionati principi, che il Collegio condivide e dai quali non intende discostarsi, nessuna censura può muoversi alla impugnata decisione.

Manifestamente infondato appare, poi, il motivo inerente il reato di lesioni personali (punto 3 in premessa).

La censura è del tutto generica e ci si limita a sostenere che le lesioni sono il risultato di una mera azione difensiva senza muovere alcuna specifica doglianza sul punto della decisione impugnata.

Tale assunto, già sottoposto alla Corte territoriale, ha ricevuto adeguata e puntuale risposta come in precedenza già ricordato.

La decisione impugnata appare inoltre immune da censure anche con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche (punto 4 in premessa).

Occorre ricordare, a tale proposito, che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicchè deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 1, n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6, n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6, n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1, n. 4200, 7 maggio 1985).

Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 6, n. 34364, 23 settembre 2010) con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6, n. 42688,14 novembre 2008; Sez. 6, n. 7707, 4 dicembre 2003).

Ciò posto, nel caso in esame la Corte territoriale, con apprezzamento congruo e privo di cedimenti logici, ha fondato il proprio diniego in considerazione del precedente penale specifico, della gravità dei fatti e del comportamento tenuto dal ricorrente dopo la commissione dei reati.

A conclusioni diverse conducono, invece, le censure mosse alla sentenza impugnata con riferimento al reato di rapina (sintetizzati in premessa ai numeri 2 e 6).

Questa Corte ha avuto modo, infatti, di osservare che "nell’ipotesi di sottrazione di una cosa dopo l’esaurimento della azione violenta, si configura il delitto di rapina e non quello di furto, se il proposito della sottrazione sorga e si formi prima della attuazione della violenza, sempre che sussista un nesso di causalità apparente tra quest’ultima e l’impossessamento, nel senso che il secondo sia la conseguenza della prima" (Sez. 2, n. 12353,29 marzo 2010).

Nella fattispecie, la Corte territoriale ha affermato che la violenza anche se non posta in essere al fine specifico di impossessarsi degli oggetti della persona offesa, ha comunque reso possibile la consumazione della rapina, fornendo poi condivisibili spiegazioni circa le ragioni evidenti della volontarietà dell’impossessamento.

La motivazione si presenta tuttavia carente di una più accurata disamina del dato fattuale concernente la dinamica della vicenda e, segnatamente, del momento in cui poteva temporalmente essere collocata la decisione di sottrarre i beni e sulla specifica correlazione tra la violenza e l’impossessamento.

Tale lacuna motivazionale dovrà dunque essere colmata, alla luce del principio in precedenza richiamato, nel successivo giudizio di rinvio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano limitatamente alla ritenuta sussistenza del reato di rapina. Rigetta nel resto il ricorso, salvo rideterminazione della pena in sede di rinvio.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto d’ufficio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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