Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-05-2011) 25-05-2011, n. 20847 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 aprile 2010, la Corte d’Appello di Torino, in riforma della sentenza assolutoria in data 8 ottobre 2008 del Tribunale di Aosta, appellata dal Pubblico Ministero, condannava B.F. per il reato dì violenza sessuale in danno di R.B..

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

In particolare, deduceva il vizio di motivazione con riferimento ai seguenti diversi punti della decisione:

1. il giudizio positivo sulla capacità a testimoniare delle persona offesa sarebbe stato effettuato dalla Corte territoriale dopo aver dato atto di alcune divergenze di giudizio tra il consulente d’ufficio e quello della difesa, affermando di dover apprezzare le rispettive conclusioni alla luce delle risultanze processuali ma senza dare atto del procedimento logico che avrebbe portato a tale positiva valutazione e senza considerare il dato rilevante dell’assunzione, da parte della parte offesa, il giorno dell’evento, di psicofarmaci unitamente ad alcool;

2. vi sarebbe contraddizione tra la motivazione e le risultanze istruttorie con riferimento alla descrizione dell’aggressione subita da parte della persona offesa circa le modalità con le quali l’avrebbe trasportata in camera da letto.

Nella querela, infatti, la predetta afferma di essere stata "trasportata come una piuma", quindi in braccio (circostanza inverosimile dato il suo peso e la corporatura dell’indagato) mentre la Corte d’Appello avrebbe inteso tale espressione nel senso che la predetta sarebbe stata sollevata da terra e non in braccio;

3. la Corte territoriale avrebbe valutato la dinamica della violenza sessuale in modo contrastante con l’evidenza, in particolare con riferimento alla circostanza che la persona offesa, pur trovandosi stesa sul letto a pancia in giù con l’imputato sopra di lei, sarebbe comunque riuscita a voltarsi in posizione supina;

4. la Corte d’Appello non avrebbe indicato in base a quali elementi abbia tratto la convinzione che la violenza possa essere stata comunque consumata mentre la persona offesa si trovava con i collant abbassati sotto le ginocchia che le bloccavano le gambe ed avrebbe illogicamente giustificato tale situazione con l’atteggiamento remissivo che la persona offesa dichiara di aver assunto per evitare di farsi male durante il rapporto;

5. i giudici del gravame non avrebbero tenuto conto della circostanza, indicata dai consulenti tecnici, che le condizioni della persona offesa potevano comportare atteggiamenti ambigui da parte della stessa, tali da creare malintesi con eventuali interlocutori, non in grado di percepire il pensiero interiore della stessa diverso da quanto fatto apparire esteriormente, con la conseguenza che la medesima potrebbe non aver espresso in modo evidente il suo dissenso al rapporto sessuale;

6. la Corte d’Appello, nel ritenere la natura violenta del rapporto sessuale, non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni dell’imputato, il quale ha sempre fornito una identica versione dei fatti, giungendo così a valutazioni contraddittorie rispetto alle risultanze processuali, in particolare nell’affermazione, del tutto illogica, che la mancanza di effusioni amorose precedenti all’atto sessuale fosse sintomatico di un rapporto non consenziente;

7. la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto veritiere le dichiarazioni della persona offesa circa il ritardo nella presentazione della querela.

8. la valutazione dei giudici del gravame circa la veridicità e buona fede che sorregge la querela della persona offesa sarebbe in contrasto con le conclusioni dei consulenti tecnici Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente osservare che lo stesso si basa, in sostanza, nella denuncia del vizio di motivazione con riferimento a singoli punti della decisione analiticamente indicati.

Il primo e fondamentale motivo di critica alla sentenza impugnata riguarda il giudizio sulla capacità a testimoniare della persona offesa e la valutazione dell’esito della perizia e della consulenza di parte che hanno evidenziato la presenza di un disturbo della personalità, una dipendenza alcoolica in fase di remissione e l’assunzione di psicofarmaci.

Tali dati fattuali e la divergenza tra le dichiarazioni del perito d’ufficio ed il consulente della difesa vengono assunti in ricorso come elementi che si pongono in evidente contraddizione con le conclusioni della Corte territoriale ed evidenziano la illogicità del percorso argomentativo sul quale si fonda il positivo giudizio cui la stessa perviene circa la capacità a testimoniare della persona offesa.

Ciò posto, occorre ricordare quali siano i principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di valutazione delle risultanze peritali ed obbligo di motivazione del giudice di merito.

Si è in particolare affermato che tale valutazione costituisce giudizio di fatto e, come tale, incensurabile in sede di legittimità quando il giudice abbia dato compiutamente conto, in motivazione, delle ragioni per le quali abbia optato per la scelta ritenuta maggiormente condivisibile, del contenuto dell’opinione disattesa e delle eventuali deduzioni delle parti (Sez. 4 n. 45126,4 dicembre 2008; Sez. 4 n. 11235, 9 dicembre 1997).

Si è ulteriormente precisato che in caso di adesione alle conclusioni del perito d’ufficio rispetto a quelle, difformi, del consulente di parte, il giudice non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, essendogli solamente richiesto di dimostrare di avere comunque valutato le conclusioni del primo senza ignorare quelle del secondo, con la conseguenza che rileva il vizio di motivazione solo nel caso in cui le conclusioni del consulente di parte siano tali da dimostrare inconfutabilmente la fallacità di quelle del perito (Sez. 1 n. 25183, 17 giugno 2009;

Sez. 4 n. 34379, 11 agosto 2004; Sez. 1 n. 6528, 3 giugno 1998).

Alla luce di tali principi, che il Collegio condivide, deve osservarsi come la Corte territoriale abbia dato compiutamente conto tanto delle conclusioni del perito quanto di quelle del consulente di parte, ricavandone un quadro complessivo delle condizioni della persona offesa ed abbia affermato che di tali condizioni doveva tenersi conto nella valutazione delle dichiarazioni testimoniali, con l’ulteriore precisazione che dette condizioni vanno riferite al caso concreto, tenendo conto di tutte le risultanze di fatto e non utilizzate ai fini di un astratto ed aprioristico giudizio di inattendibilità.

Si tratta, contrariamente a quanto affermato in ricorso, di una valutazione completa e coerente che mette in condizione di ripercorrere l’iter logico seguito dai giudici nell’apprezzamento delle opinioni, peraltro solo in parte divergenti, dei due esperti.

Nel ricorso viene imputata alla Corte territoriale una motivazione contraddittoria e manifestamente illogica sul punto attraverso l’esame di singoli brani estrapolati dagli elaborati peritali e dalle trascrizioni dell’esame dibattimentale ed inframmezzati da commenti.

Ciò posto, deve osservarsi che anche tale inaccettabile frammentazione del contenuto dei singoli atti richiamati non evidenzia censure che possano essere mosse alla valutazione in fatto come sopra operata dalla Corte del merito per pervenire al positivo giudizio di attendibilità della persona offesa.

Venendo alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa vittima di abuso sessuale, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che alle stesse, quando la testimonianza sia ritenuta intrinsecamente attendibile, va riconosciuta la natura di vera e propria fonte di prova, ammettendo che sulla stessa, anche esclusivamente, possa essere fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata (Sez. 4 n. 30422, 10 agosto 2005; Sez. 4 n. 16860, 9 aprile 2004; Sez. 5 n. 6910,1 giugnol999).

Sulla attendibilità della stessa si sofferma il ricorso con le doglianze in precedenza riassunte ai nn. 2, 3 e 4, laddove pone in dubbio l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa in relazione alla ricostruzione della vicenda.

Si insiste, in particolare, su tre circostanze: le modalità con le quali la vittima sarebbe stata trasportata in camera da letto, il fatto che la stessa abbia potuto girarsi dalla posizione prona a quella supina pur avendo addosso il ricorrente e la materiale impossibilità di consumare il rapporto sessuale con le gambe bloccate dai collant.

Va detto che, anche in questo caso, le censure mosse in ricorso vengono illustrate anche attraverso una riproduzione parziale, del tutto inutile ai fini della decisione, di singoli brani dei verbali contenenti le dichiarazioni della persona offesa.

Va infatti ricordato che, con specifico riguardo al vizio di motivazione riferito alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, è stata ripetutamente evidenziata l’impossibilità per il giudice di legittimità di accedere agli atti (tranne nel caso in cui gli stessi siano allegati al ricorso o in esso integralmente riprodotti) e la delicatezza del controllo di legittimità, che impone al giudice "di verificare se il "senso o significato probatorio " dedotto dal ricorrente sia congruo al "complesso" della dichiarazione", operazione di stretto merito che "in genere presuppone non solo la conoscenza degli altri elementi di prova, ma appunto anche la stessa valutazione complessiva di tutte le prove: la Corte, in questa prospettiva, deve limitarsi alla "verifica di legittimità" della corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente e il contenuto complessivo delle dichiarazione, che è verifica del tutto peculiare, che si caratterizza per il non sostituirsi al compito esclusivo del giudice di merito, limitandosi ad accertare l’eventuale sussistenza del vizio processuale dedotto, senza alcun vincolo "contenutistico" per il successivo apprezzamento del giudice di merito nel caso di annullamento con rinvio sul punto" (così Sez. F. n. 32362, 26 agosto 2010. Nello stesso senso, Sez. 6 n. 18491, 14 maggio 2010).

Il giudizio deve pertanto essere effettuato entro tali precisi limiti, imposti come si è visto, dalla impossibilità per il giudice di legittimità di disporre del complesso dei dati fattuali acquisiti nel giudizio di merito e che, nell’ambito dello stesso, devono essere globalmente valutati.

L’individuazione completa dell’atto probatorio, peraltro, deve consentire l’immediata percezione del contrasto tra quanto in esso riportato e quanto affermato in sentenza, senza possibilità di interpretazione o di letture alternative.

Tali condizioni non risultano rispettate nella fattispecie, poichè anche dalla frammentaria riproduzione dei brani dell’interrogatorio della persona offesa non risultano evidenti contraddizioni con le argomentazioni prospettate dalla Corte territoriale, con la conseguenza che le deduzioni mosse in ricorso si risolvono, in sostanza, nella prospettazione di una differente soluzione interpretativa dei dati fattuali acquisiti.

Invero, la Corte del merito ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto verosimile il racconto della persona offesa nella parte in cui descrive le modalità con le quali era stata trasportata dal ricorrente in camera da letto, osservando come l’espressione "portata come una piuma" usata in querela poteva ritenersi riferita non tanto al fatto di essere trasportata in braccio, quanto, piuttosto, all’essere sollevata da terra come meglio riferito in sede dibattimentale, aggiungendo di essere stata sorpresa de fatto che il ricorrente, con la sua corporatura, disponesse di tale prestanza.

Tale spiegazione risulta del tutto logica e priva di contraddizioni, posto che la Corte ha chiaramente spiegato il senso attribuito all’espressione il cui contenuto, peraltro, non è in alcun modo indicativo di particolari modalità di trasporto di una persona quanto, piuttosto, della facilità con la quale questo può essere avvenuto.

Ad analoghe conclusioni deve giungersi per quanto attiene alla circostanza che la parte offesa afferma di essersi riuscita a cambiare posizione, da prona a supina, nonostante il ricorrente incombesse su di lei.

La Corte del merito ha giustificato tale possibilità osservando come non potesse escludersi la possibilità che la donna sia riuscita a cambiare posizione, compiendo tale sforzo nel timore di essere violentata in quella posizione per poi assumere un atteggiamento remissivo dopo aver considerato che non sarebbe riuscita a sottrarsi alla violenza.

Anche in questo caso le considerazioni svolte dalla Corte territoriale non appaiono in palese contraddizione con la complessiva dinamica dei fatti, non apparendo illogica la considerazione che nella concitazione del momento e con il ricorrente certamente non immobile perchè in procinto di compiere la violenza sessuale, la persona offesa possa essere riuscita a cambiare posizione.

Altrettanto congrua ed immune da vizi logici appare la considerazione circa la attendibilità delle dichiarazioni della vittima allorquando dichiara di aver rinunciato a qualsiasi reazione verso il suo aggressore e la possibilità che tale atteggiamento remissivo abbia consentito al ricorrente di portare a compimento l’atto sessuale pur avendo la persona offesa i collant abbassati fino alle ginocchia.

Va peraltro osservato che, in ricorso, la illogicità della motivazione del provvedimento impugnato riguardo alla credibilità della persona offesa sul punto viene posta in dubbio riferendosi astrattamente alla ritenuta impossibilità di consumare un rapporto sessuale con il collant abbassato alle ginocchia senza alcun riferimento diretto al contenuto delle dichiarazioni della predetta che, anche in questo caso, vengono solo parzialmente riportate.

La sentenza appare immune da censure anche nella parte in cui analizza la natura violenta e non consensuale del rapporto sessuale e della quale trattano i punti del ricorso sintetizzati in precedenza ai nn. 5 e 6.

Anche in questo caso viene compiutamente dato atto dell’iter logico seguito dai giudici del gravame i quali forniscono coerenti apprezzamenti sulla piena comprensione, da parte del ricorrente, del manifesto dissenso della persona offesa anche se seguito dall’atteggiamento remissivo di cui si è detto, procedendo anche ad una analisi non solo di quanto affermato dalla donna, ma anche delle dichiarazioni del ricorrente, il tutto tenendo ben presente le conclusioni del perito e del consulente di parte.

Nessuna contraddittorietà o manifesta illogicità è dato rilevare, infine, nella parte della sentenza in cui viene data ampia e dettagliata spiegazione delle ragioni per le quali risultava giustificato il ritardo nella presentazione della querela e nella ritenuta assenza di sentimenti di ostilità o intenti calunniosi da parte della querelante.

Sul punto la sentenza impugnata fornisce convincenti ed esaustive giustificazioni, mentre il ricorso muove contestazioni del tutto genetiche o frutto di mere illazioni, con riferimenti altrettanto generici alla inattendibilità ritenuta dal giudice di prime cure o alla possibilità, alla luce delle più volte richiamate valutazioni peritali, che la parte offesa possa aver confuso un rapporto sessuale consensuale con una violenza.

In definitiva, la Corte territoriale ha doverosamente considerato le risultanze della perizia e della consulenza di parte circa le condizioni della persona offesa e la sua capacità a testimoniare, ha sottoposto le dichiarazioni della stessa a rigorosa verifica, valutando i dati probatori acquisiti nel loro complesso pervenendo ad un giudizio di affermazione della penale responsabilità del ricorrente attraverso un percorso argomentativo solido e privo di contraddizioni e che può ritenersi del tutto immune da censure così da passare indenne al vaglio di legittimità.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese del procedimento nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 1.800,00 oltre ad accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *