Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 28-04-2011) 25-05-2011, n. 20841

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Civitavecchia, sezione distaccata di Bracciano con sentenza del 23/4/09. dichiarava C.A. colpevole del reato di cui alla L. n. 394 del 1991, art. 11, comma 3, lett. f) e art. 30, comma 1 e L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. D) e lo condannava alla pena di giorni 15 di arresto ed Euro 600.00 di ammenda.

La Corte di Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 31/3/2010 ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, con i seguenti motivi:

-insussistenza di elementi atti a comprovare che l’imputato sia stato sorpreso nell’esercizio della attività venatoria:

-errata applicazione della L. n. 394 del 1991, artt. 11, comma 3, lett. c) e f), e art. 30, comma 1 in quanto la zona del parco non era delimitata da adeguata tabellazione;

-mancanza di motivazione logico-giuridica attraverso la quale la Corte territoriale è pervenuta ad affermare la responsabilità del prevenuto:

-prescrizione del reato, visto che il relativo termine è spirato prima della scadenza per proporre il presente ricorso.

La difesa dell’imputato ha inoltrato in atti memoria, in cui ribadisce la eccezione di prescrizione del reato e censura la mancata concessione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale. adottata dal decidente, si palesa del tutto logica e corretta.

Le doglianza mossa in impugnazione, relativamente alla mancata tabulazione della zona delimitante il territorio del Parco è totalmente priva di pregio, rilevato che in tenia di divieto di caccia, nelle aree protette la mancanza di specifici segnali o cartelli, indicanti sul posto i limiti della zona protetta, non escludono la integrabilità del reato di cui alla L. n. 157 del 1992, artt. 21 e 30 atteso che l’obbligo di conoscenza del contravventore del perimetro interdetto discende dalla pubblicazione sulla Gazzetta della carta topografica relativa a quella specifica area (Cass. 14/2/05. n. 5489: Cass. 14/7/05 n. 25825).

Del pari manifestamente infondate si palesano le ragioni poste a sostegno della mancanza di prova sulla responsabilità del prevenuto in ordine al reato ad esso contestato.

Sul punto il giudice di merito richiama puntuali emergenze istruttorie, dalle quali si evince che il C. venne raggiunto da una guardia forestale, dopo che questa aveva sentito dei colpi di arma da fuoco, all’interno del Parco, trovando il prevenuto in possesso di sei allodole e di un fucile da caccia.

Peraltro la censura avanzata rivela il tentativo di una rivisitazione della piattaforma probatoria, sulla quale al giudice di legittimità è precluso procedere a rinnovato esame estimativo.

Esula, intatti, dai poteri di questa Corte quello di assoggettare le emergenze istruttorie a nuova indagine valutativa, di competenza esclusiva del giudice del merito, essendo compito del giudice di legittimità quello di vagliare la compiutezza della argomentazione motivazionale adottata dal decidente per pervenire alla pronuncia, verificandone il corretto, compiuto e logico riscontro alle doglianze mosse dalle parti, con esame di tutti gli elementi a sua disposizione, fornendo di essi ampia, esaustiva e plausibile spiegazione.

Il diniego della concessione delle invocate attenuanti generiche risulta esattamente motivato, con richiami agli elementi ritenuti ad essa ostativi, indicati nelle numerose condanne dal prevenuto già riportate, evidenzianti una personalità proclive a violare la legge.

Quanto alla eccezione di prescrizione del reato, rilevasi che il relativo termine si è maturato solo in data 9/5/2010 ma la inammissibilità del ricorso dovuto alla manifesta infondatezza dei motivi in esso libellati non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le ecause di non punibilità, ex art. 129 c.p.p. (Cass. S.U. 21/12/2000).

Tenuto conto, di poi. della sentenza del 13/6/3000 n. 186 della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il C. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000.00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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