Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 25-05-2011, n. 20831 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 7 aprile 2010, la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna, emessa a seguito di giudizio abbreviato l’11 maggio 2009, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 con recidiva reiterata specifica.

Avverso tale decisione l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e, in particolare, lamentando; 1) la carenza di motivazione circa la sua responsabilità penale, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della scarsità delle prove a carico; 2) la carenza e la manifesta illogicità della motivazione circa la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; 3) la carenza di motivazione in ordine alla quantificazione della pena.
Motivi della decisione

1. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1.1. – Quanto al primo motivo di impugnazione, va rilevato che la motivazione della sentenza d’appello circa la penale responsabilità dell’imputato appare logicamente corretta e sufficientemente circostanziata, perchè offre un quadro completo di tutti gli elementi di prova raccolti e in particolare: a) della condotta di guida dell’imputato, uscito a forte velocità da un casello stradale, indice di un’intenzione di sfuggire ai controlli di polizia; b) della presenza di stupefacente non occultato nell’abitacolo, spiegabile con una cattiva organizzazione del trasporto da parte dello stesso imputato; c) dell’inverosimiglianza dell’esclusiva responsabilità di B., secondo occupante dell’auto, sul duplice rilievo che l’auto era nella disponibilità di M., in quanto intestata a sua figlia, e che non era verosimile che un ventenne rumeno – quale era appunto B. – utilizzasse l’auto di un pregiudicato ben più anziano per trasportare, a sua insaputa, 5 kg. di hashish.

A fronte di una siffatta motivazione, le censure del ricorrente si risolvono, nella sostanza, nella richiesta di una reinterpretazione del quadro probatorio, che si concretizza in un riesame del merito della sentenza impugnata, precluso in sede di legittimità.

Deve, infatti, farsi richiamo alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096).

Ne consegue l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

1.2. – Il secondo e il terzo motivo di ricorso possono esser trattati congiuntamente, perchè attengono entrambi a pretesi vizi della motivazione circa il trattamento sanzionatorio.

Deve farsi richiamo all’orientamento, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui, in tema di determinazione della pena, la concessione, o meno, delle attenuanti generiche costituisce un giudizio di fatto sottratto al controllo di legittimità, perchè è demandato dalla legge al criterio discrezionale del giudice del merito, che ha la funzione di adeguare la determinazione della pena all’entità dello episodio criminoso; sicchè, quando detto giudice ha motivato in ordine alla concreta irrogazione della pena, con riferimento esplicito ai criteri di valutazione di cui all’art. 133 c.p., l’esito della sua valutazione – anche di implicito rigetto della richiesta di concessione delle attenuanti in parola – non è censurabile in sede di legittimità (ex plurimis, Sez. 4, 30.11.1988, n. 21; Sez. 2, 1 marzo 2011, n. 9902). A ciò deve aggiungersi che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, 19 maggio 2004, n. 29434).

Nel caso in esame, la sentenza censurata ha disatteso la richiesta di diminuzione della pena e concessione delle attenuanti generiche, facendo esplicito riferimento ai criteri di valutazione di cui all’art. 133 c.p., laddove ha affermato che la pena irrogata tiene conto dei gravissimi precedenti specifici dell’imputato, che sono tali da rendere irrilevanti eventuali elementi a suo favore, quali la disponibilità di un lavoro e la presenza di una famiglia.

Anche il secondo e il terzo motivo di ricorso devono, pertanto, essere dichiarati infondati.

2. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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