Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 25-05-2011, n. 20827Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Campobasso, con sentenza depositata il 15 aprile 2010, previo riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità a S.F. e S.L. (ritenuta equivalente alla recidiva), ha rideterminato la pena, rispettivamente, in anni cinque di reclusione e 18 mila Euro di multa, ed anni quattro e mesi quattro di reclusione e 18 mila Euro di multa, confermando integralmente, invece, la sentenza del Tribunale di Isernia del 26 ottobre 2009 quanto alla pena inflitta in primo grado all’altro imputato S.G. (anni uno, mesi due e 3 mila Euro di multa), al quale tale attenuante era stata già riconosciuta, con rigetto della richiesta avanzata dallo stesso di riconoscimento delle attenuanti generiche, condanne disposte in riferimento a vari delitti di cessione di sostanze stupefacenti, fatti accertati in (OMISSIS).

La procura generale presso la Corte di appello di Campobasso ha proposto ricorso per cassazione; hanno parimenti proposto ricorso gli imputati.

1. Il PG ricorrente ha censurato la decisione sotto il profilo della violazione di legge per l’erronea applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, e per mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La sentenza di primo grado aveva dato atto dell’esistenza di un intenso traffico di sostanze stupefacenti (crack ed eroina) e del fatto che gli imputati S.F. e L. erano risultati gestori di tale rete destinata a saturare il mercato locale, dimostrando professionalità nell’organizzazione dell’attività di spaccio, che si caratterizzava per il notevole quantitativo di droga oggetto delle transazioni, l’elevato numero degli episodi criminosi e dei clienti riforniti ed il significativo arco temporale dell’attività stessa. A fronte di tali constatazione, la sentenza impugnata avrebbe illogicamente ritenuto tale attività, meramente occasionale, caratterizzata dalla modestia delle somme di volta in volta pagate. La sentenza risulterebbe anche carente nella motivazione, in quanto non avrebbe fatto cenno al dato quantitativo delle sostanze stupefacenti cedute, nè al numero delle transazioni ed alla loro frequenza, nè avrebbe dato rilievo al fatto che gli imputati sono soggetti recidivi reiterati infraquinquennali.

2. Il PG ha anche presentato istanza per la correzione di errori materiali ex art. 130 c.p.p. contenuti nella sentenza impugnata, nella parte in cui il delitto contestato al capo I) della rubrica viene riferito nel preambolo della sentenza a S.F. e S.L., anzichè a S.G., e nella parte in cui viene ancora inclusa la contestazione di cui al capo L), in quanto tale capo non era stato oggetto di impugnazione in appello, in quanto gli imputati S.F. e S.G. erano stati assolti in primo grado da tale specifica imputazione per non aver commesso il fatto. La correzione dovrebbe precisare la già intervenuta assoluzione in riferimento al capo L) e dovrebbe chiarire che il S.G. risulta condannato per il solo capo I), erroneamente indicato ascritto al S.F. e S. L..

3. Anche gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza sia per violazione di legge che per illogicità della motivazione in riferimento all’applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. La Corte di appello, pur riconoscendo l’attenuante del fatto di lieve entità, avrebbe comminato la pena nel suo massimo edittale, in tal modo finendo per commisurare la sanzione alla medesima pena prevista nel minimo edittale in riferimento ai reati di cui ai precedenti commi 1 e 1 bis dell’art. 73; ciò in contraddizione con la valutazione effettuata circa la lieve potenzialità offensiva dei fatti commessi. La pena dovrebbe essere rideterminata per tutti gli imputati, tenendo conto delle modalità e del limitato potenziale offensivo della condotta.
Motivi della decisione

1. Osserva la Corte che il ricorso del PG è manifestamente infondato. Non si ravvisa alcuna violazione di legge in relazione alle valutazioni effettuate dalla Corte di appello circa il riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 anche per le imputazioni ascritte a S.F. e S.L..

La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato il principio che il comportamento da prendere in considerazione, ai fini del riconoscimento di tale attenuante è quello che si caratterizza per una ridotta valenza offensiva, da valutare attraverso l’esame di tutti gli elementi indicati nella norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che si riferiscono all’oggetto materiale del reato (caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza stupefacente), per cui il giudice deve negare la sussistenza del fatto di "lieve entità" anche quando la ricorrenza di uno soltanto degli elementi indicati escluda che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità, ma, di contro può ben riconoscerlo quando nei comportamenti concretamente posti in essere sia accertata l’esistenza anche di un solo elemento positivo di tali elementi, semprechè lo stesso non venga contrastato da uno degli altri previsti dalla disposizione (Cfr. Sez. 6, n. 8857 del 30/7/1998, Canepi, Rv. 212005 e, da ultimo, Sez. U, n. 35737 del 5/10/2010, P.G. in proc. Rico, Rv. 247911 e Sez. 4, n. 43399 del 7/12/2010, Serrapede, Rv. 248947) Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente l’attenuante speciale, con valutazione di fatto non sindacabile in questa sede di legittimità, facendo riferimento al fatto che sebbene gli episodi di spaccio contestati sono diversi, è possibile ritenere compatibile l’attenuante in questione anche con lo svolgimento di un’attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, come del resto affermato dalla giurisprudenza che ha ritenuto ammissibile configurare lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo (cfr. Sez. 6, n. 25988 del 27/6/2008, P.M. in proc. Lataj, Rv. 240569). Inoltre è stato segnalato il fatto che la particolare modestia delle somme pagate dai vari tossicodipendenti aveva evidenziato, nel concreto, una lieve potenzialità offensiva dell’attività di spaccio. In pratica, il PG ricorrente tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi (ispirati a maggior rigore) da quelli adottati dai giudici di appello, che con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento quanto al riconoscimento a S.F. e S.L. dell’attenuante sopra menzionata. Difatti, la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, "posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, in quanto è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione" (Cfr. Sez. 2, n. 18163 del 6/5/2008, Federico, Rv.

239789).

2. Anche il motivo di ricorso avanzato dagli imputati risulta manifestamente infondato, in quanto si risolve nell’invocare una nuova valutazione circa i criteri che il giudice della sentenza impugnata ha posto a base della dosimetria della pena, una volta confermata la valutazione negativa circa la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche e riconosciuta l’attenuante di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, T.U. stupefacenti, valutata equivalente alle recidive contestate, in relazione ai fatti di spaccio di droga, quali accertati nel corso del giudizio di merito. Tali criteri sono state trasfusi dai giudici di merito in una precisa trama argomentativa, immune da vizi di logicità, oltre che perfettamente aderente alle risultanze acquisite.

3. Sia il ricorso promosso dal PG che quello promosso dagli imputati vanno, in conclusione, dichiarati inammissibili e gli imputati vanno condannati, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di mille Euro in favore della Cassa delle ammende.

Per quanto attiene all’istanza di correzione dell’errore materiale, la stessa dovrà essere avanzata al giudice che ebbe ad emettere la sentenza, in quanto questa Corte, giusto il disposto dell’art. 130 c.p.p., comma 1 non può provvedervi, attesa la declaratoria di inammissibilità delle proposte impugnazioni.
P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna gli imputati singolarmente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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