CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE – SENTENZA 24 dicembre 2008, n.48165 NON HA DIRITTO AL PERMESSO DI NECESSITÀ IL CONDANNATO CHE VUOLE CONSUMARE IL MATRIMONIO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto e diritto

Il Tribunale di sorveglianza di Perugia rigettava il reclamo presentato da R. G. avverso il provvedimento col quale il Magistrato di sorveglianza di Spoleto aveva rigettato la richiesta di permesso avanzata ai sensi dell’art. 30 O.P. allo scopo di passare del tempo con la moglie per consumare il matrimonio celebrato in carcere. Osservava che la richiesta di permesso non poteva ricondursi nell’ambito dell’art. 30, che si occupava del permesso di necessità e cioè di eventi di particolare gravità ed eccezionalità, mentre poteva ricondursi nell’ambito del permesso premio di cui all’art. 30 ter O.P. per il quale però bisognava che sussistessero tutti i requisiti previsti dalla legge. Nel caso di specie si trattava di un detenuto condannato all’ergastolo per gravi reati per il quale non erano ancora maturate le condizioni per poter beneficiare dei permessi premio.

Avverso la decisione presentava ricorso il condannato e denunciava l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 2, O.P. in relazione agli artt. 2, 29 e 32 Cost. nell’interpretazione effettuata dal giudice di merito secondo cui non rientrava negli eventi di particolare gravità la possibilità di avere rapporti sessuali con la propria moglie, sposata in costanza di detenzione, e quindi nei confronti della quale non era stata possibile la consumazione del matrimonio. Rilevava che doveva essere considerato un diritto inviolabile dell’uomo quello di esercitare i suoi diritti nell’ambito della famiglia e che tra gli eventi di particolare gravità doveva inserirsi anche il matrimonio e di conseguenza la consumazione del matrimonio. Presentava una memoria con la quale ribadiva che tra gli eventi di particolare gravità doveva comprendersi anche quello positivo come il matrimonio e che un rifiuto a consentire la consumazione si traduceva in un trattamento penitenziario contrario al sentimento di umanità.

La Corte ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile sostenendo una tesi infondata e contraria alla disciplina legislativa in materia. Il motivo vero per il quale viene chiesta questa interpretazione anomala del permesso disciplinato dall’art. 30 O.P. è che il condannato non può beneficiare del permesso premio disciplinato dall’art. 30 ter, trattandosi di persona condannata all’ergastolo che non ha ancora maturato il diritto a beneficiarne, il che significa che non esiste un divieto assoluto di tutela di tale esigenza affettiva e umana, ma che i detenuti debbono trovarsi nelle condizioni di poter beneficiare della misura. Ne consegue che sussistendo lo strumento giuridico per beneficiare della possibilità di incontrare i familiari nell’ambiente domestico, non vi è alcuna illegittimità costituzionale di una norma che ha come scopo ben altro che non un’esigenza naturale ed affettiva, sacrificata per lo stato di detenzione. Non si comprende come tale esigenza debba avere una disciplina diversa se ad invocarla è un detenuto sposato rispetto ad uno non sposato, oppure se viene invocata da uno che si è sposato prima della detenzione o durante la detenzione. Tra gli eventi di particolare gravità non che può rientrare tutto ciò che ha il carattere dell’eccezionalità e non il diritto ad avere rapporti sessuali, che per sua natura, non ha alcun carattere di eccezionalità.

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *