Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-04-2011) 25-05-2011, n. 20825 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9 aprile 2010, la Corte d’Appello di Salerno riformava parzialmente la sentenza con la quale il G.U.P. di Salerno, il 19 ottobre 2006, condannava G.C. per i reati di violenza sessuale nei confronti di M.B. e M.A. assolvendolo per i reati commessi in danno del primo per insussistenza del fatto e rideterminando la pena inflitta dal primo giudice.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando la non corretta collocazione temporale dei fatti contestati.

Evidenziava, a tale proposito, che la Corte territoriale aveva ritenuto che le condotte penalmente valutabili erano state poste in essere a far data dall’estate del (OMISSIS), quando la parte offesa non aveva ancora compiuto i quattordici anni, mentre, al contrario, tale assunto risultava smentito dalle dichiarazioni rese dalla stessa innanzi al Tribunale dei minori il 2 luglio 1999 e dalle quali risultava che la predetta aveva fatto risalire il loro primo incontro ad alcuni mesi prima.

Rilevando poi che la minore era stata ascoltata, nell’ambito delle indagini, con modalità tali da pome in dubbio l’attendibilità, non essendo stati utilizzati i criteri fissati dalla Carta di Noto e le metodiche normalmente utilizzate nei confronti di minori sessualmente abusati, osservava che il padre della minore risultava essere venuto a conoscenza dei fatti il (OMISSIS) e che pertanto, dovendosi ritenere i fatti verificatisi dopo che la minore aveva compiuto i quattordici anni d’età, la querela del genitore doveva ritenersi tardiva perchè presentata il (OMISSIS) e priva, inoltre, di una espressa istanza di punizione.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione e la violazione di legge, rilevando che l’affermazione di responsabilità era basata sulle sole dichiarazioni della persona offesa, peraltro affetta da ritardo mentale e di apprendimento, rimaste senza obiettivi riscontri, mentre la consulenza psicologica si era svolta in un vero e proprio incidente probatorio senza l’osservanza delle disposizioni che ne disciplinano l’espletamento.

Contestava, inoltre, le valutazione della Corte territoriale sulle dichiarazioni delle persone sentite anche a seguito di indagini difensive ed evidenziava come la sentenza non palesasse le ragioni per le quali lo svolgimento dei fatti era stato collocato nella sequenza temporale compresa tra il (OMISSIS) e lamentava che gli stessi, così come accertati, non potevano essere ricondotti ad ipotesi della violenza sessuale.

Con un terzo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche concesse sull’aggravante contestata e dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5 Con un quarto motivo di ricorso deduceva la estinzione del reato con riferimento ai fatti contestati come verificatisi nell’estate (OMISSIS) dovendosi applicare la disciplina introdotta dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, che non prevede più la decorrenza del termine dalla cessazione della continuazione ed essendo conseguentemente spirato il termine massimo di dodici anni e sei mesi.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

In data 29 marzo 2011 il ricorrente faceva pervenire motivi nuovi con i quali ribadiva ulteriormente le già dedotte questioni inerenti la collocazione temporale degli episodi e la tempestività della querela.
Motivi della decisione

Con riferimento al primo motivo di ricorso occorre rilevare che la Corte territoriale ha adeguatamente illustrato le ragioni per le quali doveva ritenersi esatta la collocazione temporale degli episodi contestati al ricorrente prospettata dal G.U.P. nella sentenza di primo grado, in quanto le dichiarazioni della bambina erano confermate da dati obiettivi, quali l’affermazione di aver cominciato a frequentare il ricorrente nel periodo estivo, quando aveva conseguito la licenza media inferiore e la mamma non era ancora in attesa dell’ultimo figlio, nato nel (OMISSIS) e la frequentazione con un’amica, alla quale aveva poi confidato le violenze subite, iniziata nell’inverno (OMISSIS).

Sul punto la Corte di merito ha anche evidenziato la minima rilevanza di alcune contraddizioni, non idonee ad intaccare il diverso dato obiettivo acquisito e la ulteriore conferma della infondatezza delle deduzioni difensive nelle dichiarazioni di alcuni testi, i quali avevano riferito di aver notato fin dal (OMISSIS) che la bambina si accompagnava al ricorrente.

Il mancato compimento del quattordicesimo anno alla data così correttamente individuata determinava, pertanto, la procedibilità di ufficio per il reato contestato.

Le argomentazioni poste dalla Corte territoriale a sostegno di tali conclusioni appaiono del tutto coerenti e immuni da censure e non vengono meno neppure a fronte del contenuto del verbale delle dichiarazioni rese dalla giovane innanzi al Tribunale dei minori il 2 luglio 1999 allegato al ricorso.

Lo stesso contiene, infatti, indicazioni del tutto generiche e non sufficienti ad inficiare la diversa ricostruzione effettuata dai giudici di merito attraverso plurimi riscontri obiettivi e verificabili.

La bambina riferisce, infatti, nel suddetto verbale, di aver conosciuto il ricorrente "qualche mese fa" aggiungendo subito dopo la frase "non ricordo di preciso quando"; a tali indefinite affermazioni segue un primo racconto delle violenze perpetrate a suo danno privo di ulteriori elementi idonei ad una ricostruzione certa della esatta sequenza temporale degli avvenimenti.

La decisione impugnata appare inoltre del tutto immune da censure anche con riferimento al secondo motivo di ricorso.

Va a tale proposito rilevato come la Corte di merito abbia fornito ampia e dettagliata risposta alle doglianze mosse nell’atto di appello circa la attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa ritenuta dal giudice di prime cure.

La Corte d’appello ha infatti ritenuto pienamente condivisibili le diffuse argomentazioni del G.U.P., ponendo l’accento sulla spontaneità del racconto e richiamando, a tale proposito, la genesi delle accuse indirizzate al ricorrente non direttamente, essendosi la minore rivolta ad un’amica e senza manifestare alcun sentimento astioso o propositi di vendetta. Le conclusioni del G.U.P. vengono sottoposte ad attento vaglio critico, ponendo in evidenza la pluralità degli aspetti presi in considerazione per la verifica di attendibilità e credibilità della persona offesa e la compatibilità del contenuto delle dichiarazioni con gli esiti della consulenza psicologica e con i riscontri obiettivi forniti dalle dichiarazioni dell’amica della giovane che aveva raccolto le sue confidenze e dalla madre alla quale la stessa le aveva riferite.

La Corte territoriale ha legittimamente richiamato per relationem le diffuse argomentazioni del G.U.P. facendole proprie e non rilevando alcun vizio motivazionale o errore logico.

Tale attenta considerazione non si è peraltro arrestata al mero recepimento dei contenuti ed alla loro disamina con le modalità in precedenza descritte, avendo la Corte proceduto anche ad una accurata analisi dei motivi di appello ed alla loro puntuale confutazione.

Si è così ribadita l’attendibilità del narrato, la compatibilità dei contenuti con il linguaggio ed il grado di maturità della vittima, l’assenza di evidenti sintomi di etero – suggestione riscontrati attraverso un esame dei dati probatori perfettamente aderente ai principi ripetutamente affermati da questa Corte e improntata al massimo rigore.

Altrettanto accurata appare la valutazione delle dichiarazioni rese dalle persone escusse in occasione di indagini difensive, la cui irrilevanza ed inattendibilità sono state minuziosamente descritte, specie con riferimento al tempo delle dichiarazioni, rese dopo che era noto l’esito delle indagini a seguito del deposito degli atti ed al rapporto di parentela intercorrente con il ricorrente ed in ordine alle quali si è proceduto anche ad un confronto con gli altri elementi acquisiti e le dichiarazioni della persona offesa.

In definitiva, la motivazione sul punto appare del tutto coerente e fondata su un apparato argomentativo solido e scevro da vizi logici che fornisce adeguata risposta a tutte le censure mosse con l’atto di appello.

Invero, la consolidata giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 6 n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6 n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6 n. 23528, Sez. IH n. 12110, 19 marzo 2009).

Tali requisiti risultano ampiamente rispettati dai giudici del merito, tanto che il ricorso si risolve nella proposizione di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti che non è ammissibile in questa sede.

Del tutto irrilevante appare, inoltre, il riferimento alla mancata utilizzazione dei criteri metodologici fissati dalla "Carta di Noto" in quanto, come rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte, non sussiste alcun obbligo di osservare, nell’esame di soggetti minorenni abusati sessualmente, la cd. "Carta di Noto" che non ha alcun valore normativo e contiene meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso (Sez. 3 n. 20568, 22 maggio 2008), tanto che l’eventuale inosservanza delle prescrizioni in essa contenute non comporta nullità dell’esame (Sez. 3 n. 6464,11 febbraio 2008).

Parimenti infondata la lamentata violazione dell’art. 392 c.p.p. con riferimento al mancato espletamento della consulenza mediante incidente probatorio, non essendo previsto alcun obbligo in tal senso ed essendo rimessa la richiesta di incidente probatorio alla scelta delle parti.

Altrettanto corretta e conforme a legge appare la qualificazione giuridica del fatto.

La descrizione degli eventi così come ricostruiti sulla base degli elementi acquisiti evidenzia la sussistenza di ripetuti incontri, nel periodo di tempo come sopra individuato, tra la persona offesa ed il ricorrente nell’ambito dei quali sono stati consumati diversi atti sessuali compiutamente descritti nell’imputazione ed ai quali la persona offesa era costretta mediante coercizione fisica o psichica.

Tali fatti sono stati pertanto correttamente inquadrati nell’ipotesi di cui all’art. 609 bis c.p..

Anche il terzo motivo di ricorso risulta infondato.

Va ricordato, con riferimento al giudizio di comparazione delle circostanze, che le statuizioni sul punto implicano una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito e sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (SS. UU. n. 10713, 18 marzo 2010).

Nel caso di specie la Corte ha chiaramente affermato che la pena irrogata dal primo giudice era congrua in considerazione della reiterazione delle condotte e la subdola natura del rapporto instaurato con la vittima.

Tale richiamo alla congruità della pena stabilita dal primo giudice costituisce adeguata risposta alla richiesta, formulata nell’atto di appello, di riduzione della pena inflitta attraverso un diverso giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche e la contestata aggravante ritenute invece equivalenti dal G.U.P..

Altrettanto conforme a legge ed adeguatamente motivata appare, inoltre, la esclusione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5 attraverso un corretto richiamo alla giurisprudenza di questa Corte.

Invero, si è avuto modo di affermare che il delitto di atti sessuali con minorenne si configura a prescindere o meno dal consenso della vittima, non soltanto perchè la violenza è presunta dalla legge, ma anche perchè la persona offesa è considerata immatura ed incapace di disporre consapevolmente del proprio corpo a fini sessuali (Sez. 3 n. 27588, 15 luglio 2010) e, conseguentemente, si è esclusa l’applicabilità della circostanza attenuante del concorso doloso della persona offesa in quanto incompatibile con tale delitto, in quanto l’eventuale consenso della vittima non costituisce causa o concausa dell’evento (Sez. 3 n. 347, 9 gennaio 2009) Per quanto riguarda, infine, la questione relativa alla prescrizione del reato, occorre rilevare che, nella fattispecie risulta applicabile la disciplina introdotta dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 la quale, come correttamente rilevato in ricorso, non prevede più la decorrenza del termine dalla cessazione della continuazione.

Ne consegue che, considerati i termini e le interruzioni, devono ritenersi travolti da prescrizione tutti i fatti commessi fino al 3 giugno 1998 e la pena deve essere, per tali ragioni, rideterminata.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente ai fatti commessi fino al (OMISSIS) perchè estinti per prescrizione;

annulla detta sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli per la rideterminazione della pena; rigetta il ricorso nel resto nonchè, agli effetti civili, anche per gli episodi prescritti; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quelle del grado sostenute dalla parte civile che liquida in Euro 2.000,00 oltre ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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