Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-04-2011) 25-05-2011, n. 20822 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 16 marzo 2010, la Corte d’Appello di Brescia confermava la sentenza con la quale, in data 29 novembre 2007, il Tribunale di Bergamo condannava L.M.Z. per il reato di cui agli artt. 81 e 609 quater c.p. (così modificata l’originaria imputazione) in danno della nipote, allora infraquattordicenne, X. L.Y., ripetutamente costretta a subire atti sessuali consistititi in palpeggiamenti delle parti intime e congiunzioni carnali.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la contraddittorietà e la manifesta illogicità della sentenza d’appello, ponendo in evidenza le numerose contraddizioni nella versione dei fatti rinvenibile tanto nelle dichiarazioni della persona offesa quanto in quelle dei testimoni escussi.

Osservava che tali discrepanze tra le diverse dichiarazioni non erano imputabili alle difficoltà di espressione, come ipotizzato dai giudici di merito, in quanto tutte le persone sentite erano state assistite da interpreti qualificati, cosicchè la Corte territoriale e, prima ancora, il Tribunale, non ne avevano adeguatamente valutato il contenuto cadendo in contraddizione laddove dette dichiarazioni venivano considerate valide nelle parti in cui evidenziavano elementi di responsabilità dell’imputato e viziate da errori linguistici nelle parti in cui si contraddicevano.

Poneva inoltre l’accento sulle diverse versioni dei fatti fornite dalla persona offesa in corso di denuncia, nell’incidente probatorio ed al dibattimento nonchè l’errore in cui erano incorsi i primi giudici nel considerarla del tutto indifferente a precedenti contrasti intercorsi tra i genitori e lo zio e dei quali si era invece dichiarata a conoscenza durante la sua deposizione.

Evidenziava, inoltre, il contenuto di altre dichiarazioni per chiarirne le ritenute, palesi incoerenze e stigmatizzava la manifesta illogicità dell’affermazione secondo la quale l’esito della visita ginecologica evidenziava come unico responsabile dei rapporti sessuali lo zio senza spiegare le ragioni per le quali doveva escludersi che la persona offesa avesse avuto rapporti con altri uomini.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, non avendo la Corte di merito tenuto conto della sua incensuratezza, elemento sicuramente valorizzabile.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

La sentenza impugnata non presenta, invero, alcun elemento di contraddizione o manifesta illogicità e fornisce adeguata e puntuale risposta a tutte le doglianze mosse dalla difesa nell’atto di appello, risposte peraltro già fornite, come rilevano i giudici, nel giudizio di primo grado.

Va in primo luogo osservato come la Corte territoriale abbia chiarito in modo inequivocabile le ragioni della non perfetta linearità delle dichiarazioni rese dalle persone di nazionalità cinese escusse.

Come infatti viene dato atto nello stesso ricorso, durante il giudizio di primo grado si era riscontrata la difficoltà dei testi escussi di comprendere anche la lingua cinese "ufficiale" parlata dagli interpreti, tanto che si era reso necessario reperirne uno proveniente dalla stessa regione dove si parla un particolare dialetto.

Le difficoltà di comprensione dei testi escussi emergono chiaramente dal contenuto del ricorso, ove sono riportati brani di trascrizioni e sono state attribuite dai giudici di merito anche al particolare retaggio culturale.

Di tali circostanze viene dato conto, spiegando anche le ragioni per le quali le dichiarazioni sono ritenute attendibili nel loro nucleo essenziale, così come il racconto della persona offesa, consentendo così di pervenire ad un complessivo giudizio di affidabilità dell’esito decisorio.

Va a tale proposito osservato che il giudizio di attendibilità sulle dichiarazioni testimoniali va effettuato sul contenuto globale delle stesse e non può ridursi, come avviene in ricorso, nell’estrapolazione di singoli brani dal contesto generale e nella loro analisi finalizzata ad evidenziare incongruenze o imprecisioni che, se collocate all’interno di un ambito più ampio, non inficiano minimamente la loro consistenza ed il loro valore probatorio.

Del resto, la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, è uniformemente orientata nell’escludere la possibilità di una valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa in tema di reati sessuali (Sez. 3 n. 21640, 8 giugno 2010;

Sez. 3 n. 40160, 6 dicembre 2006: Sez. 3 n. 34110,12 ottobre 2006).

Nella fattispecie, il giudizio di attendibilità sulle dichiarazioni testimoniali effettuato dalla Corte d’Appello si palesa logico e privo contraddizioni, avendone i giudici valutato l’intrinseca coerenza nonchè la veridicità e unicità del nucleo essenziale, mentre le censure mosse in ricorso riguardano singoli particolari di minima importanza che per nulla sbiadiscono la evidenza dei dati probatori acquisiti e, conseguentemente, la ricostruzione della vicenda effettuata dai giudici di merito ed il loro complessivo giudizio.

La Corte territoriale ha peraltro chiaramente affermato che le dichiarazioni della persona offesa, di per sè attendibili, hanno trovato numerosi riscontri nelle dichiarazioni rese dai genitori della minore e, in particolare, nelle dichiarazioni della zia alla quale il ricorrente aveva confidato la relazione con la minore.

E’ stata posto in evidenza dai giudici dell’appello anche il comportamento tenuto dalla persona offesa nel corso della sua audizione e l’evidente turbamento manifestato per la passata negativa esperienza attraverso il pianto.

Altrettanto infondata risulta, poi, la critica circa la valutazione degli esiti della visita ginecologica, avendo la Corte di merito preso atto della circostanza che la minore risultava aver avuto pregressi e non recenti rapporti sessuali e rilevato che ciò costituiva un’ulteriore conferma della credibilità della stessa non essendo ipotizzabili ipotesi alternative a quelle prospettate dalla minore.

A fronte, dunque, di un apparato argomentativo solido e coerente, che non manifesta alcun cedimento logico, resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dai giudici di merito in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova.

Anche la infondatezza del secondo motivo di ricorso risulta connotato da macroscopica evidenza.

La Corte territoriale ha negato la concessione delle attenuanti generiche evidenziando l’assenza di elementi valorizzabili ai fini della concessione e l’assenza di segni di resipiscenza da parte dell’imputato, il tutto dopo aver osservato che la quantificazione della pena effettuata dal primo giudice, a fronte della gravità del fatto, connotato da una serie di abusi sessuali sfociati anche in ripetute penetrazioni di una minore dei quattordici anni per un periodo considerevole di tempo, doveva ritenersi addirittura "benigna".

Tale valutazione appare del tutto in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha ripetutamente affermato che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicchè deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 1 n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6 n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6 n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1 n. 4200, 7 maggio 1985).

Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, si è precisato che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 6 n. 34364, 23 settembre 2010) con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6 n. 42688,14 novembre 2008; Sez. 6 n. 7707,4 dicembre 2003).

Da tutto ciò deve conseguire la dichiarazione di inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.000,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità". (Corte Cost. 186/2000).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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