Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-04-2011) 25-05-2011, n. 20820 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 22 febbraio 2010, la Corte d’Appello di Roma riformava la sentenza del G.U.P. di Civitavecchia del 26 novembre 2003, appellata dal Pubblico Ministero e dalla parte civile, condannando M.V. per i reati di cui agli art. 81 cpv. c.p., art. 609 quater c.p., u.c., art. 609 ter c.p., comma 2 e art. 609 bis c.p. concretatisi nel compimento, in più occasioni, di atti sessuali con un minore a lui affidato perchè ospitato presso la sua abitazione per intrattenersi a giocare con il figlio e consistiti in palpeggiamenti ed in un bacio sulla bocca dopo essersi masturbato in sua presenza.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c), lamentando la mancata notifica del decreto di citazione a giudizio con conseguente difetto di valida costituzione del rapporto processuale.

Con un secondo motivo di ricorso lamentava violazione di legge e difetto di motivazione in considerazione del fatto che la decisione impugnata si fondava sulle sole dichiarazioni del minore, del tutto inverosimili ed inattendibili e smentite da numerose emergenze processuali.

Osservava, a tale proposito, che la credibilità intrinseca del minore era stata accreditata sulla base della sola consulenza disposta dal Pubblico Ministero e sull’assenza di enfatizzazione degli episodi narrati quale sintomo evidente della mancanza di risentimento nei confronti dell’accusato, nonchè senza tenere in alcuna considerazione la consulenza di parte versata in atti.

Aggiungeva che alcuni episodi, quali un incontro presso un laboratorio non confermato dalle successive indagini, gli esiti negativi del servizio di osservazione al quale era stato sottoposto, la mancanza di dati significativi nei tabulati telefonici e nel computer e l’inverosimiglianza di un episodio successivo ai fatti addebitatigli evidenziavano la possibilità di un diverso giudizio con esito a lui favorevole.

Con un terzo motivo di ricorso denunciava il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante del fatto di minore gravità, giustificato soltanto sulla base delle conseguenze cagionate alla persona offesa che costituisce solo uno dei singoli aspetti da considerare per il riconoscimento della citata circostanza attenuante.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Con memoria depositata in data 8 aprile 2011, la parte civile formulava osservazioni deducendo l’infondatezza del ricorso proposto dalla difesa del M..
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente osservare, con riferimento alla dedotta mancanza di notifica del decreto di citazione a giudizio, che il motivo di ricorso è del tutto generico e che tutte le notifiche risultano regolarmente effettuate presso il difensore domiciliatario.

Il difensore era presente al giudizio di appello e nulla risulta aver eccepito circa la regolarità della notifica.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso deve pure evidenziarsi che le censure mosse alla decisione impugnata appaiono del tutto insussistenti.

La Corte territoriale, invero, nello stigmatizzare le carenze riscontrate nella decisione del G.U.P. e denunciate nell’appello dal Pubblico Ministero, ha proceduto ad una analisi puntuale ed estremamente accurata delle dichiarazioni rese della persona offesa con criteri del tutto condivisibili e certamente rigorosi.

E così, i giudici dell’appello hanno in primo luogo preso in esame i tempi e le modalità della prima rivelazione del minore circa gli abusi subiti, ponendone in evidenza la spontaneità e la genuinità e la conseguente assenza di indici rilevatori di condizionamenti esterni.

Particolare cura viene posta nell’effettuare un confronto tra quanto riferito dalla madre del minore su ciò che aveva appreso dal figlio e la relazione redatta dalla psicologa alla quale ella si era rivolta e poi trasmessa al Tribunale per i Minorenni.

Tale verifica tiene conto anche dei riferimenti temporali ricavabili dalle dichiarazioni e da altra documentazione, quale quella clinica inerente un ricovero ospedaliero del bambino subito dopo i fatti.

La valutazione critica di tali dati obiettivi è del tutto scevra da salti logici ed, anzi, consente una agevole verifica dell’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale per escludere qualsivoglia condizionamento del minore nella denuncia degli abusi.

Non meno puntuale appare la verifica del narrato, sottoposto a rigoroso vaglio critico e connotato dalla continua ricerca di obiettivi riscontri alla genuinità delle dichiarazioni con una attenzione particolare ad ogni elemento significativo utile per escludere eventuali menzogne del minore e ciò nonostante la dichiarata inequivocità del contenuto delle trascrizioni rese e la sostanziale identità dei fatti narrati alla madre ed agli organi inquirenti.

L’accuratezza dell’analisi non viene meno neppure con riferimento alla valutazione della capacità a testimoniare del minore, oggetto di specifico accertamento tecnico le cui risultanze sono state adeguatamente valutate dai giudici del merito i quali, è appena il caso di aggiungere, non avevano alcun obbligo di motivare in modo specifico sul contenuto e la rilevanza della consulenza di parte, evidentemente non oggetto di rilievo da parte del Pubblico Ministero appellante e certamente considerata unitamente al complesso dei dati acquisiti.

In definitiva, la sentenza impugnata non merita alcuna delle censure mosse in ricorso in quanto i giudici del merito hanno fatto buon uso delle norme sostanziali e processuali applicate e dei principi espressi dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte in tema di abusi sessuali su minori.

La motivazione denota infatti chiaramente la piena consapevolezza della rilevanza assunta dalle dichiarazioni del minore quali elemento portante e fondamentale dell’intero impianto accusatorio.

Occorre a tale proposito ricordare che alle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza sia ritenuta intrinsecamente attendibile, viene riconosciuta la natura di vera e propria fonte di prova, ammettendo che sulla stessa, anche esclusivamente, possa essere fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata (Sez. 4 n. 30422, 10 agosto 2005; Sez. 4 n. 16860, 9 aprile 2004; Sez. 5 n. 6910,1 giugnol999).

A conclusioni analoghe e con richiami ad un maggiore rigore si è giunti anche con riferimento alle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali, chiarendo che la particolarità dell’esame del minore implica l’esame dell’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto; della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. (Sez. 3 n. 29612, 27 luglio 2010; n. 39994, 29 ottobre 2007; n. 5003, 7 febbraio 2007; n. 8962, 3 ottobre 1997).

La solidità dell’impianto motivazionale è dunque evidente e le censure mosse in ricorso si risolvono, essenzialmente, nella proposizione di una lettura alternativa dei dati acquisiti basata peraltro su circostanze fattuali di scarsa o nulla rilevanza, trattandosi di eventi tutti successivi ai fatti in contestazione, quali l’incontro casuale presso un laboratorio di analisi non confermato dalle verifiche sulla clientela, nella quale non figurava il ricorrente e la inverosimiglianza del racconto di una visita all’abitazione del bambino fatta dal ricorrente il quale citofonò invitandolo a scendere per un giro in auto sulla quale si trovava anche il figlio che resta, però, una mera congettura del ricorrente.

Altre evenienze, pure richiamate in ricorso, quali l’esito negativo di controlli e dei servizi di osservazione sono plausibilmente giustificate dai giudici dell’appello, i quali hanno posto in evidenza il fatto che il ricorrente era verosimilmente a conoscenza della denuncia a suo carico posto che un suo collega, padre di un bambino amico del piccolo abusato ed in forza nel medesimo ufficio di polizia, al quale la mamma del piccolo si era rivolta per avere consiglio sul da farsi, aveva doverosamente redatto una relazione di servizio su quanto appreso.

Altrettanto infondato risulta, infine, il terzo motivo di ricorso.

Invero, come questa Corte ha avuto modo di osservare, l’attenuante di cui all’art. 6096 c.p., comma 5 e u.c. può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. 3 n. 40174, 6 dicembre 2006; n. 1057, 17 gennaio 2007; n. 45604,6 dicembre 2007).

Certamente tale circostanza non può essere negata per il solo fatto della tenera età della persona offesa dovendosi la valutazione fondare su ulteriori elementi negativi ricavabili in base ai criteri indicati dall’art. 133 c.p., comma 1 (Sez. 3 n. 11085, 23 marzo 2010;

n. 22036, 23 giugno 2006; n. 37565 8 novembre 2002).

Nella fattispecie i giudici del merito non hanno limitato la loro valutazione alla sola età del minore, avendo, al contrario, considerato la condotta concretamente posta in essere dal ricorrente, consistente in ripetuti abusi e tale da incidere negativamente sul successivo sviluppo psicofisico del bambino o sulla accertata condizione di fragilità psicosomatica.

Si tratta di una motivazione rispondente ai principi dianzi richiamati e del tutto adeguata nella sua sinteticità, giustificata dalla minuziosa analisi dei fatti la cui gravità è chiaramente desumibile dal tenore complessivo della sentenza.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 1.600,00 oltre ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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