Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-04-2011) 25-05-2011, n. 20907 Circostanze non conosciute o erroneamente supposte

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

N.E. e B.M., condannati in entrambi i gradi di giudizio anche al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile per il reato di cui all’art. 594 c.p. per avere ingiuriato D.F. accusandolo, a mezzo di lettera raccomandata inviata a più persone, di avere organizzato truffe e raggiri, quale legale delle sorelle R., con le quali avevano una vertenza civile, hanno proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione di legge per il mancato riconoscimento della scriminante putativa del fatto ingiusto altrui di cui all’art. 599 c.p., comma 2, e art. 59 c.p., comma 4.

Con memoria difensiva depositata il 15 aprile 2011 la parte civile costituita criticava gli argomenti dei ricorrenti e chiedeva dichiararsi la inammissibilità del ricorso.

Il ricorso non è fondato.

E’ necessario premettere che non vi è alcuna discussione sulla natura ingiuriosa delle espressioni contenute nella missiva e sul fatto che sia stata spedita dai ricorrenti.

E’ altrettanto pacifico che non ricorra nella specie la causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 599 c.p., comma 2, perchè anche su tale punto non vi sono doglianze dei ricorrenti.

L’unica questione sollevata dai ricorrenti concerne la pretesa sussistenza della provocazione putativa e la necessità, pertanto, di una pronuncia assolutoria, dal momento che l’art. 59 c.p., comma 4, afferma che le cause di giustificazione – così deve intendersi l’espressione circostanze che escludono la pena – putative devono essere valutate a favore dell’agente come se esistessero realmente.

Secondo la maggior parte della dottrina, la punibilità, in questo caso, è esclusa in ragione della assenza del dolo, che non può ravvisarsi in capo a chi erri in ordine alla presenza degli elementi costitutivi di una scriminante.

Sotto tale profilo è evidente la simmetria di tale norma con quella prevista dall’art. 47 c.p., comma 1, in tema di errore di fatto, poichè anche in quella ipotesi non sussistono gli estremi del dolo.

Orbene, pur volendo prescindere dal fatto che la dottrina maggioritaria ritiene che proprio in virtù del fondamento della norma, e cioè la mancanza del dolo, essa non riguardi la c.d. cause di non punibilità in senso stretto, ovvero quegli elementi che non incidono sulla rilevanza del fatto come reato, ma solo sulla sua punibilità perchè in tal caso non verrebbe meno il dolo del fatto reato, avendo la erronea supposizione ad oggetto un elemento estraneo ad esso, va detto che nel caso di specie non ricorre l’ipotesi di cui all’art. 59 c.p., comma 4, per due fondamentali ragioni.

In primo luogo la Suprema Corte ha precisato che l’imputato che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno della operatività di una esimente reale o putativa deve provarne la sussistenza, o quantomeno soddisfare un onere di allegazione, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio (Cass., Sez. 5, 5 giugno 2003, Basso, CED 225761); ebbene nel caso di specie, come si desume dalle sentenze di merito, non solo manca la prova della esistenza di un fatto ingiusto altrui, ma non vi sono nemmeno elementi obiettivi che consentano di ritenere plausibile l’errore invocato. In effetti è stata descritta una controversia esistente tra i ricorrenti e le R. in merito ad una promessa di vendita di un immobile, ma nessun elemento è stato posto in evidenza nè dalle sentenze di merito, nè dai ricorrenti che potesse far pensare a truffe e raggiri posti in essere dal legale delle R., D.F..

Inoltre i fatti si erano verificati nel (OMISSIS) e la missiva era stata spedita nel 2004, cosicchè, anche se il concetto di immediatezza di cui all’art. 599 c.p., comma 2, deve essere inteso in senso relativo, come precisato dalla giurisprudenza, è davvero difficile ipotizzare uno stato d’ira, che permanga per dodici anni. Quanto detto denota anche l’assenza dell’altro necessario requisito, consistente nel fatto che l’invocata erronea supposizione della sussistenza di una causa di non punibilità non può basarsi su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, ma deve essere sostenuta da dati di fatto concreti che siano tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale situazione (Cass., Sez. 6, 6-16 settembre 2004, n. 436, PG in proc. Cuccovia, rv 230857 e Cass., Sez. 1, n. 19341, del 22 aprile 2009). Ebbene, come si è notato e come è stato posto in evidenza dal tribunale, nel caso di specie non vi era alcun elemento concreto che giustificasse l’erroneo convincimento di trovarsi nelle condizioni richieste dall’art. 599 c.p., comma 2.

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed i ricorrenti condannati ciascuno a pagare le spese del procedimento, nonchè, in solido, alla rifusione delle spese della parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè, in solido, alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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