Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-04-2011) 25-05-2011, n. 20950

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 16 febbraio 2010, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Varese, in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione, dichiarava non doversi procedere nei confronti di F.M. per i reati di cui all’art. 495 c.p., art. 61 c.p., comma 1 e art. 640 c.p., comma 2, n. 1, perchè il fatto non costituisce creato.

Al F. era contestato di aver percepito indebitamente il contributo di Euro 1.000,00, erogatogli in base alla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 331, 332 e 333, per la nascita del figlio, attestando falsamente, mediante autocertificazione relativa al possesso dei relativi requisiti, di essere cittadino italiano o di altro paese dell’Unione Europea, così procurandosi l’ingiusto profitto con corrispettivo altrui danno, non avendone diritto perchè cittadino tunisino.

Secondo il Giudice dell’udienza preliminare, difettava la prova della sussistenza dell’elemento psicologico delle fattispecie incriminatrici contestate, in quanto era emerso che la presentazione dell’istanza era stata sollecitata dal pubblico potere con l’invio di un modello precompilato con i dati anagrafici completi del neonato anche per la parte relativa alla cittadinanza italiana e che l’imputato aveva esibito all’ufficio postale il proprio documento di identità, attestante una diversa nazionalità. Inoltre, il modulo si presentava compilato da più grafie diverse e con varie correzioni, e considerato il basso livello di scolarità dell’uomo, doveva ritenersi che costui avesse mal compreso i dati contenuti nel modello di dichiarazione.

2. Avverso la suddetta ordinanza, propone ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano, con cui denuncia:

– la violazione della legge processuale, in quanto risulterebbe violato il criterio di valutazione indicato dall’art. 425 cod. proc. pen., posto che il giudice, anzichè verificare l’idoneità degli elementi di prova a sostenere l’accusa in giudizio, si sarebbe prodigato in una minuziosa ricostruzione dell’elemento psicologico dei reati contestati per giungere ad un giudizio di proscioglimento.

– il vizio di motivazione, in quanto avrebbe dedotto l’assenza dell’elemento psicologico non sulla base di risultanze probatorie, ma su mere supposizioni personali. L’ufficio ricorrente evidenzia, a tal fine, che il possesso della cittadinanza italiana era circostanza di facile comprensione e la esibizione del documento di identità da parte dell’imputato non risulterebbe rilevante, posto che ciononostante l’imputato era riuscito ad ottenere il contributo.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Preliminarmente, deve osservarsi che il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere non può avere per oggetto gli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero, ma solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli e, quindi, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti (tra le tante, Sez. 4, n. 2652 del 27/11/2008, dep. 21/01/2009, Sorbello, Rv.

242500).

Fatta questa premessa, occorre ora verificare se, nella concreta fattispecie, il Giudice dell’udienza preliminare si sia attenuto al criterio prognostico indicato dall’art. 425 cod. proc. pen..

A tal riguardo, va ribadito che scopo cui l’udienza preliminare è preordinata è quello di evitare i dibattimenti inutili. Pertanto, il parametro di giudizio che deve condurre il giudice ad emettere una sentenza di non luogo a procedere non è l’innocenza dell’imputato, ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio.

Ciò significa che, se non è irrilevante che, all’udienza preliminare, emergano prove che, in dibattimento, potrebbero ragionevolmente condurre all’assoluzione dell’imputato, il proscioglimento deve essere, dal giudice dell’udienza preliminare, pronunziato solo se ed in quanto questa situazione di innocenza sia ritenuta non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuove prove o da una diversa e possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti. Insomma, il quadro probatorio e valutativo delineatosi all’udienza preliminare deve essere ragionevolmente ritenuto immutabile.

Il giudice dell’udienza preliminare, dunque, ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato, ma in tutti quei casi nei quali non esista una ragionevole, prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione. Insomma, la situazione non deve poter essere considerata suscettibile di chiarimenti o sviluppi nel giudizio, sicchè rettamente deve escludersi un esito liberatorio in tutti i casi in cui detti elementi si prestino a soluzioni alternative e "aperte".

In conclusione, a meno che ci si trovi in presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere l’accusa in giudizio per l’esistenza di prove positive di innocenza o per la manifesta inconsistenza di quelle di colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere non è consentita quando l’insufficienza o contraddittorietà degli elementi acquisiti siano superabili in dibattimento (tra le tante, Sez. 4, n. 43483 del 06/10/2009, dep. 13/11/2009, Pontessilli, Rv. 245464).

La sentenza impugnata resiste ai rilievi dell’Ufficio ricorrente, in quanto dimostra che il Giudice di merito ha tenuto debitamente conto della natura dell’udienza preliminare, nonchè di quanto emerso dagli accertamenti fattuali che, così come riportati nella stessa sentenza, accreditavano una valutazione prognostica (in termini di ragionevole prevedibilità) di superfluità dell’ulteriore verifica del giudizio, in virtù del fatto che si trattava di un compendio probatorio da considerarsi irrimediabilmente statico ed insuscettibile di evoluzione quanto alla mancanza della prova della colpevolezza dell’imputato.

Tale convincimento circa l’inutilità di dare ingresso alla successiva fase del dibattimento è fondata su una serie di elementi – come sopra descritti – che dimostravano pacificamente la mancanza del dolo dei contestati reati.

Dunque, l’approfondita analisi del materiale probatorio e l’esaustiva quanto logica esposizione dei motivi, che hanno indotto il Giudice ad una prognosi negativa dell’espletamento del dibattimento, impedisce di prender conto degli argomenti del pubblico ministero formulati in termini di eccezione di fatto a sostegno della tesi accusatola, con richiesta di rivisitare gli atti.

Ne consegue che il ricorso va rigettato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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