Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-09-2011, n. 19678 Accertamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I sigg.ri G.A., la moglie P.C. e ai figli Ga.Gu. e G., hanno impugnato un avviso di rettifica parziale della dichiarazione IVA 1997, notificato loro dal competente ufficio finanziario, sulla base di un p.v.c. della guardia di finanza, redatto all’esito di complessi controlli ed indagini anche di carattere bancario.

L’ufficio, recependo le conclusioni dei militari, ha ritenuto che i predetti contribuenti avessero costituito una società di fatto attraverso la quale gestivano i flussi finanziari ed i rapporti bancari relativi a società ed imprese individuali, appartenenti alla famiglia, ufficialmente prive di conti bancari. Sulla base di questi fatti, l’ufficio ha contestato ai contribuenti, in proprio e quali appartenenti alla società di fatto, convenzionalmente indicata con il nome di "Gruppo di Famiglia Gargiulo Agostino", l’omessa tenuta delle scritture contabili e l’omessa presentazione della dichiarazione annuale, determinando conseguentemente le imposte dovute.

I contribuenti si sono difesi contestando l’esistenza della società di fatto.

La CTP ha accolto il ricorso dei contribuenti e la CTR, rigettando l’appello dell’ufficio, ha confermato la decisione di primo grado, osservando che:

– nessuna norma prevede la possibilità di costituire società di fatto tra società di capitali, società di persone e ditte individuale; G.A. si è limitato a gestire le attività familiari senza alcun intento di costituire una società di fatto e non è possibile annullare fatto impositivo soltanto nei confronti di alcuni dei soci, ritenuti tali, perchè trattasi di atto unico;

– le singole società avrebbero potuto perseguire gli intenti evasivi o elusivi direttamente in proprio, senza necessità di creare una sovrastruttura.

L’Agenzia delle Entrate ricorre contro i contribuenti in proprio e quali componenti della società di fatto, per la cassazione della sentenza di appello, meglio indicata in epigrafe, sulla base di tre motivi.

I sigg.ri G.A., P.C., Ga.

G. e G.G. resistono con controricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Preliminarmente, va rigettata l’eccezione formulata dalla difesa delle parti private, secondo la quale erroneamente il ricorso sarebbe stato proposto nei confronti di tutti i pretesi soci e non soltanto nei confronti del sig. G.A., gestore di fatto della ipotizzata società. L’eccezione è priva di fondamento perchè la sentenza della CTR risulta pronunciata nei confronti di tutti gli odierni resistenti, i quali, quindi, sono litisconsorti necessari, quanto meno per ragioni processuali.

Con il primo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.p.c., (rectius: art. 115 c.p.c.), artt. 2251 ss. e 2697 c.c., unitamente a vizi di motivazione, l’Agenzia ricorrente eccepisce che erroneamente la CTR ha ritenuto che l’ufficio abbia inteso contestare l’esistenza di una società di fatto tra enti e persone fisiche. In realtà, l’ufficio, sulla base dei fatti accertati, come la gestione dei conti correnti bancari con i quali venivano regolati i rapporti finanziari delle attività di impresa facenti capo al gruppo familiare, ha fondatamente ricostruito la reale governance dei tutto il gruppo. Di tutto ciò, osserva la ricorrente, non ha tenuto conto la CTR. Il motivo è fondato. La CTR non si è posto per nulla il problema che la società di fatto fosse costituita dalle sole persone fisiche per la gestione delle attività facenti capo ai vari membri della famiglia. I giudici di appello hanno affermato il principio di diritto, irrilevante nella specie, secondo il quale non sarebbe possibile la costituzione di una società di fatto tra società e persone fisiche. Sulla base di questo assunto non sono stati esaminati i molteplici elementi probatori che supportavano la tesi della esistenza di una società di persone costituita di fatto, per la gestione delle imprese. Si tratta di un modello organizzativo che non trova alcun ostacolo nella normativa vigente.

Quanto alla imputazione dei movimenti finanziari alla società di fatto anzichè al solo G.A. che li gestiva, a parte la considerazione che secondo la ricostruzione della guardia di finanza si trattava di movimenti che riguardavano le molteplici attività (circostanza questa che non risulta che sia stata specificamente contestata), l’onere di fornire la prova che si trattava di movimenti non inerenti le attività di impresa gestite collettivamente gravava sui contribuenti. In altri termini, ciascun contribuente avrebbe dovuto dimostrare di aver tenuto conto, nella dichiarazione annuale, dei movimenti in questione, così come prevede il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 2251 ss. e 2697 c.c., unitamente a vizi di motivazione, la ricorrente lamenta che erroneamente la CTR ha escluso che l’attività venisse gestita collettivamente, senza considerare che i conti gestiti dal capofamiglia G.A. erano intestati anche agli altri familiari, i quali, quindi non potevano non essere partecipi della gestione collettiva, non fosse altro che per aver consentito tale modus operandi. Sul punto la motivazione della CTR appare carente. Così come appare carente nella parte in cui omette di considerare che la sig.ra P.C. ha fornito garanzie e fideiussioni per consentire la gestione unificata delle attività, come viene denunciato a p. 9 dell’odierno ricorso, mentre nessun cenno viene fatto alla circostanza che Ga.Gu. ha ammesso di avere collaborato con il padre Agostino (v. p. 9 dell’odierno ricorso).

Con il terzo ed ultimo motivo viene censurata anche la ratio decidendi in forza della quale la CTR pur avendo sostanzialmente riconosciuto l’esistenza della gestione accentrata dal G., ha annullato in toto l’atto impositivo contestato a tutti i soci sul rilievo che l’atto impugnato può essere soltanto confermato o annullato, senza possibilità di entrare nel merito dell’accertamento.

L’Agenzia, infatti, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2267 e 2293 c.c., e dei principi generali del processo tributario, rilevando, appunto, che il sindacato del giudice tributario non è di mera legittimità, ma coinvolge il merito del rapporto fiscale. Secondo l’Agenzia ricorrente, la CTR ha rigettato totalmente l’appello dell’ufficio, sul rilievo errato di non poter entrare nel merito del rapporto tributario in contestazione, in particolare per quanto riguarda la partecipazione dei singoli soggetti alla società di fatto.

La censura è fondata. Erroneamente la CTR afferma che il giudice tributario è chiamato soltanto a valutare, ed eventualmente annullare o confermare, nella sua interezza l’atto impositivo oggetto della controversia. Tanto più che la stessa CTR riconosce che il sig. G.A. era una sorta di gestore che sovrintendeva a tutte le società e ditte facenti capo ai familiari. Sarebbe stato dovere della CTR esaminare tutti gli elementi di fatto acquisiti dalla guardia di finanza per verificare quale sia stato il ruolo degli altri familiari, se di partecipazione (anche in forma passiva) o di assoluta estraneità, e trame le conseguenze. Nulla impediva ai giudici di merito di concludere che la società avesse una più ristretta base partecipativa, o che il recupero di imposta dovesse essere di dimensioni più ridotte. Ma prima avrebbe dovuto pronunciarsi sul valore probatorio, tra l’altro, delle dichiarazioni rese dal figlio Gu., cui già si è fatto cenno, che, stando a quanto riferisce la ricorrente (p. 9 del ricorso), ha ammesso di collaborare con il padre (v. Cass. 28316/2005) o sull’altra circostanza, cui pure si è fatto cenno, che la sig.ra P. C. forniva garanzie, pegni e fideiussioni per lo svolgimento della attività del gruppo (ivi). Infatti, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, "Il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione – annullamento, bensì tra quelli di impugnazione – merito, in quanto non diretto alla mera eliminazione dell’atto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria" (Cass. 25376/2008), nei limiti dei fatti dedotti in giudizio ( D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7).

Quanto poi alla eccezione, prospettata dai resistenti, che ai fini della rettifica delle II.DD. l’ufficio non abbia ritenuto di ipotizzare la sussistenza della società di fatto, si tratta di una scelta dell’amministrazione che non serve a provare quale sia l’opzione giusta e pone soltanto un problema di coerenza di comportamenti che non può essere oggetto di valutazione in questa sede.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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