Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 14-04-2011) 25-05-2011, n. 20900

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’11-5-2010 la Corte d’Appello di Brescia confermava quella del tribunale della stessa città, in data 1-10-2008, con la quale T.A. e V.S., agenti in servizio presso la questura di Brescia, erano stati ritenuti responsabili del reato di lesioni personali aggravate in danno di Ab.Ha.

M., il solo T. anche di falsità ideologica per aver falsamente attestato in un’annotazione di servizio, che il predetto Ab. aveva compiuti gesti autolesionistici sbattendo il capo contro il muro e contro il vetro antisfondamento della camera di sicurezza dove si trovava con altri fermati.

Secondo la versione della p.o., il fatto avveniva nella notte tra il 10 e l’11 maggio 2006, mentre egli era ristretto in una stanza della questura, con altri fermati, essendo stato trovato privo di documenti.

Fino alla mezzanotte, mentre erano di turno altri poliziotti, le richieste di recarsi in bagno erano state accolte, poi, nelle prime ore del mattino, ad ulteriore richiesta in tal senso, gli imputati lo avevano portato fuori dalla camera di sicurezza e, nel corridoio non coperto dal raggio di azione delle telecamere, lo avevano picchiato, iniziando il biondo ( T.), poi intervenendo anche l’altro, che lo aveva trattenuto a terra con un piede, colpendolo successivamente con calci.

Tale ricostruzione era ritenuta avvalorata, nelle sentenze di merito, dalle dichiarazioni di B.B. – che, trovandosi anch’egli nella camera di sicurezza, aveva assistito alla prima parte del pestaggio dall’oblò del locale, finchè uno dei due agenti li aveva fatti allontanare dalla porta e sedere, e aveva poi udito Ab. gridare "basta, per favore" – e da quelle dell’amico A.H. M.A.E.K., che la mattina dopo era andato a prenderlo in questura e, trovandolo con il naso rotto, lo aveva dapprima accompagnato in ospedale, indi da un legale per sporgere querela.

La versione difensiva degli atti autolesionistici era ritenuta inverosimile in quanto solitamente tali atti, che hanno finalità dimostrative, non producono effetti tanto gravi come quelli in esame (fratture scomposte alla piramide nasale, fratture del seno mascellare destro, frattura della parete laterale dell’orbita di dx).

Ricorrono avverso tale decisione gli imputati per il tramite del difensore, avv. Bezzi Gianluigi, deducendo due motivi di doglianza.

1) Violazione di legge e vizio di motivazione per mancata valutazione delle contraddizioni tra le dichiarazioni della p.o. e dei testi B. e A.H., paradossalmente superate, nelle decisioni di primo e secondo grado, con il rilievo che l’incidente probatorio relativo all’esame della p.o. si era svolto con l’assistenza di un interprete, il che aveva potuto determinare qualche equivoco su circostanze marginali.

Si assume poi non valutata, nei precedenti gradi, la compatibilità delle lesioni alla schiena della p.o. con l’azione di trascinamento del medesimo, descritta dagli imputati, per allontanarlo dal luogo dove stava compiendo gli atti autolesionistici.

2) Violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione – negato dal primo giudice senza motivazione, mentre la corte di merito aveva ritenuto inammissibile il relativo motivo in quanto non accompagnato dall’indicazione degli elementi a sostegno -, nonostante il dato dell’incensuratezza degli imputati fosse stato citato nell’appello a sostegno della richiesta di un diverso giudizio di bilanciamento delle circostanze.

La pronuncia di rigetto comunque effettuata della corte territoriale, sul presupposto della gravità del fatto e della qualità degli imputati, era ritenuta frutto di erronea interpretazione dell’art. 175 c.p., in quanto fondata sul fatto commesso, trascurando il giudizio prognostico sul comportamento futuro degli imputati, e quindi snaturando l’istituto, che ha lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

1) Il primo motivo è infondato sotto entrambi i profili prospettati.

Sotto il primo perchè, a fronte della motivazione intrinsecamente logica e coerente che sorregge l’affermazione di responsabilità di T. e V. tanto da parte del tribunale che della corte territoriale, i ricorrenti si sono limitati a dolersi della mancata valutazione di asserite contraddizioni tra le dichiarazioni della p.o. e quelle dei testi B. e A.H., senza peraltro indicarle, in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso.

Sotto il secondo perchè non corrisponde al vero la censura di omessa valutazione della compatibilità delle lesioni alla schiena della p.o. con l’azione di trascinamento del medesimo per allontanarlo dal luogo dove stava compiendo gli atti autolesionistici, descritta dagli imputati a sostegno della versione difensiva.

Invero il tribunale, nella sentenza di primo grado, la cui motivazione è stata testualmente richiamata dalla corte territoriale, si è fatto espressamente carico della questione, rilevando, in modo plausibile, che il trascinamento di Ab., attendibilmente riferito dai testi Ta. e Z., agenti in rientro dal servizio di volante, ben poteva essere successivo al pestaggio, quando il predetto era stato portato in un’altra camera di sicurezza.

2) I vizi relativi alla mancata concessione della non menzione della condanna, sono del pari insussistenti.

Premesso che il relativo motivo, proposto con l’appello, era in effetti aspecifico, in quanto l’incensuratezza e l’ottimo comportamento degli imputati erano richiamati a sostegno di un altro motivo – quello finalizzato ad ottenere la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti -, va tuttavia rilevato che la corte territoriale, pur dando atto dell’inammissibilità di quel motivo, non ha mancato di motivare anche nel merito la mancata concessione del beneficio, condivisibilmente richiamando la gravità del fatto e la qualità dei prevenuti.

Nè tale decisione è affetta da violazione di legge dal momento che la concedibilità del beneficio, a differenza da quanto sostenuto nel ricorso, è disancorata dalla presunzione di astensione dal reato, essendo collegata alla valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 c.p., tra le quali rientrano la gravità del reato e le condizioni soggettive del reo, puntualmente considerate dai giudici di secondo grado.

Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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