Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 14-04-2011) 25-05-2011, n. 20899

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30-10-2009 la Corte d’Appello di Palermo confermava quella in data 8-4-2008 del Tribunale di Marsala, sez. dist. di Partanna, che aveva ritenuto L.B. responsabile del reato di cui all’art. 455 c.p. per aver detenuto e messo in circolazione una banconota da Euro 50,00 contraffatta.

La banconota era stata spesa da un terzo, che, non appena contestatagli la falsità, aveva immediatamente riferito di averla ricevuta dall’imputato, al quale l’aveva restituita, denunciando poi il fatto.

Il biglietto da Euro 50,00 era stato rinvenuto in una tazza all’interno di un armadio della cucina dell’abitazione del prevenuto.

Ricorre L., per il tramite del difensore avv. Frazzitta Gaspare, con unico motivo, deducendo mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto del dolo (la finalità di messa in circolazione nella consapevolezza della falsità), la cui sussistenza non è nella specie avvalorata da elementi sintomatici gravi e convergenti.

Si rileva inoltre la contraddittorietà della contestazione (art. 455 in relazione all’art. 453 c.p., comma 1, n. 3) in quanto solo la seconda delle due norme esige un consapevole rapporto con il falsificatore o intermediario, mentre per la prima ipotesi di reato è sufficiente la scienza della falsità al momento dell’acquisto.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

Come correttamente osservato dalla corte territoriale, la messa in circolazione della banconota falsa risulta in modo inconfutabile dalla consegna di essa a P.F., da parte dell’imputato, affinchè effettuasse un acquisto per suo conto – circostanza non contestata nel ricorso -, mentre la consapevolezza della falsità emerge dal comportamento successivo di L., del pari non contestato, che, all’atto della restituzione della banconota da parte del P. – cui ne era stata contestata la falsità da parte di un terzo -, non solo non manifestò alcuna reazione, ma la ripose in una tazza all’interno di un armadio nella sua cucina (dove venne poi trovata e sequestrata), segno evidente del tentativo di nasconderla per eventuale successivo utilizzo.

La formulazione del capo d’imputazione si sottrae, poi, alla censura di contraddittorietà, essendo evidente che il reato contestato è quello di cui all’art. 455 c.p., mentre il richiamo ("in relazione") all’art. 453 c.p., comma 1, n. 3, è soltanto quoad poenam.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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