Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-04-2011) 25-05-2011, n. 20896 armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5-2-2010 la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa il 11-12-2007 dal Tribunale di Prato nei confronti di S.P., dichiarava estinto per prescrizione il reato di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 4, diversamente qualificato, e confermava l’affermazione di responsabilità del predetto per il reato di violenza privata in concorso con C.A., in danno della moglie P.P., riconoscendogli la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna.

Con il ricorso per cassazione l’avv. Monica Severi, difensore del prevenuto, deduce tre motivi di doglianza chiedendo l’annullamento della sentenza.

1) Violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza per essere stata ritenuta sussistente dal primo giudice l’aggravante di cui all’art. 339 c.p., non meglio precisata, individuata dalla corte territoriale in quella del numero delle persone, nonostante l’assenza di contestazione.

2) Erronea applicazione dell’art. 339 c.p., che, interpretato sia letteralmente che sistematicamente, esige la presenza di almeno cinque persone, mentre nella specie i correi sono soltanto due.

Violazione di legge; mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla credibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni sono animate dal rancore per la separazione, in assenza di riscontri alla sua versione (di essere stata trascinata dai due nel ripostiglio), in quanto le altre risultanze (referto medico attestante lesioni lievi, tracce di sangue nello stanzino, di cui non è stata fornita descrizione), sono compatibili anche con la versione dell’imputato di aver spintonato, nel corso di una discussione, la moglie, che aveva perso sangue dal naso nello stanzino dove era entrata alla ricerca della presunta amante del marito.

In data 8.4.2011 il difensore ha depositato istanza di rettifica di errori ai sensi dell’art. 619 c.p.p., non risultando indicata nel dispositivo della sentenza di secondo grado la pena rideterminata a seguito della parziale riforma di quella di primo grado.
Motivi della decisione

1) e 2) Il primo e il secondo motivo di gravame sono manifestamente infondati.

Da un lato, infatti, la ritenuta sussistenza dell’aggravante del numero delle persone relativamente al reato di violenza privata, si basa sulla contestazione di essa in fatto, essendo i correi in numero di due – onde non ricorre il vizio di correlazione tra accusa contestata e sentenza -, dall’altro è sufficiente ad integrare l’aggravante in parola la commissione del reato ad opera di due soggetti, come da consolidato orientamento di questa corte (Cass. 1872/2009).

3) Il terzo motivo è inammissibile in quanto, dietro l’apparente doglianza di violazione di legge e vizio di motivazione, tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, già adeguatamente valutati sia dal tribunale che dalla corte d’appello.

Nel caso in esame, infatti, entrambe le pronunce hanno ineccepibilmente osservato che la prova del fatto ascritto all’imputato riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità è stata adeguatamente argomentata, valorizzandone, inoltre, i plurimi riscontri, di natura sia obiettiva che documentale, rappresentati dal referto medico relativo alle lesioni, e dalle tracce di sangue trovate nello stanzino, e rilevate sul volto della p.o. dai carabinieri e dagli altri soggetti intervenuti, non senza concludere per l’assoluta inattendibilità della versione difensiva che postulava l’assenza di un’azione violenta di S. ai danni della P., in stridente contrasto, tra l’altro, con la presenza di escoriazioni sulle nocche delle mani dell’imputato, sintomatiche delle percosse inflitte alla moglie nel trascinarla e trattenerla nello stanzino.

La sentenza impugnata non è dunque sindacabile, sotto tal profilo, in questa sede, perchè questa corte non deve condividere o sindacare la decisione vagliando ricostruzioni alternative del fatto, ma verificare se la sua giustificazione sia, come nel caso in esame, sorretta da validi elementi dimostrativi, compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, logica, senza aver trascurato elementi decisivi.

E’ fondato il rilievo inerente alla mancata determinazione della pena a seguito della declaratoria di prescrizione del reato contravvenzionale.

Non risultando, infatti, dal dispositivo della sentenza della corte territoriale, l’entità della pena inflitta a S. in conseguenza della parziale modifica della decisione di primo grado, si impone l’annullamento sul punto della sentenza impugnata, senza rinvio essendo possibile procedere alla determinazione della pena in mesi sei di reclusione, eliminando quella quantificata in primo grado in mesi quattro di reclusione per il reato estinto.
P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, eliminando la pena di mesi quattro di reclusione per la contravvenzione; rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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