T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, Sent., 24-05-2011, n. 941

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 1/9/09 il sig. A.F.A. presentava, ai sensi della L. n. 102/09, dichiarazione di emersione di lavoro irregolare relativamente al cittadino straniero A.Q. M.R..

In data 11/10/2010, tuttavia, il Questore di Lecce rigettava la suindicata domanda posto che da accertamenti presso il Casellario giudiziale sarebbe emersa una condanna per violazione dell’art. 14 comma 5 ter del D. Lgs. n. 286/98, ostativa alla concessione del beneficio richiesto.

Avverso tale determinazione insorge con il ricorso in esame il cittadino straniero, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi:

violazione di legge per erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 1 ter, comma 13, lett. C), del D.L. n. 78/2009 (conv. in L. n. 102/2009) e dell’art. 14, comma 5 ter, del D.L. n. 286/1998, violazione del divieto di interpretazione analogica in malam partem del precetto penale, erronea interpretazione, sotto altri profili, del citato art. 1 ter, comma 13, lett. C), del D.L. n. 78/2009;

illegittimità derivata del decreto n. 80/2010 per illegittimità costituzionale dell’art. 1 ter, comma 13, lett. C), del D.L. n. 78/2009 (conv. in L. n. 102/2009), violazione art. 3 Cost.;.

Si è costituita in giudizio per resistere al ricorso l’Amministrazione dell’interno e all’udienza pubblica del 6/4/2011 sulle conclusioni dei difensori delle parti, la causa è stata ritenuta per la decisione.
Motivi della decisione

L’art. 1ter della L. n. 102/09, nel disciplinare il procedimento di emersione del lavoro irregolare, stabilisce, tra l’altro, che non possono essere ammessi al beneficio i lavoratori extracomunitari condannati per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 del c.p.p.

In applicazione di tale disposizione, quindi, la Questura di Lecce ha ritenuto di dover rigettare l’istanza di emersione, presentata dal sig. A.F.A. a favore del ricorrente, posto che lo stesso ricorrente, condannato ai sensi dell’art. 14, comma 5 ter, della legge n. 286/98, avrebbe realizzato una fattispecie delittuosa riconducibile, in ragione della misura della pena massima stabilita (quattro anni di reclusione), tra i reati contemplati dall’art. 381 del c.p.p.

Orbene, la conclusione cui perviene l’Amministrazione ad avviso del Collegio non può essere condivisa.

Al riguardo occorre innanzitutto rilevare che a svolgere un ruolo prevalente nella determinazione della sanzione, quale conseguenza giuridica del reato previsto dal su richiamato art 14, comma 5 ter, L. n. 286/98, non è tanto la considerazione della condotta dello straniero il quale, in violazione dell’ordine del Questore, permane illegalmente nel territorio dello Stato, quanto soprattutto i motivi per i quali l’Autorità amministrativa esercita il potere espulsivo.

In buona sostanza la disapprovazione dell’ordinamento investe soprattutto la condotta antecedente la violazione dell’ordine dell’Autorità amministrativa; tant’è che laddove l’ordine inosservato fosse intervenuto per il mancato rinnovo del permesso di soggiorno scaduto (ipotesi pure considerata dalla norma), la pena applicabile risulterebbe di gran lunga inferiore (reclusione da sei mesi ad un anno) rispetto a quella prevista (reclusione da uno a quattro anni) in caso di espulsione disposta "per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 2 lett. a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine previsto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato".

Ciò significa però che i fatti costitutivi del reato in questione, al netto della violazione dell’ordine questorile (marginale nella determinazione della pena edittale), si identificano con quelli suscettibili d’essere assunti a presupposto della domanda di emersione ex L. n. 102/09.

Sicchè ricondurre il reato previsto dall’art. 14, comma 5 ter, della L. n. 286/98, sanzionato con la pena della reclusione da uno a quattro anni, tra i reati previsti dagli artt. 380 e 381 del c.p.p., risulterebbe del tutto illogico e contraddittorio ove si consideri che una medesima condotta, per un verso legittimerebbe la domanda di emersione, per altro verso ne costituirebbe una causa ostativa.

Pertanto, una corretta interpretazione dell’art. 1 ter, comma 13, lett. c) della L. n. 102/09 induce a ritenere che, quantunque sia possibile ricondurre tra i reati previsti dall’art. 381 del c.p.p. un reato punibile con la pena da uno a quattro anni, tuttavia la regola della non ammissione alla procedura di emersione non possa ritenersi operante nei confronti del reato di cui all’art. 14, comma 5 ter, della L. n. 268/98, posto che i fatti costitutivi, valutati dal legislatore ai fini della determinazione della pena edittale, si traducono sostanzialmente nei presupposti indicati dalla norma per accedere alla procedura di emersione.

D’altro canto, una diversa interpretazione sicuramente porterebbe a soluzione configgenti con fondamentali principi di eguaglianza.

Nel sistema delineato dalla L. n. 102/09, infatti, è dato distinguere, tra le diverse posizioni considerate ai fini della "emersione", quelle riguardanti: a) gli stranieri irregolarmente presenti nel territorio nazionale; b) gli stranieri irregolari sottoposti a procedimento penale o amministrativo; c) gli stranieri condannati per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381.

Orbene, concorrendovi le condizioni richieste dalla norma, la prima categoria di soggetti sarebbe regolarmente ammessa alla procedura di emersione; la seconda categoria sarebbe anch’essa ammessa in quanto beneficiaria della sospensione dei procedimenti penali e amministrativi per violazione delle norme relative all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale (art. 1, comma 8); la terza categoria, invece, risulterebbe tagliata fuori dal beneficio, stante la condizione ostativa di cui al comma 13, lett. c).

Gli stranieri condannati per il reato previsto dall’art. 14, comma 5 ter., della L. n. 286/98, quindi, riceverebbero un trattamento diverso e penalizzante non perchè autori di fatti diversi, bensì a causa della condanna riportata, cui soltanto per motivi contingenti altri soggetti ammessi alla procedura di emersione si sono potuti sottrarre.

La sanzione penale, tuttavia, nulla può aggiungere al giudizio di disvalore già contenuto nella norma incriminatrice; anzi, qualunque sia la funzione della pena, colui che paga il suo debito con la giustizia non può essere trattato con disfavore rispetto a chi, responsabile della medesima condotta illecita, non ne ha subito le conseguenze giuridiche.

Ne discende che, ritenere non riconducibile tra i reati previsti dagli artt. 380 e 381 la fattispecie descritta dall’art. 14, comma 5 ter., della L. n. 286/98, significa non soltanto superare una contraddizione logicogiuridica (un medesimo fatto non può costituire, al contempo, presupposto necessario e condizione ostativa ai fini della "emersione"), bensì evitare anche una ingiustificata disparità di trattamento in violazione di un più generale principio di uguaglianza, secondo quanto più volte evidenziato da questa Sezione in sede cautelare nella esigenza di "una lettura costituzionalmente orientata delle norme nel loro combinato disposto" (ord. n. 776/10).

Bisogna altresì osservare che l’introduzione nel T.U. sull’immigrazione dell’art. 14, commi 5ter e seguenti (aggiunti dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 e sostituiti, prima, dall’art. 1 del D.L. n. 241/04 e, infine, dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94) si palesa ancorata a scelte legislative del tutto speciali di contenimento del flusso migratorio (più che a ragioni di prevenzione penale) e, in tale contesto, la stessa previsione dell’arresto obbligatorio mira a evitare la permanenza in Italia del soggetto già destinatario dell’ordine di allontanamento dal territorio nazionale, allo scopo di facilitarne l’espulsione.

Viceversa, le norme dettate per l’emersione del lavoro irregolare sono correlate all’esigenza opposta di ammettere al soggiorno in Italia il cittadino extracomunitario già concretamente adibito a un’attività lavorativa, sicché – a ben vedere – i motivi ostativi ex art. 1ter, comma 13 lett. c) attengono a reati di notevole rilevanza e allarme sociale, che evidenziando un’improbabile integrazione dell’autore nel circuito produttivo virtuoso del nostro Paese gli impediscono di accedere alla regolarizzazione.

In altri termini, la commissione di taluno dei reati in questione connota la personalità del soggetto in termini così negativi da renderlo immeritevole della misura di favore, mentre la stessa reazione dell’ordinamento non sembra giustificata nei confronti di colui che non abbia ottemperato all’ordine di abbandonare il territorio nazionale, anche considerato che il suo comportamento può essere stato dettato da svariati motivi sostanzialmente non riprovevoli secondo il comune sentire (non esclusa la mancanza di mezzi economici o la necessità di fronteggiare primarie esigenze di sostentamento).

In ogni caso tale riconducibilità sembra potersi escludere anche in relazione ad un diverso e concorrente profilo (tecnicogiuridico) già evidenziato, sia pure in modo non concorde, dalla giurisprudenza.

Si rileva infatti che, non essendo il reato ex art 14, comma 5 ter. L. n. 286/98 (la consumazione del quale comporta l’arresto obbligatorio) testualmente annoverato tra i delitti elencati dagli artt. 380 e 381, per un verso resterebbe fuori dalla previsione dell’art. 381 c.p.p perché relativa a reati per i quali è previsto l’arresto facoltativo, per altro verso non sarebbe sussumibile nell’ambito dell’art. 380 c.p.p. (arresto obbligatorio) dovendosi in tal caso trattare di reato punito con una pena non inferiore nel minimo a 5 anni (cfr. la sentenza del 4 novembre 2010 n. 3858 della Sez. II di Bari di questo Tribunale).

Infine, anche quando la norma sull’emersione del lavoro domestico ha avuto specifico riguardo all’espulsione del lavoratore straniero come preclusiva della regolarizzazione (si veda la lett. a) dello stesso art. 1ter, comma 13), si è circoscritto il riferimento alle ipotesi di espulsione comminata per motivi attinenti all’ordine pubblico, alla sicurezza dello Stato e alla prevenzione del terrorismo (cfr., per tale rilievo, l’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato – Sez. VI del 2 settembre 2010 n. 4066).

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso può ritenersi fondato e deve essere accolto, mentre ricorrono valide ragioni per disporre la compensazione integrale delle spese processuali tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Seconda – accoglie il ricorso specificato in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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