T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, Sent., 24-05-2011, n. 914 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A seguito dell’espletamento di gara pubblica bandita dal Comune di Gallipoli nel 2004, la ricorrente è stata individuata, con determinazione dirigenziale del predetto Comune n. 813 dell’8 luglio 2005, quale socio privato di minoranza (49%) per la costituzione di una società a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico, cui affidare la gestione del servizio della farmacia comunale. Detta società è stata poi costituita nel 2006 con il nome di G. s.r.l.

Nei patti parasociali stipulati con il Comune di Gallipoli in data 18 maggio 2006 quest’ultimo si impegnava, per sei anni dalla costituzione della società, a garantire la presenza della ricorrente nel Consiglio di amministrazione, assegnando alla medesima i poteri di amministratore delegato e riconoscendole una remunerazione annua di Euro 42.500,00. Nei medesimi patti veniva, altresì, precisato che "in caso di incapacità manifesta o di gravi negligenze tale carica potrà essere revocata e la Dott.ssa M.A. dovrà cedere al Comune le proprie quote ad un prezzo che verrà stabilito dal collegio arbitrale statutariamente previsto".

Nella seduta del 29 maggio 2006 il Consiglio di amministrazione della neocostituita società conferiva alla ricorrente l’incarico di amministratore delegato con mansioni di ordinaria amministrazione della predetta società, riconoscendole il compenso annuo di Euro 42.500,00, così come risultante dal verbale di aggiudicazione.

Nella successiva seduta dell’8 agosto 2006 il Consiglio di amministrazione della società G.. s.r.l. nominava la ricorrente Direttore responsabile della farmacia.

Successivamente, nella seduta del 9 ottobre 2009, il Consiglio di amministrazione della società, ravvisando nell’operato della ricorrente dei comportamenti di mala gestio, le revocava le funzioni di amministratore delegato e l’incarico di direttore di farmacia.

Detta deliberazione veniva impugnata dalla ricorrente dapprima davanti al Tar Lecce (ric. n. 1564/2009), che con sentenza n. 3186/2009 declinava la propria giurisdizione in favore di quella del giudice ordinario, e, successivamente, davanti al Tribunale di Lecce che con ordinanza del 3 giugno 2010 sospendeva la efficacia della deliberazione impugnata sul presupposto che la revoca delle deleghe e delle funzioni di direttore di farmacia non fossero state previamente inserite nell’ordine del giorno.

Con successiva deliberazione, adottata nella seduta del 12 giugno 2010, il Consiglio di amministrazione della G. s.r.l. confermava la precedente deliberazione di revoca. Anche detta deliberazione veniva impugnata davanti al Tar Lecce ed il relativo ricorso (R.G. n. 1227/2010) risulta ancora pendente davanti alla I^ Sezione.

Nel frattempo la ricorrente con atto stragiudiziale, notificato in data 5 ottobre 2010, diffidava il Consiglio comunale di Gallipoli a dettare, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. g), del d.lgs. n. 267/2000 l’indirizzo di ripristinare in suo favore, previa revoca della delibera del Consiglio di amministrazione del 12 giugno 2010, l’attribuzione delle deleghe e delle funzioni di Direttore di farmacia.

Con il ricorso in esame, la ricorrente, dopo aver fatto rilevare che è trascorso inutilmente il termine di trenta giorni assegnato per provvedere, contesta sotto diversi profili la legittimità dell’inerzia dell’amministrazione comunale sulla istanza presentata e chiede che venga accertato l’obbligo della predetta amministrazione di provvedere.

La ricorrente parte dalla considerazione che l’art. 42 del Testo unico degli enti locali configura il Consiglio comunale quale organo investito di una funzione di indirizzo politico e amministrativo sull’intera attività dell’Ente, che si estende anche, in base alla lett. g) del medesimo articolo, alle aziende pubbliche ed agli enti dipendenti sovvenzionati o sottoposti a vigilanza del Comune.

Richiamati l’art. 10 del contratto di servizio, che attribuisce al Comune il potere di procedere alla revoca dell’affidamento in determinate ipotesi, e l’art. 1 dei patti parasociali, secondo il quale in caso di revoca della funzioni di amministratore delegato per incapacità manifesta e grave negligenza, la ricorrente avrebbe dovuto cedere le proprie quote ad un prezzo stabilito da un Collegio arbitrale, la ricorrente sostiene che l’unico soggetto legittimato alla revoca delle funzioni di amministratore delegato e di direttore di farmacia, previo accertamento della sussistenza dei relativi presupposti, era il Comune di Gallipoli.

La ricorrente evidenzia poi che, pur essendo normativamente prevista la possibilità di affidamento di servizi di rilevanza economica a società a capitale misto pubblicoprivato (art. 113, comma 5, lett. b), del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267), condizione di legittimità del ricorso alla scelta del socio privato è, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, che, attraverso la relativa procedura di evidenza pubblica, si realizzi un affidamento della attività operativa al partner privato, così che si attui al tempo stesso l’attribuzione di compiti operativi e della qualità di socio.

Nel caso di specie, la revoca nei confronti della ricorrente delle funzioni di amministratore delegato avrebbe fatto venir meno le garanzie di legittimità di affidamento del servizio.

Si è costituito in giudizio il Comune di Gallipoli, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e contestando nel merito la sua fondatezza.

Con memoria depositata in data 26 febbraio 2011 la ricorrente ha avuto modo di soffermarsi diffusamente sulle ragioni che a suo giudizio militano in favore della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.

Alla Camera di Consiglio del 2 marzo 2011, dopo ampia discussione, la causa è stata posta in decisione.

Preliminarmente, il Collegio è chiamato ad esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dalla difesa dell’amministrazione resistente. Quest’ultima sostiene che la pretesa azionata dalla odierna ricorrente, attendendo al diritto (soggettivo) del socio privato di un società mista di essere reintegrato nella carica di amministratore delegato o al diritto (soggettivo) del medesimo socio alla liquidazione della relativa quota sociale, non sarebbe tutelabile con il rimedio del silenziorifiuto, disciplinato dall’art. 31 del codice del processo amministrativo.

A conferma della propria tesi, l’amministrazione resistente:

– richiama la sentenza del Tar Lecce – Sez. III n. 3186/2009 che, in sede di delibazione della istanza cautelare, ha definito, con sentenza in forma semplificata, il giudizio avente ad oggetto la domanda di annullamento della deliberazione del Consiglio di amministrazione della G.. del 9 ottobre 2010 (con la quale erano state revocate alla ricorrente le funzioni di amministratore delegato), declinando la propria giurisdizione, sul presupposto che il contenzioso avviato dalla ricorrente medesima involgesse posizioni sostanziali di diritto soggettivo, tutelabili davanti al giudice ordinario;

– evidenzia, altresì, che nella giurisprudenza è invalso il principio secondo il quale la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici, che ha il suo fondamento normativo nell’art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, deve ritenersi circoscritta ai soli atti che incidono sulla erogazione del servizio pubblico ed investono interessi della collettività, con esclusione delle questioni attinenti al diritto societario;

– pone in rilievo che la qualificazione della posizione giuridica soggettiva della ricorrente in termini di diritto soggettivo renderebbe in ogni caso non ammissibile il ricorso al rito sul silenziorifiuto, applicabile solo in relazione al mancato esercizio di potestà pubblicistiche di natura autoritativa a fronte delle quali vengano in rilievo posizioni giuridiche soggettive ascrivibili alla categoria degli interessi legittimi;

– contesta, infine, la natura provvedimentale del potere di indirizzo sollecitato dalla ricorrente ai sensi dell’art. 42, comma 2 lett. g) del d.lgs. n. 267/2000.

L’eccezione è fondata.

La Suprema Corte di Cassazione con riguardo alle società miste con partecipazione pubblico- privata ha avuto modo di precisare che "Il rapporto tra ente pubblico locale e persona giuridica privata è di assoluta autonomia, sicché non è consentito al Comune incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali…. La posizione del Comune all’interno della società è unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla "prevalenza" del capitale ad esso conferito; e soltanto in tale veste l’ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società…… avvalendosi non già dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società (v. art. 2459 c.c.)" (Cassazione civile, Sezioni unite 6 maggio 1995 n. 4989; in senso conforme, Cassazione civile, Sezioni unite 26 agosto 1998 n. 8454; Cassazione civile, Sezioni unite, 15 aprile 2005 n. 7799).

Orbene, in base al combinato disposto degli artt. 2380 e 2381 del c.c., la nomina dell’amministratore delegato è attribuita al Consiglio di amministrazione della società, sulla base di previsione statutaria o di una delibazione assembleare.

La delega delle attribuzioni del Consiglio di amministrazione ad uno dei suoi membri non può essere qualificato come un mandato, né può equiparasi integralmente ad una delega di diritto amministrativo, trattandosi di un’ipotesi tipica di autorizzazione con cui si attribuisce ad uno dei soggetti già investito dei poteri di amministrazione dell’ente sociale, quale componente dell’organo collegiale, la facoltà di esercitare da solo detti poteri; tale autorizzazione è destinata a perdere efficacia sia per la revoca della delega che può sopraggiungere in qualsiasi momento, sia per la cessazione della qualità di amministratore dei deleganti e del delegato (Cassazione civile sez. III 17 luglio 1979 n. 4191).

Ricostruito il quadro normativo di riferimento, deve ritenersi sussistente la legittimazione del Consiglio di amministrazione della società G. s.r.l. in merito alla possibilità di revocare le deleghe precedentemente conferite alla dott.ssa M.A. dal medesimo Consiglio di amministrazione nelle sedute del 29 maggio 2006 e dell’8 agosto 2006.

Né a conclusioni differenti si può pervenire in relazione al richiamo effettuato dalla ricorrente a quell’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale condizione di legittimità del ricorso alla scelta del socio privato, al fine della costituzione di una società mista di gestione, ai sensi dell’art. 113, comma 5 lett. b) d.lgs. n. 267/2000, è che attraverso la procedura ad evidenza pubblica si realizzi al tempo stesso l’attribuzione di compiti operativi e della qualità di socio (Consiglio di Stato sez. IV, 23 settembre 2008 n. 4603), in quanto il principio enucleato dalla giurisprudenza sopra richiamata può al più rilevare ai fini della valutazione della legittimità della prosecuzione della gestione del servizio, una volta che al socio privato siano stati revocati i compiti operativi, ma non può essere invocato per esautorare gli organi sociali dei poteri ad essi conferiti dal diritto societario.

Diversamente opinando si arriverebbe alla inammissibile conclusione di ritenere che lo svolgimento a monte di una gara per la scelta del socio "operativo" di una società mista pubblicoprivata istituita per la gestione di un servizio pubblico si traduca nella impossibilità per gli organi societari di revocare in piena autonomia le funzioni conferite al socio privato, pur nelle ipotesi di riscontrate gravi irregolarità gestionali.

Premesso ciò, rispetto all’esercizio del poteri di revoca delle deleghe precedentemente conferite, la posizione giuridica soggettiva della odierna ricorrente non può che essere qualificata in termini di diritto soggettivo, la cui tutela deve ritenersi rimessa, in base all’ordinario criterio di riparto della giurisdizione, al giudice ordinario.

La conferma della predetta qualificazione della posizione giuridica soggettiva azionata dalla ricorrente si deduce, a ben vedere, dalla sua stessa prospettazione difensiva.

La ricorrente, infatti, a sostegno della propria tesi, richiama i patti parasociali stipulati in data 18 maggio 2006, nei quali il Comune di Gallipoli si impegnava, per sei anni dalla costituzione della società, a garantire la presenza della ricorrente nel Consiglio di amministrazione, assegnando alla medesima i poteri di amministratore delegato e riconoscendole una remunerazione annua di Euro 42.500,00.

Orbene, i patti parasociali, che la ricorrente invoca a sostegno delle proprie ragioni, sotto il profilo giuridico, sono degli atti di natura pattizia, dai quali discendono diritti (soggettivi) ed i correlativi obblighi, la cui cognizione non può che essere rimessa al giudice ordinario.

Il Collegio non ignora che l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte sopra richiamato ha subito un temperamento nella successiva evoluzione giurisprudenziale e che, in particolare, il Supremo Consesso Amministrativo in Adunanza plenaria ha evidenziato con riguardo alle società miste con partecipazione pubblico- privata la necessità di strumenti di controllo da parte dell’ente pubblico più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 3 marzo 2008 n. 1), da attuarsi attraverso la previsione statutaria di limitazioni alle funzioni gestionali degli organi societari; tuttavia, il Collegio si permette di evidenziare che detti strumenti di controllo sono posti a presidio dell’interesse pubblico, in considerazione del rapporto di strumentalità tra le attività dell’impresa e le esigenze pubbliche che l’ente controllante è chiamato a soddisfare, e non già a tutela della posizione del socio privato. Quest’ultimo, ove ritenga che gli atti di gestione societaria siano lesivi della propria sfera giuridica, non può che ricorrere al giudice ordinario, e ciò è tanto più evidente quando, come nel caso di specie, il socio privato contesta l’azione degli organi societari per violazione di atti di natura pattizia stipulati antecedentemente alla formazione della società con il socio (pubblico) di maggioranza.

Nel caso di specie, infatti, la ricorrente, sul presupposto della dedotta illegittimità della revoca nei suoi confronti delle funzioni di amministratore delegato della neocostituita società G. s.r.l. e delle funzioni di direttore della farmacia comunale, chiede che venga accertata la illegittimità dell’inerzia della amministrazione comunale di Gallipoli a seguito della istanza, con la quale la ricorrente medesima, invocando l’applicazione dell’art. 42 comma 2 lett. g) del d.lgs. n. 267/2000, ha diffidato il Consiglio comunale di Gallipoli ad adottare un atto di indirizzo per effetto del quale sia imposto al Consiglio di amministrazione della predetta società di ripristinare le funzioni revocate, con corresponsione del relativo compenso dal giugno 2009, ovvero, in alternativa, a seguito di una rinnovazione del procedimento di revoca con il medesimo esito, di liquidare la sua quota sociale.

In buona sostanza, la ricorrente sollecita l’esercizio del potere pubblico al fine di essere reintegrata nelle funzioni di amministratore delegato della neocostituita società e di responsabile della farmacia comunale ed, a fondamento della propria richiesta, richiama l’art. 1 dei patti parasociali e l’art. 10 dei contratto di servizio.

Appare, dunque, evidente che la posizione giuridica soggettiva di cui la ricorrente lamenta la lesione non può che essere qualificata in termini di diritto soggettivo e che, conseguentemente, ai fini della relativa tutela non può essere utilizzato il rito speciale di cui all’art. 31 del codice del processo amministrativo.

Costituisce, infatti, ius receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale il rito sul silenzio può trovare applicazione solo nel caso di mancato esercizio di potestà pubblicistiche di natura autoritativa, a fronte delle quali vengano in rilievo posizioni giuridiche soggettive aventi natura e consistenza di interesse legittimo.

Né può costituire fondamento della giurisdizione del giudice amministrativo il richiamo all’art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come modificato dall’art. 7 della l. 21 luglio 200 n. 25, che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi.

La Corte Costituzionale con sentenza 56 luglio 2004 n. 204 ha delimitato l’ambito oggettivo di applicazione della predetta norma, dichiarando non conforme al dettato costituzionale il criterio di riparto della giurisdizione "per blocchi di materie" e stabilendo il principio secondo il quale la individuazione a livello legislativo di nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in deroga all’ordinario criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla causa petendi, deve essere limitata, ai sensi dell’art. 103, comma 1, della Costituzione, a "particolari materie" nelle quali le posizioni giuridiche soggettive siano di difficile qualificazione ovvero si verifichi una commistione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi.

Conformemente a questi principi la giurisprudenza successiva ha chiarito che, ai sensi dell’art. 33 d.lgs. n. 80/1998 e s.m.i., perché sussista la giurisdizione del giudice amministrativo non è sufficiente il generico coinvolgimento di un interesse pubblico nella controversia o che questa abbia ad oggetto un pubblico servizio, essendo in tal caso necessario che la pubblica amministrazione agisca esercitando il suo potere autoritativo (Cassazione civile, Sezioni unite, 16 febbraio 2006 n. 3370).

Oltre a ciò, non si vede perché questo Tribunale, che già ha declinato la propria giurisdizione a fronte della richiesta di annullamento del 1° provvedimento di revoca delle funzioni attribuite alla ricorrente (con sentenza n. 3186/2009 che, peraltro, non risulta essere stata appellata dalla ricorrente) dovrebbe ritenersi competente a conoscere della illegittimità della inerzia della amministrazione a fronte della richiesta della ricorrente diretta ad ottenere un atto di indirizzo tendente ad incidere proprio sulla legittimità degli atti societari contestati.

La ricorrente potrà dunque tutelare la propria posizione giuridica, impugnando davanti al giudice ordinario la 2 ^ deliberazione del Consiglio di amministrazione che assume illegittima (come, del resto, ha già fatto con la prima deliberazione del predetto Consiglio di amministrazione) e facendo valere le proprie ragioni, ai fini della liquidazione della quota sociale, davanti al Collegio arbitrale previsto all’art.11 del contratto di servizio sottoscritto dalla ricorrente in data 22 maggio 2006.

In conclusione, per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

In relazione alla complessità delle questioni sollevate dalla ricorrente, il Collegio ritiene, tuttavia, che le spese di giudizio possano essere compensate tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la controversia dedotta in giudizio concerne posizioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo tutelabili davanti al giudice ordinario.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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