Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-04-2011) 25-05-2011, n. 20988

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he ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 29 ottobre 2010 il Tribunale di Lecce ha rigettato l’istanza di riesame, proposta da V.M. avverso il provvedimento del G.I.P. in sede in data 20 settembre 2010, con il quale era stata adottata nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome gravemente indiziato per il delitto di partecipazione ad un’associazione a delinquere di stampo mafioso, operante nella provincia di (OMISSIS) e nel territorio di (OMISSIS), intesa come una frangia della "sacra corona unita", la cui esistenza era stata comprovata da numerose sentenze di condanna, emesse nel corso dell’ultimo ventennio, facente capo a VI.An., nell’ambito della quale l’odierno ricorrente rivestiva un ruolo primario, unitamente al fratello V. D., referente dell’associazione criminosa per il territorio di (OMISSIS) ed a P.A., con i quali era stata accertata una sua stabile frequentazione.

2. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza in capo al ricorrente dei validi e rilevanti indizi di colpevolezza evidenziati dal G.I.P. nell’ordinanza impugnata, in ordine ala partecipazione al sodalizio mafioso anzidetto, avendo valorizzato i seguenti elementi:

– le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia P. C., che aveva indicato l’istante come destinatario, a fini di rappresaglia, di un attentato programmato da tale L.G., esponente di spicco della frangia mesagnese del gruppo criminoso; il che inquadrava il ricorrente nelle logiche mafiose, che prevedevano la soppressione fisica degli esponenti delle fazioni rivali; e le dichiarazioni anzidette avevano un’elevata attendibilità, siccome proveniente da un soggetto, inserito a pieno titolo in quell’ambito criminale; – l’intercettazione telefonica n. 2299 del 3.10.08, nel corso della quale il V. aveva parlato con grande competenza dei sodali dediti al contrabbando in territorio montenegrino;

– l’intercettazione telefonica n. 308 del 23.6.08, nel corso della quale l’appellante aveva parlato del lucro derivante dalla gestione delle case da gioco e delle difficoltà spesso connesse a tale gestione;

– una concomitante attività di pedinamento e controllo svolta dalla p.g., culminata nelle informative rese dal R.O.S. dei carabinieri di Lecce il 27.9.08 ed il 19.1.09. 3. Secondo l’ordinanza impugnata, sussistevano poi a carico del ricorrente esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), legate alla gravità dei fatti contestati ed alle finalità della condotta ascrittagli, per essere stato il V. inserito pienamente ed organicamente in una stabile e pericolosa compagine associativa, con conseguente elevato rischio di reiterazione della condotta criminosa.

L’ordinanza ha poi fatto riferimento alla presunzione di esigenze cautelari, di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, tenuto conto del delitto contestatogli ed in assenza di alcun elemento sintomatico di una rescissione, da parte sua, dei legami col sodalizio mafioso sopra delineato.

4. Avverso detto provvedimento del Tribunale del riesame di Lecce ha proposto ricorso per cassazione V.M. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto erronea applicazione della legge penale, in quanto non sussistevano esigenze cautelari così gravi da imporre l’applicazione a suo carico della misura custodiale in carcere, tenuto conto della sua incensuratezza e dell’assenza di carichi pendenti a suo carico.

I fatti cui aveva fatto riferimento l’ordinanza custodiale si riferivano ad epoca antecedente al mese di agosto 2008 e quindi riferiti ad eventi risalenti a più di due anni addietro.

Non vi era prova dell’elemento soggettivo in capo ad esso ricorrente di una sua partecipazione ad un contesto associativo; neppure erano stati a lui contestati reati fine; l’accordo fra i sodali, per aversi associazione criminosa, doveva essere finalizzato all’attuazione di un ampio programma criminoso, mentre, se si fosse trattato solo di accordi occasionali od accidentali, la fattispecie avrebbe dovuta essere inquadrata nell’ambito del concorso di persone nel reato; il che nella specie neppure sarebbe stato ipotizzabile, in quanto nessun fatto criminoso specifico gli era stato contestato.

Esso ricorrente svolgeva attività lavorativa, dalla quale derivavano i proventi con cui manteneva il proprio nucleo familiare.

Nessun riferimento ad esso ricorrente era emerso dalle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni dei pentiti.

L’impugnata ordinanza aveva poi violato l’art. 309 c.p.p., comma 5, in quanto non erano stati trasmessi al Tribunale del riesame tutti quegli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini, tali da poterlo discolpare; in particolare non erano stati allegati i verbali degli interrogatori di garanzia resi dai coindagati.
Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da V.M. è infondato.

2.Con esso il ricorrente censura l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Lecce in quanto non sarebbero emersi a suo carico validi indizi per ritenerlo partecipe dell’associazione criminosa di stampo mafioso, descritta in parte narrativa.

Le censure proposte dal ricorrente innanzi a questa Corte, non sono proponibili nella presente sede di legittimità, essendo esse più propriamente attinenti al merito.

Questa Corte invero, in considerazione della giurisdizione di legittimità svolta, può solo verifica re se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni, che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario emerso a carico del ricorrente, si da ritenere adeguata la misura cautelare oggetto dell’impugnazione.

Pertanto il metodo di valutazione è quello indicato dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avendo esso ad oggetto la motivazione dell’atto impugnato, onde accertare che essa sussista e non sia nè manifestamente illogica, nè contraddittoria (cfr., in termini, Cass. SS. UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4, 8.6.07 n. 22500).

3. Il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame di Lecce, impugnato nella presente sede, siccome adottato allo stato degli atti, correttamente si è limitato ad apprezzare la consistenza degli indizi fino a quel momento emersi a carico del ricorrente e, con motivazione incensurabile nella presente sede di legittimità, siccome esente da illogicità e contraddizioni, ha ritenuto detti indizi adeguati a fondare l’imputazione di partecipazione ad un’associazione criminale di stampo mafioso, operante nella provincia di (OMISSIS) e nel territorio di (OMISSIS), intesa come una frangia della "sacra corona unita", associazione mafiosa la cui sussistenza era stata comprovata da numerose sentenze di condanna, emesse nel corso dell’ultimo ventennio, facente capo a VI.An., nell’ambito della quale l’odierno ricorrente rivestiva un ruolo primario, assieme al fratello D., referente dell’associazione criminosa per il territorio di (OMISSIS) ed a P.A., con i quali era stata accertata una sua stabile frequentazione.

I gravi indizi, ravvisati dal Tribunale di Lecce a carico del ricorrente per il delitto di partecipazione ad associazione criminosa di stampo mafioso contestatogli sono consistiti:

– nelle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia PA. C., che aveva indicato l’istante come destinatario, a fini di rappresaglia, di un attentato programmato da tale L.G., esponente di spicco della frangia mesagnese del gruppo mafioso; il che consentiva di inquadrare il ricorrente nelle logiche tipiche delle organizzazioni mafiose, che prevedevano la soppressione fisica degli appartenenti alle fazioni rivali; e le dichiarazioni anzidette erano particolarmente attendibili, tenuto conto della caratura criminale del propalante, anch’egli inserito in quell’ambito criminale;

– nell’intercettazione telefonica n. 2299 del 3.10.08, nel corso della quale il V. aveva parlato con grande competenza dei sodali dediti al contrabbando in territorio montenegrino;

– nell’intercettazione telefonica n. 308 del 23.6.08, nel corso della quale il V. aveva parlato del lucro derivante dalla gestione delle case da gioco e delle difficoltà spesso connesse a tale gestione;

– nell’attività di pedinamento e controllo svolta dalla p.g., culminata nelle informative rese dal R.O.S. dei carabinieri di Lecce il 27.9.08 ed il 19.1.09. Congrui ed adeguati sono pertanto gli elementi di fatto valorizzati dal giudice di merito, tali da giustificare l’adozione della misura cautelare inframuraria impugnata nella presente sede (cfr., in termini, Cass. 6^ 26.4.06 n. 22256).

4. Le argomentazioni, svolte dal ricorrente per inficiarne la consistenza, sono generiche ed inidonee ad incrinare la coerente ed attendibile ricostruzione dei fatti proposta dai giudici di merito.

Si osserva in particolare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la partecipazione di un soggetto ad un sodalizio criminoso di stampo mafioso non è necessariamente collegata alla commissione di un reato fine, atteso che, viceversa, il nucleo essenziale della condotta partecipativa consiste nella stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio, che può essere desunta anche da altri indizi purchè siano gravi e concordanti, quali quelli evidenziati dal provvedimento impugnato, e tali da poterne desumere, senza alcun automatismo probatorio, come il ricorrente abbia preso parte al sodalizio criminoso, ne abbia condiviso le finalità e si sia messo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (cfr. Cass. sez. 1, n. 1470 dell’I 1/12/2007 dep. 11/01/2008, Addante, Rv. 238838). Va poi rilevato che, contrariamente all’assunto del ricorrente, la mancata trasmissione al Tribunale del riesame dei verbali degli interrogatori di garanzia resi dai coindagati non è censurabile nella presente sede di legittimità, atteso che detti interrogatori intanto possono essere annoverati fra gli elementi favorevoli sopravvenuti all’imputato, per i quali l’art. 309 c.p.p., comma 5, impone l’obbligo di trasmissione da parte dell’a.g. procedente al Tribunale del riesame, in quanto essi abbiano un contenuto che non si limiti alla mera contestazione dell’accusa, ma siano oggettivamente favorevoli al ricorrente, si che detta valenza dev’essere specificamente indicata nel ricorso al Tribunale del riesame, qualora si voglia sostenere che, dalla loro mancata trasmissione, sia derivata una conseguenza sfavorevole al ricorrente; e non risulta che, nella specie, il ricorrente abbia fatto alcun specifico riferimento a detta valenza per lui favorevole di tali interrogatori innanzi al Tribunale del riesame (cfr. Cass. sez. 6 n. 12257 del 03/02/2004, dep. 15/03/2004, Pompeo, Rv. 228469).

Non è infine conferente quanto dedotto dal ricorrente in suo favore, di svolgere cioè una lucrosa attività lavorativa, tale da consentirgli di mantenere sè ed il proprio nucleo familiare, non potendo sul piano logico tale sua condizione escludere la sua ipotizzata partecipazione al sodalizio criminoso di stampo mafioso.

5.L’ordinanza impugnata risulta adeguatamente motivata anche in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari così gravi da far luogo all’impugnata misura cautelare, avendo essa fatto riferimento alla gravità dei fatti addebitati, tali da consentire l’individuazione di un suo autonomo e rilevante ruolo nella compagine criminosa delineata, si da far ritenere concreto ed attuale il pericolo di reiterazione della condotta antigiuridica (cfr., in termini, Cass. SS.UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4, 8.6.07 n. 22500).

Il Tribunale poi, tenuto conto dell’imputazione ascritta al ricorrente, ha fatto riferimento alla presunzione iuris tantum fissata dall’art. 275 c.p.p., dettato in tema di criteri di scelta delle misure cautelari da applicare. Tale norma è stata modificata, al D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2, comma 3, convertito con modificazioni nella L. 23 aprile 2009, n. 38; e, secondo tale ultima normativa, anche per il reato contestato all’odierno ricorrente (cfr. art. 51 c.p.p., comma 3 bis) sussiste la presunzione di adeguatezza della misura cautelare inframuraria, presunzione superabile solo se il ricorrente provi la completa insussistenza di esigenze cautelari nei suoi confronti, prova nella specie non fornita dal ricorrente, non avendo il medesimo assolutamente provato una sua completa e decisa rescissione, da parte sua, dei collegamenti con il sodalizio criminoso anzidetto. Il criterio fissato dal legislatore è stato dunque riferito alla completa inesistenza di esigenze cautelari, in tal modo non consentendo all’interprete di graduare diversamente la misura cautelare da irrogare, qualora pure ritenesse le esigenze cautelari in qualche modo ridotte o diminuite.

6. Il ricorso proposto da V.M. va pertanto respinto, con sua condanna, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

7. Dovrà provvedersi all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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