T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, Sent., 24-05-2011, n. 901 Sentenze della Corte Costituzionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’atto introduttivo del presente giudizio i ricorrenti hanno impugnato il provvedimento 11.8.2008 prot. n. 11.259 di acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune di Colognola ai Colli, ai sensi dell’art. 43 del DPR n. 327/01, del terreno di loro proprietà su cui è stata realizzata la scuola media pubblica "G. Fano".

Secondo i ricorrenti il provvedimento sarebbe illegittimo per incompetenza del dirigente che l’aveva adottato, per difetto di motivazione, per errata determinazione del valore dell’area appresa (valore da quantificarsi secondo i principi di diritto civilistico e con rivalutazione di anno in anno ed interessi) e per incostituzionalità dell’art. 43 del DPR n. 327/01 per contrasto con gli artt. 42 della Costituzione e 17, II comma della Carta dei diritti fondamentali dell’UE: ne chiedevano, pertanto, l’annullamento, con conseguente risarcimento del danno da occupazione e da acquisizione abusive.

Resisteva in giudizio l’intimato Comune rilevando l’infondatezza delle censure proposte dai ricorrenti e chiedendo, conseguentemente, la reiezione del ricorso.

Nelle more del giudizio, con sentenza 8 ottobre 2010 n. 293 la Corte costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 del DPR n. 327/01.

Su tali presupposti la causa, chiamata all’udienza del 27 aprile 2011, veniva introitata per la decisione.
Motivi della decisione

1.- Va anzitutto premesso che, com’è noto, con sentenza 8 ottobre 2010 n. 293 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, dell’art. 43 del DPR n. 327/01 disciplinante l’istituto della c.d. "acquisizione sanante".

Orbene, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, che il collegio condivide, la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che disciplina il potere di adozione di un atto amministrativo oggetto di ricorso giurisdizionale determina l’illegittimità derivata dell’atto stesso qualora il ricorrente abbia, attraverso uno specifico motivo di ricorso, fatto venire in rilievo la norma denunciata dinanzi al Giudice delle leggi (cfr., da ultimo, CdS, IV, 2.11.2010 n. 7735).

In presenza, cioè, di uno specifico motivo di gravame riferito alla norma incostituzionale, ancorché non sia stato sollevato alcun profilo d’incostituzionalità di essa (ma non è il caso di specie, ove la norma è stata censurata anche per incostituzionalità, pur se sotto profili diversi da quelli della poi effettuata dichiarazione), assume, invero, rilievo il principio secondo cui il giudice deve applicare d’ufficio, nei giudizi pendenti, le pronunce di annullamento della Corte costituzionale, con conseguente possibilità di superare i limiti che derivano dalla struttura impugnatoria del processo amministrativo e dalla correlata specificità dei motivi (cfr., a contrario, CdS, V, 5.5.2008 n. 1986).

Ora, come si è già accennato, con l’atto introduttivo del giudizio i ricorrenti hanno denunciato la violazione dell’art. 43 del DPR n. 327/01 sotto i profili dell’incompetenza del dirigente all’adozione dell’atto ablativo (che, invece, spetterebbe al Consiglio comunale), del difetto di motivazione, dell’errata applicazione dei parametri per la determinazione del valore dell’area acquisita e dell’incostituzionalità dell’art. 43 del DPR n. 327/01 per contrasto con gli artt. 42 della Costituzione e 17, II comma della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, sicché dalla riferita dichiarazione d’incostituzionalità di tale norma discende l’illegittimità derivata del provvedimento impugnato.

Il quale ultimo, pertanto, va espunto dall’ordinamento unitamente, giusta la richiamata pronuncia della Consulta, all’art. 43 del DPR n. 327/01.

2.- Con la conseguenza che i ricorrenti conservano la titolarità delle aree e che la perdurante occupazione delle stesse, pur asservite alla realizzata opera pubblica, continua ad essere sine titulo e si caratterizza come fatto illecito permanente (cfr., da ultimo, Cass.civ., I, 21.6.2010 n. 14940).

In assenza, infatti, di un formale atto traslativo di natura privatistica ovvero di un atto legittimo di natura ablatoria (attualmente non previsto dall’ordinamento), l’Amministrazione non può acquistare a titolo originario la proprietà di un’area altrui, pur quando su di essa abbia realizzato in tutto o in parte un’opera pubblica: una tale acquisizione, invero, contrasterebbe palesemente con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo che ha una diretta rilevanza nell’ordinamento interno, poiché per l’art. 117, I comma della Costituzione le leggi devono rispettare i "vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario". Principio, questo, ulteriormente rafforzato dalla nuova formulazione dell’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea (modificato dal Trattato di Lisbona) che prevede che "l’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali" (II comma) e che "i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali" (III comma).

Donde l’assoluta impossibilità di ricorso alla "occupazione acquisitiva" o ad istituti analoghi.

Nel caso, pertanto, in cui l’Amministrazione decidesse di restituire le aree, anziché di acquisirle in accordo con i ricorrenti pagandone il corrispettivo, non farebbe altro che far cessare l’illecito permanente causativo del danno, fermo restando l’obbligo del risarcimento per il periodo di occupazione abusiva sino al momento della restituzione.

In mancanza, dunque, di un apposito atto negoziale la condotta dell’ente pubblico occupante continua a mantenere i connotati di illiceità in quanto ingiustificatamente lesiva del diritto di proprietà che permane in capo ai privati proprietari i quali, entro il termine generale dell’usucapione ventennale, possono agire – come i ricorrenti hanno agito – per la restituzione del bene o per la cessione bonaria.

3.- Venendo al merito della illegittima, perdurante occupazione del bene, appare evidente la sussistenza, nel caso in esame, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità civile invocata dalla parte ricorrente nella sua richiesta di risarcimento dei danni, atteso il grave inadempimento dell’Amministrazione, responsabile della sottratta disponibilità dei beni e del mancato ristoro ai proprietari, donde la ricorrenza di tutti gli estremi previsti dall’art. 2043 c.c. (comportamento omissivo, colpa dell’Ente procedente, danno ingiusto e nesso di causalità) in presenza dei quali è possibile affermare la responsabilità extracontrattuale per fatto illecito dell’Amministrazione resistente, consistente, per l’appunto, nella suindicata sottrazione abusiva della disponibilità dei beni.

4.- La qualificazione della condotta della PA in termini di illecito civile impone, quindi, l’individuazione di rimedi a tutela del privato coerenti coi principi di cui alla disciplina generale prevista dagli artt. 2043 segg. c.c.

Ed allora l’Amministrazione dovrà risarcire il danno facendo cessare la situazione di permanente, illegittima occupazione (recte: sottrazione) anzitutto in forma specifica, provvedendo alla restituzione ai legittimi proprietari dei terreni utilizzati per la realizzazione dell’opera pubblica opportunamente rimessi in pristino (e, naturalmente, corrispondendo l’indennizzo per il periodo di abusiva occupazione).

5.- La definizione della richiesta risarcitoria implica, pertanto, un passaggio intermedio consistente nell’assegnazione di un termine all’Amministrazione perché definisca la sorte della titolarità dei beni illecitamente appresi, cui potrà seguire, ma in posizione inevitabilmente subordinata, la condanna risarcitoria secondo il criterio generale ed esaustivo previsto dall’art. 2043 c.c.

Termine durante il quale l’Amministrazione, qualora ritenesse eccessivamente oneroso il risarcimento in forma specifica – ossia la restituzione dei beni nelle condizioni precedenti all’intervento: e l’irreversibilità della trasformazione dell’area, connessa con la realizzazione dell’opera, può effettivamente implicare un giudizio di impossibilità o, quanto meno, di eccessiva onerosità della sua restituzione al privato – potrebbe optare per il risarcimento per equivalente, il cui pagamento sarebbe condizionato dal giudice (cui spetta, ai sensi dell’art. 2058, II comma c.c., di disporre che il risarcimento avvenga, appunto, per equivalente) alla conclusione del negozio traslativo (in considerazione della necessità di risolvere, stante l’intervenuta abrogazione dell’art. 43 del DPR n. 327/01, il problema della formazione di un titolo idoneo alla trascrizione del trasferimento del diritto reale in capo all’Amministrazione).

6.- In ordine alla quantificazione del danno – acclarata la responsabilità dell’Amministrazione ed il mutamento, nelle more del giudizio, del quadro giuridico di riferimento (non possono, infatti, essere applicati i criteri di liquidazione del danno previsti dall’art. 43 del DPR n. 327/01, essendo tale disposizione stata estirpata dall’ordinamento) – va anzitutto premesso che qualora la Pubblica Amministrazione si impossessi di fatto di un immobile privato per realizzarvi un’opera pubblica, il pregiudizio consta di due distinte componenti (a cui se ne aggiunge una terza, eventuale, in caso di impossessamento parziale), una di carattere permanente corrispondente al mancato godimento dell’immobile stesso durante il periodo anzidetto (in cui il privato ne ha conservato la proprietà) compreso tra la data dell’illegittimo impossessamento e quella della sua (legittima) acquisizione, l’altra di carattere istantaneo con effetti permanenti collegata a tale ultima vicenda (il negozio traslativo), la quale comporta la perdita definitiva della proprietà: in caso, poi, di sottrazione parziale vi è, di regola, un’ulteriore componente, costituita dal deprezzamento – ma potrebbe anche esservi, all’opposto, un apprezzamento – della porzione residua del fondo che non si presta più all’originaria funzione.

7.- Pertanto, i ricorrenti – a cui, come s’è detto, il danno va liquidato alla stregua non già (o meglio non più) dei parametri indicati dall’art. 43 del DPR n. 237/01, ma dei principi civilistici – hanno diritto al valore venale dei beni abusivamente sottratti stimato al momento del trasferimento della proprietà (e cioè al momento della stipula del relativo contratto e coincidente, pertanto, con il prezzo del bene sul libero mercato), nonché al corrispettivo del minor valore dei beni residui a cui, naturalmente, deve essere aggiunto il danno sofferto per l’occupazione, meramente detentiva, dei beni prima della legittima acquisizione: danno in teoria corrispondente ai frutti e ad ogni altra utilità che il proprietario stesso dimostri di avere perduto durante il periodo in questione, ma suscettibile di liquidazione in via equitativa mediante commisurazione ai c.d. frutti civili, ovvero agli interessi corrispettivi (per il mancato godimento del bene, in analogia alla previsione dell’articolo 1499 c.c.), per ogni anno di occupazione, calcolati al tasso legale sulla somma spettante al proprietario per la perdita del suo diritto reale e determinata con riferimento al valore dello stesso (in ciascun anno di occupazione senza titolo, rivalutata secondo gli indici ISTAT, il che equivale al valore) al momento dell’alienazione. Il risarcimento del danno per l’occupazione abusiva integra, infatti, un’ipotesi di debito di valore e non una obbligazione pecuniaria, per cui ciascuna annualità deve essere rivalutata in modo da risultare adeguata ai valori monetari al momento dell’alienazione.

8.- Non spettano, invece, gli interessi compensativi (dal momento dell’inizio dell’occupazione illegittima) sulla somma via via rivalutata: nei debiti di valore, infatti, gli interessi compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria dell’eventuale danno da ritardo nella corresponsione dell’equivalente monetario attuale della somma dovuta all’epoca della produzione del danno, sicchè essi non sono dovuti ove il debitore non dimostri la sussistenza di una perdita da lucro cessante per non avere conseguito la disponibilità della somma di danaro non rivalutata fino al momento della verificazione del danno ed averla potuta impiegare redditiziamente in modo tale che avrebbe assicurato un guadagno superiore a quanto venga liquidato a titolo di rivalutazione monetaria (cfr. Cass. Civ., III, 12.2.2008 n. 3268).

In mancanza di qualsiasi prova circa l’insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del danno da ritardo nei sensi sopra specificati, non vanno, pertanto, computati gli interessi compensativi (Cass. Civ., I, 21.4.2006 n. 9410; CdS, VI, 21.5.2009 n. 3144).

9.- Il dies a quo per il calcolo degli interessi (corrispettivi) dovuti per l’occupazione sine titulo – interessi dovuti, come si è accennato sopra, in difetto della prova di un maggior danno – va individuato nel giorno di notifica del decreto di occupazione d’urgenza (data coincidente con l’effettivo spossessamento): il dies ad quem sarà, invece, coincidente con il giorno della stipula dell’atto negoziale traslativo dei beni.

10.- Su tali premesse, pertanto, in ordine alla quantificazione del danno il Collegio ritiene opportuno fare ricorso al meccanismo di cui all’art. 34, IV comma del DLgs n. 104/2010, in base al quale l’Amministrazione – fatta salva l’ipotesi che essa decida di restituire, anche parzialmente, le aree – dovrà attenersi nel prosieguo alle seguenti regole d’azione:

a) entro il termine di novanta giorni (decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione o dalla notificazione, ove anteriore) il Comune da una parte ed i ricorrenti dall’altra potranno addivenire ad un accordo con effetti traslativi in favore dell’Amministrazione della proprietà delle aree definitivamente occupate, mentre ai ricorrenti verrà corrisposta la somma specificamente individuata nell’accordo stesso, somma che, come innanzi precisato, dovrà essere determinata in base al valore venale dei terreni, nel rispetto del principio del ristoro integrale del danno subito e comprensiva, altresì, del danno per il periodo della loro mancata utilizzazione nella forma degli interessi corrispettivi sul capitale rivalutato: essa, ovviamente, andrà depurata di ogni corresponsione di somme medio tempore eseguita in favore della parte ricorrente, a titolo indennitario o risarcitorio, in relazione alla vicenda ablatoria per cui è causa;

b) ove siffatto accordo non sia raggiunto nel termine indicato l’Amministrazione, entro i successivi novanta giorni, dovrà emettere formale provvedimento con cui disporrà la restituzione delle aree a suo tempo occupate, opportunamente ripristinate, impregiudicate le questioni consequenziali in ordine al ristoro relativo all’occupazione illegittima, che dovrà essere regolato secondo quanto disposto al punto sub 7.;

c) qualora le parti in causa non concludano alcun accordo e l’Amministrazione neppure adotti un atto formale di restituzione delle aree in questione, decorsi i termini sopra indicati, la parte ricorrente potrà chiedere all’intestato Tribunale l’esecuzione della presente sentenza per l’adozione delle misure consequenziali, con possibilità di nomina di un Commissario ad acta che provveda in luogo dell’Amministrazione inadempiente e di trasmissione degli atti alla Corte dei Conti per le valutazioni di competenza;

11.- Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in ragione della particolarità della controversia.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) accoglie il gravame nei limiti e nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’atto di "acquisizione sanante" adottato dall’Amministrazione ex art. 43 del DPR n. 327/01 e condanna il Comune di Colognola ai Colli al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti, per le causali di cui in motivazione, con i criteri e le modalità ivi precisati, da determinarsi con la procedura di cui all’art. 34, IV comma del DLgs n. 104/2010 secondo i criteri parimenti indicati in motivazione.

Compensa le spese e le competenze del giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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