Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-09-2011, n. 19806 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa rilevanti ai fini della decisione del ricorso possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

C.E. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bologna P.P., Ca.Ga., Ca.Ni., Ma.Ca., S.E.S. Società Editrice Siciliana s.p.a. e Poligrafici Editoriale s.p.a., società editrici, rispettivamente, della Gazzetta del Sud e della Nazione, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni a lei derivati dalla pubblicazione di articoli ritenuti lesivi del suo onore personale e professionale.

I convenuti, costituitisi in giudizio, contestarono l’avversa pretesa.

Con sentenza del 31 ottobre 2008 il giudice adito rigettò la domanda.

Proposto dalla soccombente gravame, la Corte d’appello lo ha respinto.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte C.E., formulando due motivi e notificando l’atto a P. P., Ca.Ga., Ca.Ni., S.E.S. Società Editrice Siciliana s.p.a. e a Poligrafici Editoriale s.p.a.

Resistono con controricorso S.E.S. Società Editrice Siciliana s.p.a., Ca.Ga. e Poligrafici Editoriale s.p.a., che ha altresì depositato memoria.
Motivi della decisione

1.1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, in relazione alla L. n. 69 del 1963, art. 2.

Assume, a sostegno della scorrettezza e della parzialità degli articoli in contestazione, che ella non chiese di essere applicata a Palmi, ma che a tal fine fu scelta dal Consiglio Superiore tra i magistrati che avevano manifestato la loro disponibilità; che il signor F., coindagato con l’avvocato C.R., non risultava affiliato ad alcuna loggia massonica; che i comportamenti pretesamente criminosi tenuti dalla sorella si sarebbero concretizzati nel periodo immediatamente successivo alla sua applicazione nel predetto ufficio giudiziario. Riportati ampi stralci del provvedimento restrittivo della libertà personale e di altri atti di indagine, sostiene che al più, dalle conversazioni ivi. riportate, si evinceva la preoccupazione della dott.sa C.R. per l’attività professionale della sorella e una scarsa fiducia nei confronti delle indagini svolte e di chi le conduceva.

1.2 Con il secondo mezzo la ricorrente lamenta vizi motivazionali su un fatto controverso e decisivo. Sostiene che la sentenza impugnata sarebbe gravemente contraddittoria nella parte in cui immotivatamente aveva negato che negli articoli le si attribuiva una richiesta di trasferimento che ella non aveva mai formulato nonchè lo svolgimento di colloqui telefonici al fine di favorire, proteggere, se non addirittura partecipare ad attività criminali della cosca mafiosa.

2 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate.

Il giudice di merito ha motivato la scelta decisoria adottata rilevando che le notizie riportate su La Nazione e su La Gazzetta del Sud – concernenti l’arresto dell’avvocato C.R., avvenuto nell’ambito di un’indagine avente ad oggetto un’organizzazione massonica deviata in Calabria e i rapporti intrattenuti dalla professionista con vari magistrati, tra cui sua sorella, attrice in risarcimento – oltre a essere presenti anche sulla stampa nazionale, si limitavano a dar conto di notizie vere e inconfutabili relative sia alla predetta relazione di parentela, sia alla circostanza che la dott.sa C.R. era stata applicata alla Procura di Palmi. Ha aggiunto che i ripetuti contatti telefonici tra l”indagata e la congiunta erano contenuti nel provvedimento restrittivo della libertà personale emesso a carico della stessa e che il dott. Ma.Ca. aveva confermato di aver parlato delle anomalie dell’inchiesta sulla massoneria e di avere sollecitato il C.S.M. al riguardo. In tale contesto ha quindi ritenuto che le informazioni riportate negli articoli di stampa rispondessero ai requisiti di verità (oggettiva o putativa), pertinenza e continenza richiesti dalla giurisprudenza ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, essendo state utilizzate notizie vere o comunque provenienti da atti giudiziari, esposte, per giunta, con espressioni non offensive e senza toni scandalistici.

3 Ritiene il collegio che l’apparato motivazionale qui sinteticamente esposto faccia coerente e corretta applicazione dei principi elaborati da questa Corte in punto di diffamazione a mezzo stampa.

Mette conto evidenziare che, secondo la giurisprudenza consolidatasi a partire dal noto arresto del 18 ottobre 1984, n. 5259, per considerare la divulgazione di notizie lesive dell’onore lecita espressione del diritto di cronaca ed escludere la responsabilità civile per diffamazione, devono ricorrere tre condizioni consistenti:

a) nella verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato;

ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false: principi sintetizzati nella formula secondo cui il testo va letto nel contesto, il quale può determinare un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio (Cass. sez. 3^, 14-10- 2008, n. 25157 ); b) nella sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, vale a dire nella c.d. pertinenza (ex multis Cass. n. 5146/2001; Cass. 18.10.1984, n. 5259; Cass. n. 15999/2001; Cass. 15.12.2004, n. 23366); c) nella forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, e cioè nella c.d. continenza, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire; deve essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio; deve essere redatto nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone (Cass. 18 ottobre 1984 n. 5259).

In sostanza soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia dello stesso soddisfa l’interesse pubblico all’informazione, che è la ratio dell’art. 21 della Cost., di cui il diritto di cronaca è estrinsecazione, riportando l’azione nell’ambito dell’operatività dell’art. 51 cod. pen. e rendendo la condotta non punibile nel concorso degli altri due requisiti della continenza e pertinenza.

Invero il potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, quale essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di informazione e di pensiero, incontra limiti in altri diritti e interessi fondamentali della persona, come l’onore e la reputazione, anch’essi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 3 Cost. dovendo peraltro, in materia di cronaca giudiziaria, confrontarsi anche con il presidio costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.. In tale ordine concettuale la giurisprudenza anche penale di questa Corte è costante nel sottolineare il particolare rigore con cui deve essere valutata la prima delle condizioni sopra indicate, precisando che la verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta, dovendo il limite della verità essere restrittivamente inteso (v. Cass. pen sez. V, 3.6.98, Pendinelli; sez. 5^, 21.6.97, Montanelli, n. 6018).

L’esimente, anche putativa, del diritto di cronaca giudiziaria di cui all’art. 51 cod. pen., va, dunque, esclusa allorchè manchi la necessaria correlazione tra fatto narrato e fatto accaduto, il che implica l’assolvimento dell’obbligo di verifica della notizia e, quindi, l’assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto esposto, nonchè il rigoroso obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di sorta, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi (Cass. pen., Sez. 5^, 14/02/2005, n. 12859; cfr. anche Cass. civ., Sez. 3^, 17/07/2007, n. 15887).

4 Venendo al caso di specie, la sostanziale inconsistenza dei rilievi critici formulati dall’impugnante emerge a sol considerare che essi attengono in buona parte più al processo che vide coinvolta sua sorella, che non alla valenza diffamatoria in sè delle notizie divulgate. E tanto, a ben vedere, proprio per l’inattaccabilità del giudizio di sostanziale inoffensività delle stesse, non essendo sotto alcun profilo illogica la negativa valutazione della lesività della qualificazione in termini di parentele importanti nel mondo (…) dell’ordinamento giudiziario, del rapporto della dottoressa C. con la sorella R., al di là dell’asciutto e incontestabile dato di cronaca di essere, essa ricorrente, un magistrato e di avere una prossima congiunta sottoposta a provvedimento restrittivo. E del pari del tutto plausibilmente è stato escluso che le ulteriori informazioni contenute nel testo, quali i tentativi del F. di sfruttare i canali dell’avvocato C.R. per carpire informazioni riservate, non addebitassero all’istante comportamenti impropri, mentre la pretesa inveridicità delle notizie riguardanti il servizio dalla ricorrente prestato presso la Procura di Palmi è resistita dal rilievo, addirittura ovvio e ripetutamente ammesso in ricorso, che il trasferimento venne disposto sulla base di una manifestazione di disponibilità del magistrato, di talchè le imprecisioni contenute nel testo non intaccano la sostanziale correttezza dei dati riportati dal giornalista.

Ne deriva, che la valutazione del giudice di merito, conforme ai principi giuridici che presidiano la materia e congruamente motivata, resiste alle critiche formulate dall’impugnante. Il ricorso è respinto.

Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate per ciascuno dei resistenti in complessivi Euro 4.200,00 (di cui Euro 4.000,00 per onorari), oltre IVA e CPA, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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