T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 327 Contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Consiglio comunale di Francavilla al Mare con deliberazione 26 gennaio 2001, n. 20, ha deciso di affidare a terzi, previa procedura ad evidenza pubblica, l’attività "di censimento, determinazione e richiesta canoni dei terreni comunali gravati da censi, enfiteusi e livelli". Svolta la gara, il competente Dirigente Finanziario del Comune con determina 20 gennaio 2001, n. 688, ha affidato alla società SER. TEC. il servizio in parola, riconoscendo a tale ditta il 23% sul totale dei canoni accertati e riscossi.

Pur non essendo stata stipulata la relativa convenzione, il Comune con comunicazione del 3 settembre 2002, ha consegnato la documentazione prevista e tale società ha quindi eseguito quanto previsto dalla fase 1 e dalla fase 2 del capitolato di gara; in data 28 agosto 2003 tale ditta ha relazionato sul lavoro svolto ed ha chiesto al Comune di fornire alcune indicazioni necessarie per lo svolgimento della ulteriore fase 3 (accertamento dell’evasione).

Il Comune ha provveduto a fornire solo alcune delle indicazioni richieste e, da ultimo, con deliberazione del consiglio comunale 28 giugno 2006, n. 80, al fine di evitare eventuali contenziosi con i privati ed, in relazione alla tenuità delle somme dovute, ha determinato nuove modalità di pagamento dei canoni in questione e del capitale di affrancazione; inoltre, nel marzo 2007 ha anticipato alla ricorrente una somma per l’attività fino a quella data svolta.

Poiché il 22 ottobre 2007 la società in questione si era rivolta al Tribunale di Chieti per ottenere il pagamento delle prestazioni effettuate, il Dirigente Finanziario del Comune con determina 21 gennaio 2008, n. 20, ha revocato la propria precedente determina 20 gennaio 2001, n. 688, di affidamento alla ricorrente dell’attività in parola. Tale determinazione è stata assunta con riferimento, nella sostanza, alle seguenti considerazioni:

– che il relativo contratto di affidamento, per divergenze insorte in ordine alle sue concrete modalità di esecuzione, non era stato mai sottoscritto tra le parti, ma che la ditta SERTEC sas, con l’ausilio di dipendenti e funzionari del Comune, aveva ugualmente svolto alcune attività ricomprese nell’oggetto di appalto, con particolare riferimento ad alcuni atti necessari ai fini interruttivi della prescrizione;

– che per appianare problematicità e divergenze in ordine all’esecuzione del servizio si erano svolti diversi incontri con l’intento da parte del Comune di addivenire ad una soluzione delle questioni insorte;

– che i tentativi di bonario componimento non aveva prodotto risultati concreti ed utili per il raggiungimento degli scopi e degli interessi pubblici connessi alla riscossione delle entrate patrimoniali;

– che il Comune, sulla base delle attività effettivamente prestate, aveva provveduto a liquidare in favore della Ditta, seppure in assenza di un formale contratto ed in applicazione del principio dell’indebito arricchimento, la somma di Euro. 17.963,57;

– che il lavoro finora svolto dalla Ditta non aveva rilevante utilità per il Comune e non consentiva un adeguato utilizzo dei dati ai fini della riscossione dei canoni ed implicava una ulteriore approfondita attività istruttoria in quanto si era limitato alla sola attività materiale preparatoria, peraltro svolta solo sulla base di dati non aggiornati e non precisi;

– che la procedura di autotutela si era resa indispensabile sia per ragioni di legittimità che di merito, sussistendo ragioni di pubblico interesse concreto ed attuale, rappresentate, tra le altre, dalla reiterata volontà della Ditta di ingenerare equivoci ed incertezze sull’oggetto del servizio e sul suo corrispettivo, dalla mancata corretta esecuzione di quanto finora comunque svolto, dalla mancata sottoscrizione del contratto accessivo, mai formalmente sottoscritto dalle parti, nonché dalla necessità di definire le situazioni patrimoniali relative ai canoni in oggetto.

In tale atto impugnato, a fronte delle osservazioni della ditta – che aveva rappresentato la propria correttezza nello svolgimento dell’attività compiuta e la legittimità del rapporto giuridico che non presenterebbe incertezze, sia in ordine all’oggetto che al prezzo del servizio – si è, inoltre, precisato che tali divergenze derivavano dal fatto che secondo il Comune l’aggio era parametrato alle sole entrate effettivamente accertate e riscosse, mentre la società riteneva che l’aggio spettasse anche nel caso di "mancata riscossione"; inoltre, la Ditta, nella limitata attività svolta, non aveva mai esattamente adempiuto a quanto previsto dal Capitolato, posto che aveva fatto riferimenti a dati e valori non aggiornati e non adeguatamente verificati e non aveva messo il Comune nelle condizioni di poter procedere all’accertamento ed alla riscossione dei canoni di sua competenza. Di conseguenza, in questa situazione di incertezza dei rapporti e in relazione al rischio di non potere procedere alla riscossione delle somme dovute e di perdere entrate patrimoniali, il Comune aveva deciso "di eliminare ogni ulteriore effetto giuridico e di determinarsi diversamente in ordine alle modalità di gestione dell’attività di riscossione attraverso una nuova forma e modello che garantisca maggiormente gli interessi del Comune".

Con il ricorso in esame l’interessata è insorta dinanzi questo Tribunale avverso tale atto, deducendo che la mancata sottoscrizione del contratto non era stata determinata da divergenze in ordine alle concrete modalità di esecuzione del servizio, ma che le successive divergenze erano insorte per "l’immobilismo" del Comune ad avviare l’attività di recupero; che la ricorrente aveva regolarmente svolto la propria attività senza l’ausilio di dipendenti e funzionari comunali. In realtà, l’atto impugnato era stato assunto solo in ragione del fatto che la ricorrente aveva adito il giudice ordinario per ottenere il pagamento delle somme spettanti, senza chiedere la risoluzione o la rescissione del contratto.

Il Comune di Francavilla al Mare si è costituito in giudizio e con memoria depositata il 9 aprile 2011 ha diffusamente confutato il fondamento delle censure dedotte.

Alla pubblica udienza del 12 maggio 2011 la causa è stata trattenuta a decisione.
Motivi della decisione

1. – Il Comune di Francavilla al Mare, a seguito di procedura ad evidenza pubblica, aveva affidato alla ricorrente con determina dirigenziale 20 gennaio 2001, n. 688, l’attività "di censimento, determinazione e richiesta canoni dei terreni comunali gravati da censi, enfiteusi e livelli". A tale affidamento non aveva fatto seguito la stipula della prevista convenzione, ma l’affidataria, anche con l’attiva partecipazione del Comune, aveva iniziato a svolgere l’attività in questione. Riferisce, invero, al riguardo la ricorrente di avere eseguito quanto previsto dalla fase 1 e dalla fase 2 del capitolato di gara, mentre la fase 3 non era mai stata svolta per contrasti ed inadempienze del Comune.

Con l’atto in questa sede impugnato il Comune – come sopra esposto – ha disposto la revoca della predetta determina 20 gennaio 2001, n. 688, di affidamento alla ricorrente dell’attività in parola; tale revoca, assunta dopo che erano state acquisite le controdeduzioni della ricorrente, è motivata con riferimento ad una pluralità di considerazioni, tra le quali assumono in questa sede uno specifico rilievo il fatto che erano sorte delle divergenze con la ditta aggiudicataria, con la quale non era mai stato sottoscritto il contratto accessivo, e che "in questa situazione di incertezza dei rapporti e in relazione al rischio di non potere procedere alla riscossione delle somme dovute e di perdere entrate patrimoniali" si era preferito "eliminare ogni ulteriore effetto giuridico e determinarsi diversamente in ordine alle modalità di gestione dell’attività di riscossione attraverso una nuova forma e modello che garantisca maggiormente gli interessi del Comune". Le ragioni di pubblico interesse concreto ed attuale ad assumere tale atto di revoca sono state individuate nella "reiterata volontà della Ditta di ingenerare equivoci ed incertezze sull’oggetto del servizio e sul suo corrispettivo", nella "mancata corretta esecuzione di quanto finora comunque svolto", nella "mancata sottoscrizione del contratto accessivo, mai formalmente sottoscritto dalle parti", nonché nella "necessità di definire le situazioni patrimoniali relative ai canoni in oggetto". Si è, infine, dato atto che, sulla base delle attività effettivamente prestate, si era liquidato in favore della Ditta, "seppure in assenza di un formale contratto ed in applicazione del principio dell’indebito arricchimento", la somma di Euro. 17.963,57.

Con il gravame la ricorrente ha contestato la legittimità di tale atto osservando che la mancata sottoscrizione del contratto non era stata determinata da divergenze in ordine alle concrete modalità di esecuzione del servizio, mentre i successivi contrasti erano insorti per "l’immobilismo" del Comune ad avviare l’attività di recupero. In realtà, a suo dire, l’atto impugnato era stato assunto solo perché la ricorrente aveva adito il giudice ordinario al fine di ottenere il pagamento delle somme spettanti, senza però chiedere la risoluzione o la rescissione del contratto.

Tali doglianze, ad avviso del Collegio, sono prive di pregio.

2. – Ai fini del decidere deve partirsi dal rilievo che l’atto impugnato va indubbiamente qualificato come un atto di revoca, che, come è noto, trova la sua disciplina normativa nell’art. 21quinquies della legge sul procedimento amministrativo.

In base a tale norma l’Amministrazione "per sopravvenuti motivi di pubblico interesse" o "nel caso di mutamento della situazione di fatto " o "di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario", può revocare il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole e tale revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta, inoltre, pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’Amministrazione ha, poi, anche l’obbligo di provvedere al loro indennizzo, diversamente parametrato in relazione all’eventuale "conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico".

In base a tale norma – come ha più volte chiarito la giurisprudenza amministrativa (cfr. da ultimo, Cons. St., sez. V, 6 ottobre 2010, n. 7334, e 21 aprile 2010, n. 2244) – tre sono i presupposti che in via alternativa legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca da parte dell’Autorità emanante, e cioè o dei sopravvenuti motivi di pubblico interesse, o il mutamento della situazione di fatto o una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario; segue da ciò che la revoca di un provvedimento amministrativo è ammissibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

Il legislatore con la nuova disciplina positiva data all’istituto della revoca introdotta nel 2005 ha, in definitiva, dilatato la preesistente nozione elaborata dall’insegnamento dottrinario e giurisprudenziale, ricomprendendo in essa sia il c.d. jus poenitendi della p.a. di ritirare i provvedimenti ad efficacia durevole sulla base di sopravvenuti motivi di interesse pubblico ovvero di mutamenti della situazione di fatto, sia il potere di rivedere il proprio operato in corso di svolgimento e di modificarlo, perché evidentemente ritenuto affetto da inopportunità, in virtù di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico originario.

Tale potere – è stato ulteriormente precisato – può essere esercitato anche per eliminare degli atti amministrativi della serie di evidenza pubblica ed anche in caso di esistenza del contratto, nell’ipotesi, ad esempio, di una diversa scelta organizzativa e gestionale del servizio svolto da privati; e tale scelta, ove congruamente motivata, appartiene alla sfera del merito amministrativo e non è sindacabile dal Giudice amministrativo in assenza di profili di sviamento apprezzabili in sede di legittimità (cfr. Cons. St., sez. VI, 6 maggio 2011, n. 2713, e sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1554), fermo restando che in tal caso sorge, per effetto della revoca legittima di cui al predetto art. 21quinquies, un diritto all’indennizzo derivante dai principi generali sulla tutela dell’affidamento nei rapporti di durata, affidato alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo.

3. – Sempre in via pregiudiziale, va anche ricordato che, come è noto, i contratti conclusi dalla Pubblica Amministrazione richiedono la forma scritta ad substantiam e devono, di regola, essere consacrati in un unico documento, salvo che la legge non ne autorizzi espressamente la conclusione a distanza, a mezzo di corrispondenza (Cass. Civ., sez. un., 22 marzo 2010, n. 6827); per cui la volontà dei contraenti può risultare, in alcune specifiche ipotesi, anche da documenti distinti purché concludenti, secondo il modello dello scambio di proposta con accettazione conforme di cui all’art. 1326 del codice civile (T.A.R. Toscana, sez. III, 14 maggio 2010, n. 1466).

Ove, invece, il contratto non sia mai stato redatto per iscritto, il rapporto contrattuale risulta inficiato da nullità ed è insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria, dovendosi, quindi, escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalide o ratifiche successive, nonché a manifestazioni di volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi (Cass. Civ., sez. I, 14 dicembre 2006, n. 26826).

Ciò detto, va evidenziato che nel caso di specie non risulta che tra le parti in causa sia mai stato stipulato il contratto relativo allo svolgimento del servizio in questione, per cui il contratto in questione risulta inficiato da nullità.

Con l’atto impugnato, in definiva, l’Amministrazione comunale di Francavilla al Mare ha disposto la revoca del provvedimento di aggiudicazione della procedura ad evidenza pubblica in questione, alla quale non ha mai fatto seguito la stipula della prevista convenzione.

4. – Ciò detto e per passare all’esame delle censure dedotte, deve osservarsi che il Comune ha nella sostanza revocato l’atto di aggiudicazione della gara per l’affidamento dell’attività "di censimento, determinazione e richiesta canoni dei terreni comunali gravati da censi, enfiteusi e livelli" in quanto per un verso erano insorte divergenze in ordine alle "concrete modalità di esecuzione del servizio" e per altro verso, in ragione di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico originario, era emersa la necessità di definire diversamente "le situazioni patrimoniali relative ai canoni in oggetto" e di disciplinare l’attività di riscossione "attraverso una nuova forma e modello che garantisca maggiormente gli interessi del Comune"; dopo l’aggiudicazione della gara il consiglio comunale con deliberazione 28 giugno 2006, n. 80, al fine di evitare eventuali contenziosi con i privati ed, in relazione alla tenuità delle somme dovute, aveva, infatti, fissato nuove modalità di pagamento dei canoni in questione ed aveva modificato gli importi del capitale di affrancazione.

In estrema sintesi, l’atto di revoca è stata assunto in ragione di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, che, come già sopra precisato, appartiene alla sfera del merito amministrativo e non è sindacabile in sede di legittimità dal Giudice amministrativo in assenza di profili di sviamento apprezzabili.

Ora ritiene al riguardo la Sezione che, al di là delle divergenze insorte tra le parti in relazione all’attività espletata, che costituisco oggetti di altro giudizio (pendente dinanzi al giudice ordinario), la predetta motivazione posta a sostegno dell’atto impugnato, quanto alla determinazione di nuove e diverse modalità di pagamento dei canoni in questione ed alla necessità di evitare contenziosi con i privati, non sembra manifestamente illogica, contraddittoria o irrazionale e non sembra basata su presupposti palesemente erronei o falsi. Per cui il ricorso proposto non può, allo stato degli atti, non essere respinto essendo preclusa a questo Giudice di sindacare la scelta di merito effettuata dall’Amministrazione.

Mentre nessuna contestazione è stata sollevata dalla ricorrente relativamente alla congruità o meno della somma liquidata. Peraltro, come è stato anche di recente chiarito (cfr. T.A.R. Puglia, sez. Lecce, 3 maggio 2011, n. 787), la mancata o insufficiente liquidazione dell’indennizzo unitamente alla disposta revoca non costituisce un vizio dell’atto di autotutela, ma consente al privato esclusivamente di agire per ottenere l’indennizzo dovuto.

5. – Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere respinto.

Sussistono, tuttavia, in relazione alla complessità della normativa applicabile alla fattispecie e delle questioni interpretative che tale normativa pone, giuste ragioni per disporre la totale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *