T.A.R. Calabria Reggio Calabria Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 451 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre la sig.ra L.C.R. per avversare il provvedimento del Comune di Laureana di Borrello con il quale l’Ente ha irrogato una sanzione pecuniaria ex art. 38 DPR 380/01 nei confronti del controinteressato per attività di edificazione espletata in difformità dal titolo edilizio, ed a seguito dell’avvenuto annullamento giurisdizionale della DIA in forza della quale tale attività era stata eseguita (sent. TAR RC nr. 431/09).

Più precisamente, espone in fatto che il Comune di Laureana di Borrello rilasciava al controinteressato, sig. Sbaglia, un permesso a costruire (nr. 1 del 10.01.2008) per l’edificazione di un fabbricato in c.a. a due piani f.t., oltre un piano interrato, sito in località Villa Maria; il 10.03.2008, la ditta intestataria del permesso a costruire presentava DIA per variante in corso d’opera, avente ad oggetto la modifica della quota di posizionamento del manufatto rispetto alla quota di campagna e della sede stradale, originariamente assunta come piano di riferimento per il fabbricato. L’odierna controinteressata, chiesto un riesame della DIA da parte del Comune, ne impugnava il diniego, unitamente al presupposto permesso a costruire, con ricorso nr. 868/2008. Il Tribunale dichiarava irricevibile il gravame quanto al permesso a costruire nr. 1/2008, mentre lo accoglieva quanto all’annullamento della DIA, accertando che i lavori di innalzamento della quota naturale del terreno, per come di fatto realizzati, non potevano considerarsi opera di sistemazione, e, di conseguenza, i lavori medesimi avrebbero dovuto essere oggetto di permesso a costruire, previa la verifica della compatibilità urbanistica delle differenze tipologiche rispetto al manufatto oggetto del progetto assentito.

Il Comune, con il provvedimento impugnato, erogava la sola sanzione pecuniaria ex art. 38 DPR 380/01, di fatto sanando le opere eseguite in difformità.

Avverso il provvedimento, è dunque nuovamente insorta la parte ricorrente che deduce articolate censure, in fatto ed in diritto, con le quali intende dimostrarne l’illegittimità per violazione di legge ed omessa applicazione o errata applicazione degli artt. 31 e 34 DPR 380/2001; difetto di motivazione, ingiustizia manifesta, abuso di potere, sviamento di potere ed erronea valutazione dei fatti.

Si è costituito il Comune intimato che resiste al ricorso di cui chiede il rigetto per inammissibilità ed infondatezza.

Alla camera di consiglio del 28 luglio 2010 è stata respinta la domanda cautelare con ordinanza nr. 206/10, confermata in appello ( ord. 13/2011).

I) Preliminare è l’esame della tempestività del gravame che va ritenuta, rimeditando criticamente l’orientamento espresso in sede cautelare, all’esito di una più approfondita disamina della fattispecie.

Infatti, non risulta che l’atto impugnato (che dispone una sanzione in luogo della demolizione delle parti abusive del fabbricato) sia stato comunque portato a conoscenza di parte ricorrente prima dell’avvenuto rilascio in copia a sua richiesta (dagli atti emerge la sola notifica al controinteressato). Deve trovare applicazione, dunque, quella giurisprudenza secondo la quale colui il quale è titolare di una posizione qualificata che gli consente di opporsi ad un titolo edilizio (per il suo rapporto di vicinitas all’area dei lavori) ed ha manifestato tale posizione all’Ente responsabile della procedura, ha un interesse giuridicamente protetto ad essere parte del procedimento amministrativo ed ad avere diretta comunicazione dell’atto conclusivo del procedimento medesimo, con la conseguenza che, in difetto di piena e completa informazione, la decorrenza dei termini per l’impugnazione del provvedimento lesivo non potrà che computarsi dall’effettiva conoscenza, non dalla mera pubblicazione dell’atto all’albo (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 15 dicembre 2006, n. 2491).

Nel caso di specie, il procedimento che ha dato origine al provvedimento impugnato è scaturito dalle conclusioni cui è pervenuto il Tribunale con la sentenza nr. 431/09 in forza della quale è stato riconosciuto che i lavori eseguiti dal controinteressato in difformità dal titolo edilizio non potevano essere assentiti tramite DIA, ma necessitavano di permesso di costruire. La vicenda processuale all’esito della quale il procedimento è stato dunque posto in essere, ha chiaramente consentito l’emersione qualificata dell’interesse partecipativo della odierna ricorrente, con la conseguenza che (quantomeno) il provvedimento impugnato avrebbe dovuto esserle notificato o comunque comunicato a cura dell’Ente (il quale avrebbe dovuto peraltro consentirle la partecipazione effettiva al procedimento). Né può ritenersi, sempre secondo la giurisprudenza pacifica, che la conoscenza effettiva del provvedimento poteva desumersi dallo stato dei lavori o da altri indicatori esterni e materiali che fossero atti a determinare in capo all’interessata la consapevolezza dell’avvenuto rilascio del provvedimento per essa lesivo (e dunque determinare la decorrenza del termine decadenziale). In primo luogo, il provvedimento impugnato si limita ad irrogare una sanzione pecuniaria e dunque a convalidare lo stato dei lavori così come in atto risultanti dalle modifiche progettuali oggetto del provvedimento impugnato, con la conseguenza che, traducendosi nella mera conferma di una situazione di fatto già esistente, non è possibile considerare la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso dalla fenomenologia del fabbricato. Peraltro, proprio in forza della vicenda processuale conclusasi con la sentenza di questo Tribunale nr. 431/09 è "in re ipsa" che, per quanto di rilievo ai fini della possibilità di percepire la lesione dell’interesse protetto in capo alla ricorrente, i lavori erano già completati, con la conseguenza che lo stato dei luoghi era divenuto già da tempo indifferente alla fattispecie, quanto alla sua potenzialità rivelativa di un provvedimento ampliativo in favore del proprietario dell’immobile frontista.

Per queste ragioni, dunque, il ricorso va considerato tempestivo e come tale ammissibile.

II) Nel merito, il gravame è fondato nei limiti esposti a seguire.

La sentenza di questo Tribunale nr. 431/09, valorizzando i risultati raggiunti con apposita istruttoria, ha accertato solamente che i lavori oggetto della proposta variante edilizia, relativa ad una modificazione del piano "0" del fabbricato da erigersi, erano di tale entità che richiedevano il permesso a costruire e non potevano essere assentiti tramite DIA: "In conclusione, un innalzamento di mt.1,79 della quota naturale del terreno, tanto più ove finalizzato a realizzare un vano seminterrato, non può considerarsi lavoro o opera di sistemazione. Esso ha dato luogo ad una "variazione dei prospetti e del volume, atteso che – con riferimento al volume – il seminterrato avendo la quota del solaio posta a metri 1,79 dal pavimento del marciapiede non può essere detratto dal calcolo del volume virtuale. L’intervento proposto andava quindi assentito con permesso di costruire – nell’ipotesi del rispetto dei parametri urbanistici – e non con una semplice D.I.A.." (vd. relazione pag. 22)."

Ne deriva che il Comune avrebbe dovuto verificare se le opere in variante potevano o meno essere assentite con un permesso a costruire e, in stretta conseguenza, verificare se il vizio che ha condotto all’annullamento del provvedimento impugnato in sede giurisdizionale poteva essere considerato sanabile o meno. Tale accertamento è preliminare ad ogni altra valutazione, e va condotto con riferimento alla conformità sostanziale del manufatto realizzato in concreto rispetto allo strumento urbanistico ed alla normativa tecnica di costruzione degli edifici applicabile al momento della notificazione della sentenza di annullamento del titolo edilizio impugnato. In forza dei risultati dell’accertamento, può riscontrarsi o che il fabbricato è rispettoso dei parametri e degli standards planovolumetrici previsti dallo strumento urbanistico per la zona di riferimento, con possibilità, in questo caso, di applicazione dell’istituto di cui all’art. 38 DPR 380/01; oppure che tali parametri non sono rispettati. In quest’ultimo caso, va apprezzata la qualità delle difformità rispetto alla parte assentita ed assentibile del manufatto e cioè se esse integrino una variazione essenziale o meno del progetto d’origine, con le diverse conseguenze di cui, rispettivamente, agli artt. 31 e 34 del DPR 380/01.

In proposito, non vale ritenere, come sostiene il ricorrente (appellandosi alla pronuncia di cui all’A.P. nr. 4/2009), che l’art. 38 del DPR 380/01 non sarebbe riferibile all’annullamento del titolo edilizio avvenuto in sede giurisdizionale, potendosi applicare solamente alle fattispecie in cui l’annullamento è frutto di esercizio di poteri amministrativi di autotutela.

Invero, la pronuncia richiamata da parte ricorrente è resa in merito ad una fattispecie ove l’Adunanza Plenaria era chiamata a valutare "se il diniego di condono, fondato sul fatto che l’abuso edilizio in questione andrebbe ricondotto alla tipologia di "nuova costruzione non residenziale realizzata in assenza di titolo", possa considerarsi legittimo nell’ipotesi in cui il complesso edilizio non sia stato realizzato in assenza di concessione edilizia, ma costruito invece sulla base di regolari concessioni edilizie, anche se successivamente annullate in sede giurisdizionale a costruzione già ultimata". Pronunciandosi in senso affermativo (sulla base dell’interpretazione letterale della disciplina di cui all’art. 32 del decretolegge n. 269 del 2003, e delle differenze di regime rispetto alle ben diverse norme di cui agli artt. 31, l. 47/85 e 39, l. 724/95), l’A.P. non offre elementi di riflessione tali da rimeditare e modificare il tradizionale orientamento, cui il Tribunale ha ancora recentemente aderito (cfr. TAR RC sent. 7 maggio 2009, nr. 322), circa l’applicabilità dell’art. 38 del DPR 380/01 ai casi di annullamento del titolo edilizio in sede giurisdizionale, posto che la menzionata sentenza nr. 4/2009 è riferita alla sola esclusione di tali tipologie di fattispecie dall’ambito di applicazione del c.d. "terzo condono".

Quindi può confermarsi, in questa sede, che "in presenza di una costruzione realizzata in base ad atti annullati in sede giurisdizionale, si rende applicabile l’art. 38, d.P.R. 380 del 2001, che prevede tre alternative possibili, e cioè la rimozione dell’opera divenuta abusiva, la sanabilità della stessa mediante la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o l’applicazione di una sanzione pecuniaria quando non sia tecnicamente possibile la rimozione; conseguentemente, non essendo il Comune vincolato ad adottare l’ordine di demolizione, la scelta di procedere alla demolizione del manufatto abusivo deve essere adeguatamente motivata e deve essere assunta previa comunicazione agli interessati dell’avvio del procedimento" (T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 11 marzo 2008, n. 157). La giurisprudenza più risalente aveva anche avuto modo di precisare che "in sede di riemanazione conseguente all’annullamento giurisdizionale di una concessione edilizia per vizi formali, l’art. 11 comma 1 l. 28 febbraio 1985 n. 47 stabilisce che il comune debba valutare l’originaria istanza proposta dal privato per l’intervento costruttivo da realizzare – anche sulla scorta del giudicato formatosi sul precedente provvedimento -, accertando ora per allora (sulla base, cioè, del regime urbanistico esistente al tempo della concessione annullata) se e in qual misura sia possibile rimuovere i vizi procedurali censurati e, in caso positivo, reiterare la concessione: Consiglio di Stato, sez. V, 18 ottobre 1996, n. 1255; cfr. sul tema, Consiglio Stato, sez. IV, 21 aprile 2008, n. 1776; Consiglio Stato, sez. V, 20 marzo 2007, n. 1325; Consiglio Stato, sez. V, 22 maggio 2006, n. 2960; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 26 luglio 2004, n. 1169). Nell’ambito di tali pronunce, tuttavia, la parte maggioritaria della giurisprudenza, specie del giudice di appello, ha ritenuto non applicabile il rimedio di cui al citato art. 38 DPR 380/01 (già art. 11 L. 47/85), nel caso in cui il titolo edilizio annullato sia stato ritenuto invalido per vizi sostanziali, con la conseguenza che ad esso si potrebbe fare ricorso solamente per sanare quei motivi di annullamento di natura procedimentale o formale (sul punto, ex plurimis, cfr. Consiglio Stato, sez. V, 22 maggio 2006, n. 2960; Consiglio Stato, sez. V, 26 maggio 2003, n. 2849; T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 17 ottobre 2002, n. 1008; Consiglio Stato, sez. V, 12 ottobre 2001, n. 5407; Consiglio Stato, sez. IV, 24 dicembre 1999, n. 1949), ossia quei vizi che non implicano "ex se" l’esclusione della conformità dell’edificio allo strumento urbanistico. In pratica, questo orientamento riconduce sostanzialmente l’istituto in esame all’accertamento di conformità di cui all’art. 36 DPR 380/01 (già art. 13 l. 47/85) dal quale finirebbe per differenziarsi solamente per la diversa iniziativa (di parte, nel caso di accertamento di conformità, d’ufficio, nel caso di cui all’art. 38), per la non necessarietà del presupposto della c.d. "doppia conformità" della costruzione sine titulo allo strumento urbanistico vigente al momento della sua costruzione ed al momento dell’accertamento e per la diversa disciplina delle conseguenze (pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia nel caso dell’art. 36, una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, nel caso dell’art. 38).

Va ulteriormente chiarito che le condizioni per l’applicazione dell’istituto dell’art. 38 sono rigorose e vanno espresse nell’atto con appropriata motivazione (che, nella fattispecie all’esame del Collegio non sussiste).

Qualora, infatti, non si dimostri la concreta sussistenza dei presupposti di cui all’art. 38 DPR 380/01 nel senso appena esposto (ossia, assentibilità delle opere per permesso a costruire), allora il Comune è tenuto a valutare se le opere difformi incidano sulla struttura con variazioni essenziali ai sensi dell’art. 31 del DPR 380/01 (secondo la declaratoria di cui all’art. 32), o si possa fare applicazione dell’art. 34 (demolizione o sanzione pecuniaria) del DPR cit., il tutto con le relative conseguenze di legge (obbligatoria demolizione nel primo caso a pena di acquisizione dell’area di sedime al patrimonio comunale, scelta tra la demolizione e la sanzione nel secondo caso).

Il rapporto tra gli istituti di cui all’art. 34 e di cui all’art. 38 del DPR 380/01 si pone dunque su uno specifico piano: mentre l’art. 38 si riferisce ad un annullamento del titolo in forza del quale si è edificato e tale annullamento è derivato da vizi formali del provvedimento, o da vizi strutturali del manufatto che comunque possono essere sanati o ricondotti nell’ambito dei parametri edilizi applicabili, l’art. 34 disciplina una fattispecie nella quale è mancato ab origine e nelle parti di interesse un titolo abilitativo relativamente a modifiche sostanziali, seppure non essenziali rispetto al progetto assentito: da qui l’ordine di demolizione e la possibilità, alternativa, di mantenere le opere difformi (che sono solo parziali rispetto a quelle legittimamente assentite) previo pagamento di quanto indicato nel comma 2.

Rispetto all’ ordine di demolizione spetta all’interessato scegliere tra due possibilità: o chiedere che sia accertata la conformità delle opere realizzate allo strumento urbanistico, alle condizioni ed agli effetti di cui all’art. 36, oppure dimostrare, sussistendone i presupposti, che le opere, pur se difformi anche dallo strumento urbanistico, oltre che dal titolo, sono non demolibili pena la compromissione delle opere legittimamente assentite (e dunque, non essendo variazioni essenziali, v’è luogo all’applicazione della previsione di cui all’art. 34 comma II).

Nel caso in esame, dunque, l’applicazione fatta concretamente dall’Amministrazione dell’art. 38 cit. non è legittima, perché nel provvedimento manca ogni tipo di accertamento circa la possibilità di assentire i lavori in difformità rispetto al permesso a costruire (ossia l’accertamento della conformità del manufatto così come realizzato allo strumento urbanistico ed alla disciplina tecnica delle costruzioni) e manca ogni qualsivoglia accertamento dell’impossibilità di demolire le parti in difformità senza pregiudizio delle parti conformi. Questa prova è molto rigorosa e implica un accertamento particolarmente approfondito, che nella specie risulta del tutto carente, considerato che ciò di cui parte ricorrente si duole è sostanzialmente una sopraelevazione dell’edificio sia pure realizzata mediante l’artificiosa modifica del piano di imposta e dunque non appaiono sussistere ragioni tecniche per ritenere che non possa essere ridotta l’altezza (demolendo l’eccedenza e con il mantenimento del piano di imposta, ad esempio) fino a riportarla alla giusta elevazione (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 12 febbraio 2009, n. 783; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 29 gennaio 2009, n. 501).

Da quanto sopra discende l’accoglimento del ricorso, con l’annullamento dell’atto impugnato ed obbligo per il Comune, ex art. 34, comma II, lett. "c", c.p.a., di provvedere alla riedizione del potere nel rispetto di quanto ritenuto nella presente sentenza, assicurando in ogni fase del procedimento la piena partecipazione della ricorrente e la comunicazione al suo domicilio degli atti e dei provvedimenti che saranno adottati.

Il termine per provvedere è fissato in giorni novanta dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte (entro tale termine dovrà essere adottato il provvedimento conclusivo del procedimento).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e annulla il provvedimento impugnato, con obbligo per il Comune di provvedere nei modi e limiti indicati in parte motiva.

Condanna il Comune resistente alle spese di lite che liquida in euro 2.000,00 oltre IVA, CPA, importo del contributo unificato, spese di notifica e spese generali come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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