T.A.R. Calabria Reggio Calabria Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 448 Armi da fuoco e da sparo Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

to nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Nell’odierno giudizio, parte ricorrente si duole del provvedimento con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico dalla stessa proposto avverso il rigetto della istanza di riesame della licenza di porto di fucile ad uso caccia.

Espone che negli anni novanta veniva interessato da diversi procedimenti penali, tutti successivamente conclusisi in senso pienamente favorevole; che, nelle more, a causa di tali circostanze, veniva raggiunto da un primo provvedimento che disponeva il divieto di detenzione d’armi da parte del Prefetto (1998) ed, in seguito, da un diniego di rinnovo della licenza di porto di fucile uso caccia da parte del Questore (2004), fondato sull’esistenza del primo.

Nonostante varie richieste di riesame, detti provvedimenti venivano reiterati, fino al 2007, anno nel quale la Prefettura, sulla base della favorevole evoluzione della posizione processuale del ricorrente, e del parere del Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, revocava l’originario divieto di detenzione armi (decreto nr. 27415 del 17 settembre 2007).

Non veniva, invece, ritirato, né modificato, il provvedimento di diniego del rinnovo di licenza di porto di fucile per uso caccia della Questura, nonostante ripetute richieste di riesame, l’ultima delle quali respinta dalla Questura con il provvedimento oggetto del ricorso gerarchico, anch’esso avente esito negativo per il ricorrente e impugnato nell’odierna sede unitamente agli atti presupposti.

Avverso tali atti il ricorrente deduce la violazione dell’art. 10 bis della l. 241/90 (I), l’illegittimità della richiesta di parere da parte della Prefettura, in sede di ricorso gerarchico, alla Questura su atto della stessa Questura (II), violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili (III).

Si è costituita l’Amministrazione intimata che resiste al ricorso di cui chiede il rigetto.

Le parti hanno scambiato memorie.

Alla pubblica udienza del 4 maggio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è fondato e va accolto, nei limiti a seguire.

Dirimente è l’omessa considerazione, da parte della Prefettura, delle vicende che sono decorse dopo il periodo temporale interessato dalle considerazioni di opportunità che hanno motivato l’emanazione degli atti negativi di cui parte ricorrente chiede il riesame.

In particolare, la lettura del decreto della Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, nr. 81/03 offerta agli atti del giudizio dalla difesa dell’Avvocatura di Stato, è chiara nell’escludere ogni coinvolgimento del ricorrente nelle attività delle cosche mafiose di riferimento, ed è dunque ben lungi dal giustificare il giudizio negativo espresso nella nota della Questura dell’11 febbraio 2010 che è prodotta quale contenuto difensivo. Più precisamente, secondo quest’ultima, dal predetto decreto si evincerebbe che dalle conversazioni intercettate "traspare….la disponibilità poco commendevole di L. di venire a patti con la mafia pur di conservare l’appalto con la società T….:"; invece, nella più attenta lettura del decreto, che rimanda alla sentenza della Corte di Cassazione del 25 novembre 2002 che ha assolto il ricorrente, si legge che "non vi è stato dunque, al di là di equivoche dichiarazioni di disponibilità, un accordo di massima, anche solo informale, per l’accettazione del ruolo di strumento dell’azione mafiosa o del controllo mafioso sull’attività economica che il L. sperava di poter intraprendere con l’esecuzione del contratto di appalto". A fronte di ciò, la considerazione espressa nel decreto in esame quanto alla "disponibilità poco commendevole di L. di venire a patti…" va relazionata con un contesto nel quale è stata comunque esclusa ogni effettiva forma di collaborazione e di cointeressenza con la mafia.

In questo senso, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati si colloca nell’automatismo con il quale la Prefettura ha tratto da vicende non adeguamente analizzate ed esaminate, il convincimento circa la permanenza dei motivi ostativi all’uso del fucile per la caccia risalenti ad un contesto inquisitorio datato e comunque del tutto superato dagli accertamenti disposti dall’Autorità giudiziaria.

In particolare, l’atto è motivato con riferimento alla circostanza degli accertamenti "esperiti dalle forze di polizia", secondo cui "risulta che il ricorrente è stato condannato per bancarotta fraudolenta, violazione degli obblighi di assistenza familiare ed inoltre a suo carico sono pendenti procedimenti per i reati di detenzione abusiva di armi e tentata estorsione".

Parte ricorrente ha documentato: 1) che il reato di bancarotta, oggetto di un patteggiamento ex art. 444 c.p.p. nel 1996, è stato comunque dichiarato estinto ad ogni effetto penale di condanna dal Tribunale di Velletri con provvedimento del 9.12.2005; 2) dai certificati di carichi pendenti (aggiornato al 14.01.2010) non risulta essere pendente alcun procedimento penale; 3) il procedimento relativo al reato di detenzione abusiva di armi è stato definito con formula "non doversi procedere" (sentenza del Tribunale di Melito Porto Salvo dell’11.06.2002); l’accusa di tentata estorsione è stata oggetto di una sentenza assolutoria da parte del GUP di Reggio Calabria (22 giugno2000) e confermata dalla Corte d’Appello con ordinanza di inammissibilità dell’appello (8.11.2006). L’unica condanna effettivamente sussistente è quella relativa alla violazione degli obblighi di assistenza familiare, ma, riferendosi ad eventi del 1993 (ed in relazione ai quali il ricorrente è in attesa di riabilitazione), non si evince, dal provvedimento impugnato, quale refluenza essa dovrebbe avere sul diniego dell’istanza di porto di fucile uso caccia.

Palese è dunque l’insufficienza della motivazione del provvedimento, specie, poi, se si considera l’esistenza di pareri difformi e valutazioni divergenti (da parte dell’Arma dei Carabinieri, rispetto alla Questura), nonché l’avvenuta revoca, per motivazioni satisfattive per il ricorrente, del divieto di detenzione a suo tempo disposto e che costituiì il principale presupposto provvedimentale dell’adozione del diniego di rinnovo dell’istanza di porto di fucile per uso caccia.

Vero è che, secondo la giurisprudenza, "le valutazioni dell’amministrazione in materia di rilascio della licenza di porto d’armi sono caratterizzate da ampia discrezionalità, atteso che l’interesse del privato a portare armi è reputato senz’altro cedevole rispetto all’interesse per l’incolumità pubblica" (TAR Liguria, Genova, II, 18 dicembre 2008, nr. 2162) e la sussistenza di tali requisiti è soggetta "ad un giudizio discrezionale formulato dal Prefetto in ordine alla capacità personale di abuso da parte del soggetto detentore, sindacabile, in quanto tale, solo sotto il profilo dell’illogicità" (TAR Campania, Napoli, V, 10 ottobre 2008, nr. 14699). Tuttavia, tali valutazioni in assenza di elementi o dati di per sé significativi, autoevidenti ed attuali, non possono essere desunte con automatismi e meccanicistiche trasposizioni da fatti risalenti nel tempo, bensì vanno espresse con apprezzamenti attualizzati e logici che rendano palese il senso dell’apprezzamento dell’Autorità. Quest’ultima, dunque, può ben trarre un convincimento di pericolosità o non affidabilità dell’istante dalla sua storia personale, nella parte in cui è segnata da complesse e risalenti vicende giudiziarie, ma deve farlo tenendo espressamente in conto del loro esito, e delle vicende successive, specie quelle dalle quali può desumersi o una attualizzazione del contesto passato o un ravvedimento del soggetto. Va quindi affermato, in adesione all’insegnamento della giurisprudenza, che l’esistenza di un potere ampiamente discrezionale per l’Amministrazione nel formulare un giudizio prognostico circa l’abuso delle armi ai sensi dell’art. 43, T.U.L.P.S,. non esime l’organo statale dall’obbligo di esternare le ragioni del giudizio negativo in proposizioni dotate di sufficiente coerenza e consequenzialità logica, in particolare manifestando la sussistenza e la rilevanza dei presupposti di fatto di tale valutazione, in modo che risultino adeguate e conseguenti le conclusioni (Consiglio Stato, sez. VI, 19 gennaio 2011, n. 360).

Ne consegue che il ricorso è fondato e come tale va accolto, disponendo l’annullamento del decreto 58006 W/Area I bis del 28.7.2009 (non degli altri atti presupposti che hanno natura meramente istruttoria) e con obbligo di riesame, ex art. 34, comma 2, lett. "c" del c.p.a., del ricorso amministrativo di parte ricorrente, da condursi nel rispetto delle garanzie partecipative del ricorrente entro il termine di giorni sessanta dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte, e con analitica ed espressa motivazione circa gli argomenti esposti dal ricorrente a sua difesa, compresi quelli dedotti nell’odierno giudizio, specie con riferimento alla mancanza di ogni accertamento circa l’attualità della condotta del richiedente.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il decreto prefettizio nr. 58006 W/Area I bis del 28.7.2009, con obbligo di riesame da assolversi nei termini e con le modalità di cui in parte motiva.

Condanna la parte resistente alle spese di lite che liquida in euro 1.500,00 oltre IVA, CPA, importo del contributo unificato e delle spese di notifica, oltre spese generali nella misura di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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