Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-03-2011) 25-05-2011, n. 20875

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9-6-2006 del Giudice di Pace di Messina, riformata dal Tribunale di Messina che concedeva alle imputate la non menzione della condanna, G.G. e A.C. erano ritenute responsabili del reato di ingiuria in danno di S.H. G., la sola G. anche del reato di minaccia in danno della stessa, reati (OMISSIS), e condannate alla pena di legge nonchè, in forma generica, al risarcimento del danno in favore della parte civile.

L’avv. Giuseppe Amendolia ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse delle imputate formulando cinque motivi di gravame.

1) Violazione dell’art. 337 c.p.p., comma 4 in relazione all’art. 420 c.p.p., essendo la querela in data 7-7-2003, a firma H. G.S., indirizzata al comando stazione CC di Ganzirri, priva dell’attestazione di ricezione, di ratifica e dell’identificazione della querelante, pur in presenza della sigla del ricevente.

2) Violazione dell’art. 192 c.p.p.; carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento del fatto, in relazione all’affermazione di responsabilità della A., avendo il giudicante ritenuto inattendibili i testi G., V.E. e A. G. – i quali avevano escluso che la prevenuta avesse pronunciato ingiurie -, solo perchè in contrasto con la p.o. e con la figlia di questa V.E., le cui dichiarazioni avrebbero dovuto essere valutate con cautela stante la pendenza di cause civili tra le parti.

3) Stesso tipo di doglianza in relazione all’affermazione di responsabilità della G. per il reato di minaccia, sostanziatasi nella frase "vengo qua d’estate per darvi fastidio", priva di effetto intimidatorio e da contestualizzare nei cattivi rapporti di vicinato.

4) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle esimenti di cui all’art. 599 c.p., nonostante i testi Ar., G. e V.E. avessero parlato di ingiurie e diverbio reciproci.

5) Vizio di motivazione in ordine agli argomenti, del tutto apodittici, utilizzati dal giudice di secondo grado per rigettare l’appello.
Motivi della decisione

1) Il primo motivo è infondato. La querela depositata da H. G.S. presso il comando stazione CC. di Ganzirri, presenta, oltre alla sottoscrizione della querelante, il timbro dell’ufficio e la sigla del ricevente, idonei a dar conto dell’avvenuta ricezione dell’atto. Quanto all’identificazione della querelante, non occorre, per giurisprudenza di questa corte, l’attestazione di essa, essendone sufficiente l’avvenuta effettuazione, nella specie implicita nell’apposizione del timbro e della sigla da parte del ricevente (Cass. 43712/2010, 44409/2008, 31980/2008).

2) e 3) Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili in quanto con essi, sotto l’apparente doglianza di vizio motivazionale, si sollecita in realtà una diversa valutazione del compendio probatorio, riservata al giudice di merito e dunque preclusa, se adeguatamente motivata, nel presente giudizio, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Le sentenze di merito hanno invero dato conto, con motivazione intrinsecamente logica e coerente, delle ragioni dell’affermazione di responsabilità tanto della A. per il reato di ingiuria, quanto della G. per il reato di minaccia, essendo da escludere la ravvisabilità del vizio di travisamento della prova alla sola stregua della citazione virgolettata, contenuta nel ricorso, di brandelli di deposizioni testimoniali che, per quanto significativi, non possono essere interpretati fuori dal contesto in cui sono inseriti, che questa corte non conosce e non può valutare.

4) e 5) Del pari inammissibili gli altri motivi. Il quarto in quanto la doglianza relativa al mancato riconoscimento delle esimenti di cui all’art. 599 c.p., non proposta con i motivi d’appello, è preclusa ex art. 606 c.p.p., comma 3, u.p.. Il quinto per assoluta aspecificità.

Il ricorso va quindi disatteso con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

La corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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