T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 25-05-2011, n. 424 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’originario ricorso la signora B. ha impugnato il permesso di costruire indicato in epigrafe con cui il comune di Formia ha assentito alle controinteressate un progetto avente ad oggetto la realizzazione in via Olivella di un villino unifamiliare.

Deduceva la ricorrente che il provvedimento era illegittimo in quanto: a) il progetto era stato redatto da geometra, mentre – venendo in rilievo una costruzione in cemento armato in zona sismica – la relativa progettazione sarebbe stata di competenza di un ingegnere o di un architetto; b) il lotto delle controinteressate ha dimensione inferiore a quella del "lotto minimo" prescritta dall’articolo 27 del P.R.G., pari a mq. 1500 e in ogni caso si compone di aree già asservite ad altre costruzioni; c) una parte della superficie del lotto – e precisamente le particelle nn. 697 e 933 – sono state illegittimamente computate nel lotto edificabile ai fini della volumetria realizzabile, in quanto esse, per effetto di mutamenti del corso del torrente "Rialto" ivi esistente, sono divenute rispettivamente parte del letto e della "golenale" e argine del torrente medesimo, cioè aree demaniali sottratte alla disponibilità dei privati ovvero aree soggette a vincolo di inedificabilità, come tali non asservibili a fini edificatori; d) in ogni caso per effetto di tali mutamenti, l’edificio da realizzare verrebbe a trovarsi nella cd. "fascia di rispetto" del torrente, cioè a insistere in area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta; e) è stata omessa l’acquisizione del parere dell’Autorità dei bacini regionali della regione Lazio, venendo comunque in rilievo un’area che ricade nel perimetro della "area di attenzione idraulica" del torrente Rialto.

2. Si costituivano in giudizio il comune di Formia e le controinteressate che chiedevano la declaratoria di inammissibilità e comunque la reiezione del ricorso.

L’istanza di tutela cautelare era accolta con ordinanza n. 320 del 2005 confermata dalla ordinanza n. 4112 del 2005 della IV sezione del Consiglio di Stato.

3. Con motivi aggiunti depositati in data 3 novembre 2006 la ricorrente impugnava un provvedimento del 11 luglio 2006 con cui il Dirigente del dipartimento assetto e gestione del territorio del comune convalidava il permesso di costruire delle controinteressate nel presupposto della asseverazione del progetto da parte di un ingegnere.

Con i motivi aggiunti la ricorrente – oltre a reiterare le censure già dedotte con l’originario ricorso – denunciava che il provvedimento di riesame adottato dal comune è illegittimo per la violazione delle garanzie procedimentali previste dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, per l’insussistenza dei presupposti per la convalida, difetto di motivazione e violazione degli articoli 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 146 del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42.
Motivi della decisione

1. E’ necessario premettere che la circostanza che il permesso di costruire oggetto del ricorso originario sia stato "convalidato" non modifica l’oggetto del giudizio che resta l’originario permesso di costruire rilasciato alle controinteressate, in quanto l’atto di convalida – pur costituendo un nuovo e autonomo provvedimento amministrativo, come tale impugnabile – non si sostituisce all’atto convalidato ma ad esso si ricollega "al fine di mantenerne fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne emanato (c.d. efficacia ex tunc della convalida); gli effetti giuridici, pertanto, si imputano all’atto convalidato, rispetto al quale quello convalidante si pone soltanto come causa ostativa all’eventuale annullamento per illegittimità, sempreché l’amministrazione non abbia già perso la disponibilità dell’effetto" (così T.A.R. Lazio, Latina, 5 maggio 2006, n. 311). Di conseguenza l’originario ricorso resta procedibile, anche se l’esame dei motivi aggiunti necessariamente dovrà precedere l’esame del motivo contenuto nell’originario ricorso con cui è stato dedotto il vizio "convalidato"; ulteriore conseguenza è che quest’ultimo motivo potrà essere esaminato solo ove i motivi aggiunti risultino fondati e conducano quindi all’annullamento dell’atto di convalida.

2. Ciò premesso occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità, di analogo tenore, sollevate dai resistenti; questi sostengono che l’originario ricorso – che è stato notificato il 31 agosto 2004 – è tardivo in quanto, come dimostrerebbe un esposto che la ricorrente ha rivolto in data 8 giugno 2004 all’amministrazione, ella ben conosceva almeno sin dal 25 maggio 2004 l’atto impugnato.

Le eccezioni sono infondate.

Premesso che per giurisprudenza consolidata chi eccepisce la tardività del ricorso ha l’onere di dare una puntuale prova della conoscenza "piena" dell’atto impugnato ad opera del ricorrente da epoca anteriore di oltre sessanta giorni rispetto alla notifica dell’atto introduttivo, si rileva che nella fattispecie tale prova non è stata fornita.

L’esposto presentato dalla ricorrente al comune di Formia in data 8 giugno 2004 dimostra infatti soltanto che a tale data – cioè quella del 8 giugno – la ricorrente sapeva che il 25 maggio precedente le controinteressate avevano presentato una d.i.a. per una variante in corso d’opera e che il successivo 27 maggio il comune aveva chiesto una integrazione documentale; ciò però non dimostra che la ricorrente abbia avuto piena conoscenza del permesso di costruire sin dal 25 maggio ma piuttosto che tale conoscenza si è realizzata nell’intervallo di tempo compreso tra la data del 25 maggio e la data dell’esposto; non vi è però prova che alla data del 1° giugno 2004 (ultimo giorno utile per considerare tempestiva la notifica del gravame) la "piena conoscenza" indispensabile ai fini della decorrenza del termine di impugnazione si fosse già verificata.

3. Si può ora passare al merito del ricorso che deve essere accolto.

4.1 Con il primo motivo dell’originario ricorso la ricorrente denuncia che il progetto assentito dal comune è stato redatto da un geometra in violazione della disciplina dell’articolo 16 del r.d. 11 febbraio 1929 n. 274 che, per quanto qui interessa, limita la competenza professionale dei geometri alla progettazione di "piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone"; la tesi della ricorrente è che nella fattispecie, venendo in rilievo un edificio di due piani da adibire a residenza e da realizzare nel centro di Formia, che ricade in zona sismica, il limite sopra indicato è chiaramente superato cosicchè il progetto avrebbe dovuto essere redatto da un professionista laureato (cioè un ingegnere o un architetto).

4.2. Come già accennato, il permesso di costruire impugnato, relativamente al profilo all’esame, è stato convalidato dal comune su istanza delle controinteressate: queste infatti hanno presentato al comune tutti gli elaborati del progetto originariamente assentito "timbrati, controfirmati e asseverati" da un ingegnere e chiesto al comune la convalida; in data 11 luglio 2006 il comune a sua volta – facendo applicazione dell’articolo 21nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 – ha operato la convalida del permesso di costruire "considerato che, nella legittimità del titolo ad edificare, e nella considerazione che l’immobile è stato già realizzato e quasi completato, sussiste l’interesse pubblico alla conservazione degli atti".

4.3. Come pure accennato, la ricorrente ha impugnato la convalida con motivi aggiunti.

4.4. Questi sono fondati e vanno accolti.

4.4.1. In particolare fondata è la dedotta violazione dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e il dedotto vizio di difetto di motivazione e di presupposti.

Il Collegio condivide infatti l’assunto secondo cui il comune avrebbe dovuto dare avviso alla ricorrente dell’avvio del procedimento preordinato alla convalida; sotto il profilo della istruttoria e della motivazione è inoltre fondato l’assunto secondo cui illegittimamente il comune non ha fornito una motivazione persuasiva in punto di interesse pubblico alla convalida né in alcun modo considerato gli interessi della ricorrente che aveva un contenzioso pendente relativo al permesso convalidato. In definitiva – se alla ricorrente fosse stato consentito di partecipare al procedimento – ella avrebbe potuto far valere le proprie ragioni e il comune sarebbe stato in grado di determinarsi nel confronto di tutti gli interessi, sia pubblici che privati,coinvolti nella fattispecie.

Del resto la necessità dell’avviso di procedimento e l’obbligo di ponderare l’interesse dei controinteressati si deduce dall’articolo 21nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 che, nel disciplinare il cd. annullamento d’ufficio – che costituisce, al pari della convalida, uno dei possibile esiti del procedimento cd. di riesame – impone, oltre alla sussistenza di ragioni di interesse pubblico, che si tenga conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati (per cui questi ultimi devono essere avvertiti del procedimento affinchè, partecipandovi, possano introdurvi i propri interessi).

4.4.2. Non condivisibile è invece l’assunto della sanabilità dei soli vizi formali; ed infatti il tradizionale orientamento sfavorevole alla sanabilità dei vizi sostanziali – fondato sulla disposizione dell’articolo 6 della legge 18 marzo 1968, n. 249 – può ritenersi superato dall’articolo 21nonies della legge n. 241 che non pone limitazioni in materia, riferendosi genericamente al provvedimento amministrativo annullabile (e non ai soli atti viziati da incompetenza o comunque da vizi di forma), con conseguente ammissibilità della convalida di vizi sostanziali, ovviamente allorchè il vizio sia in concreto eliminabile; non può quindi in linea di principio escludersi che anche il vizio consistente nella progettazione da parte di un tecnico non abilitato – che è vizio non formale ma sostanziale perché la progettazione ad opera di professionisti laureati mira a tutelare la sicurezza delle opere in funzione di tutela di coloro che le utilizzeranno una volta ultimate – possa essere convalidato a seguito della verifica della idoneità del progetto da parte di un professionista laureato con specifica assunzione da parte di quest’ultimo della relativa responsabilità; ed infatti la giurisprudenza è orientata a ritenere che i limiti di competenza dei tecnici non laureati nella progettazione di opere civili in cemento armato sono inderogabilmente stabiliti dalla legge non in funzione della buona qualità dell’edificio dal punto di vista esteticofunzionale, bensì dell’esigenza di assicurare l’incolumità delle persone che lo utilizzeranno una volta ultimato. Ciò che conta è, quindi, che i calcoli relativi alle strutture siano esatti e che tutte le soluzioni tecniche finalizzate alla sicurezza degli esseri umani siano idonee; la circostanza che – anche in via successiva – vi sia un intervento con cui un tecnico dotato di adeguata qualificazione verifichi ed asseveri la sussistenza di queste condizioni non può pertanto essere escluso.

Deve aggiungersi che non condivisibili sono le argomentazioni dei resistenti secondo cui – a fronte della istanza di convalida delle controinteressate e della asseverazione del progetto da parte di un tecnico laureato – la convalida costituisse per l’amministrazione un atto dovuto e vincolato con conseguente applicabilità del principio stabilito dall’articolo 21octies della legge n. 241; il procedimento di riesame infatti implica sempre una valutazione discrezionale – come deducibile dall’articolo 21nonies citato – e ciò esclude in radice la possibilità di applicazione dell’articolo 21octies. Una cosa, infatti, è il rilascio del permesso di costruire – atto giuridicamente vincolato alla verifica del titolo del richiedente e alla conformità del progetto alla normativa urbanisticoedilizia – altro è un atto di riesame di un permesso già rilasciato, impugnato da un controinteressato e sospeso dal giudice amministrativo; quest’ultima fattispecie è ben diversa dal semplice rilascio del permesso e costituisce in ogni caso il risultato di una valutazione discrezionale, quanto meno perché la pendenza del giudizio amministrativo potrebbe ad es. rendere più aderente all’interesse pubblico attendere l’esito del giudizio o magari annullare sic et sempliciter il provvedimento e ciò anche senza considerare la necessità – ora prevista normativamente – di ponderare l’interesse del controinteressato. Né può sostenersi che la partecipazione della ricorrente potesse essere legittimamente omessa in quanto, avendo lei stessa denunciato il vizio, la asseverazione del progetto da parte del tecnico abilitato "è perfettamente appagante per la pretesa fatta valere in giudizio e comporta la cessazione della materia del contendere" (così la memoria delle controinteressate); ribadito che l’esito di un procedimento di riesame non è mai vincolato, deve osservarsi che la partecipazione della ricorrente avrebbe potuto comunque influire sulla decisione del comune che – come dimostra la proposizione di articolati motivi aggiunti – è per lei tutt’altro che appagante; in ogni caso l’articolo 21octies della legge n. 241 stabilisce che l’omissione dell’avviso del procedimento non conduce all’annullamento "qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato": nella fattispecie questa prova manca senz’altro e già questo giustificherebbe l’annullamento della impugnata convalida.

5. Di conseguenza la convalida deve essere annullata e ciò impone l’esame del motivo del ricorso originario con cui si è dedotta la esorbitanza dalle competenze professionali del geometra della progettazione dell’immobile in contestazione.

6. Tale motivo è fondato dato che costituisce giurisprudenza assolutamente pacifica e consolidata che "a norma dell’art. 16 lett. m), del r.d. 11 febbraio 1929 n. 274, e come si desume anche dalle leggi 5 novembre 1971 n. 1086 e 2 febbraio 1974 n. 64, che hanno rispettivamente disciplinato le opere in conglomerato cementizio e le costruzioni in zone sismiche, nonché dalla legge 2 marzo 1949 n. 144 (recante la tariffa professionale), esula dalla competenza dei geometri la progettazione di costruzioni civili con strutture in cemento armato, trattandosi di attività che, qualunque ne sia l’importanza, è riservata solo agli ingegneri ed architetti iscritti nei relativi albi professionali" (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 maggio 2006, n. 3006). Né questo principio è reso inapplicabile dalla circostanza – evidenziata dalle resistenti – che la progettazione del geometra era accompagnata da una relazione di calcolo a firma di un ingegnere: infatti la giurisprudenza ha considerato anche questa evenienza ribadendo che "i geometri possono progettare e dirigere lavori relativi ad opere di cemento armato purché si tratti di piccole costruzioni accessorie di costruzioni rurali e di edifici per industrie agricole che non richiedano particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non implicano comunque pericolo per l’ incolumità delle persone, a nulla rilevando che i calcoli di cemento armato siano stati fatti da ingegnere, giacché è il professionista incaricato della generale progettazione e della direzione dei lavori che si assume la responsabilità anche dei calcoli delle strutture armate" (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 2 novembre 1995, n. 463, T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, II Sez., 17 febbraio 1995 n. 71).

Di conseguenza – venendo nella fattispecie in rilievo la progettazione di una villa in cemento armato e in zona sismica – deve ritenersi che il progetto rientrasse nella competenza professionale di ingegneri e architetti.

7. Può quindi passarsi all’esame degli ulteriori motivi che si riferiscono alla compatibilità del progetto con la normativa urbanisticoedilizia vigente in Formia.

8. Preliminarmente occorre verificare se la consulenza tecnica eseguita nella fase cautelare sia o meno utilizzabile in quanto la ricorrente ha proposto una istanza di ricusazione del consulente tecnico deducendo la sussistenza della causa di astensione obbligatoria di cui al combinato degli articoli 51, n. 3 e 63 c.p.c. (secondo cui sussiste obbligo di astensione se il consulente tecnico o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori); in concreto la ricorrente sostiene che il consulente tecnico designato dal Consiglio dell’ordine degli ingegneri di Latina ha rapporti di credito e debito con il comune di Formia (sono stati indicati due incarichi professionali conferitigli dal comune di Formia nel 1995 e 1996, un incarico di Presidente di commissione di concorso conferito nel 1998 e la sottoscrizione – quale rappresentante dell’A.T.E.R. – di un protocollo d’intesa con il comune nel 2004).

Ritiene il Collegio che l’infondatezza della istanza di ricusazione renda superfluo pronunciarsi sulle varie eccezioni di inammissibilità dell’istanza sollevate dai resistenti; ed infatti tra il comune di Formia e il consulente non esiste alcun rapporto di credito dato che gli incarichi che egli ha svolto tra il 1995 e il 1998 sono completamente esauriti (come attestato dal comune: cfr. la documentazione depositata il 29 aprile 2005) mentre il protocollo d’intesa è stato da lui sottoscritto in qualità di rappresentante di un altro ente; non sussiste dunque la causa di astensione obbligatoria dell’articolo 51, n. 2 c.p.c. né vi sono i presupposti per l’applicazione del secondo comma dell’articolo 51 citato dato che le gravi ragioni di opportunità o convenienza sono causa di astensione facoltativa e non obbligatoria.

9. Si può quindi a questo punto esaminare il secondo motivo di impugnazione con cui la ricorrente deduce che il permesso di costruire non poteva essere rilasciato per la mancanza del cd. lotto minimo che l’articolo 27 del P.R.G. comunale fissa in mq. 1500 e comunque perché le particelle asservite alla costruzione in passato era già state computate per il rilascio di altri titoli edilizi.

Al riguardo è opportuno premette che le ricorrenti sono titolari di tre particelle di suolo: la n. 697, di mq. 830, la n. 933, di mq. 1070, e la n. 700, di mq. 80, per complessivi mq. 1980; di questi 1980 mq. – che rientrano tutti in zona di completamento B6 con destinazione residenziale – 631 mq. non sono edificabili in quanto posti all’esterno del perimetro urbano e pertanto soggetti al vincolo previsto dalla legge regionale 2 luglio 1974, n. 30; il comune ha ritenuto che l’intera superficie potesse essere computata ai fini del raggiungimento del lotto minimo, mentre, ai fini della volumetria assentibile, si è ritenuto che dovesse farsi riferimento alla solo porzione del lotto, pari a mq. 1349, in concreto edificabile.

Sostiene la ricorrente che per il lotto minimo occorrente per l’assentimento di titoli edilizi deve essere interamente costituito da suolo edificabile cosicchè nella fattispecie non è stato rispettato il limite dell’articolo 27, dato che il suolo edificabile di cui sono proprietarie le ricorrenti ammonta a soli 1349 mq.; la tesi della ricorrente è che, ai fini del raggiungimento del lotto minimo, non possano prendersi in considerazione – come erroneamente ritenuto anche dal consulente tecnico d’ufficio – le parti di suolo soggette a inedificabilità o a vincoli di tutela, cosicchè la superficie inedificabile perché situata al di fuori del perimetro urbano non poteva essere considerata; sul punto il consulente di parte (si vedano le sue controdeduzioni alla relazione del consulente tecnico d’ufficio depositate il 17 marzo 2005) evidenzia che in urbanistica per lotto si intende la "singola unità fondiaria fabbricabile di omogenea destinazione urbanistica" cosicchè l’operazione eseguita dal comune sarebbe illegittima; in più osserva la ricorrente è intrinsecamente contraddittorio che ai fini della determinazione della volumetria massima si sia fatto riferimento alla sola porzione edificabile e che quella inedificabile sia stata considerata utile ai fini del raggiungimento del lotto minimo.

Il Collegio non condivide le argomentazioni della ricorrente (peraltro non completamente coerenti dato che – mentre è stata eccepita la violazione del limite di distanza dal torrente Rialto previsto dall’articolo 96 lett. f del r.d. 25 luglio 1904, n. 523 – non è stato rilevato che nel lotto minimo è stata computata la porzione della particella 696 inclusa nella perimetrazione urbana ma posta a meno di 10 metri dal torrente che è gravata da altro specifico vincolo di inedificabilità); come risulta dalla stessa definizione di lotto da ella proposta, imperniata sulla "omogeneità" della destinazione urbanistica, ciò che rileva ai fini del raggiungimento del lotto minimo è che l’interessato abbia la disponibilità di un suolo (ovviamente non precedentemente "asservito" ad altre costruzioni) di superficie pari o superiore a quella minima stabilita dallo strumento urbanistico e secondo quest’ultimo avente destinazione d’uso residenziale (nella fattispecie – come confermato dalla consulenza tecnica d’ufficio – l’intera superficie di suolo delle ricorrenti ricade in sottozona di completamento B6 e ha destinazione d’uso residenziale, anche se una porzione di essa, ricadendo al di fuori della "perimetrazione urbana" ed essendo situata a meno di 300 metri dal mare è assoggettata al vincolo di inedificabilità previsto dalla legge regionale n. 30 del 1974 citata); la circostanza che porzioni di suolo – aventi comunque destinazione d’uso residenziale – siano assoggettate a vincoli che ne escludono o limitano in concreto la edificabilità (si pensi ad es. alla fascia di terreno situata a meno di 10 metri da un’acqua pubblica o a una fascia di rispetto stradale) non ne esclude, in assenza di esplicite previsioni in tal senso, la asservibilità a un erigendo fabbricato ma comporta soltanto che questo dovrà essere localizzato su una porzione libera da ogni vincolo; ciò del resto risponde anche alla ratio della previsione di lotti minimi che – unitamente alla previsione di rapporti massimi tra aree destinate a usi residenziali e aree destinate a attività collettive, servizi pubblici etc…. – è quella di evitare una eccessiva densità edilizia garantendo un adeguato equilibrio tra le diverse destinazioni del suolo.

Di conseguenza deve ritenersi che nella fattispecie l’intera superficie del lotto delle controinteressate fosse computabile ai fini del raggiungimento del lotto minimo; la consulenza tecnica ha inoltre consentito di acclarare che non risponde alla realtà che le particelle di suolo asservite alla costruzione già lo fossero state in passato con conseguente loro indisponibilità; il consulente ha infatti ricostruito persuasivamente le vicende relative a tali particelle dimostrando che esse si ricollegano a precedenti frazionamenti e non risultano asservite ad alcun immobile.

Il secondo motivo di gravame deve dunque essere respinto.

10. Con il terzo motivo la ricorrente deduce sostanzialmente che il permesso di costruire impugnato si fonda su falsi presupposti e su un’incompleta istruttoria.

La tesi della ricorrente è in sintesi la seguente. Il suolo delle resistenti si trova a ridosso del corso del torrente Rialto (che è classificato "acqua pubblica"); il corso di tale torrente ha nel corso degli anni subito uno spostamento che ha comportato che le particelle nn. 697 e 933 sarebbero divenute rispettivamente letto del fiume e parte dell’area golenale (la particelle n. 697) e argine del corso d’acqua (la particella n. 933). Tali particelle sono quindi entrate a far parte del cd. "demanio necessario" dato che il corso dei fiumi – ivi comprese le aree golenali, vale a dire le zone comprese tra l’argine e il letto di magra che vengono invase dalle acque in occasione delle "piene ordinarie" del fiume – rientrano, ex articolo 822 c.c. e articolo 1 del D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238, nel cd. demanio idrico e sono quindi sottratte alla disponibilità dei privati (e ciò evidentemente ne esclude la asservibilità a costruzioni private), mentre l’argine è assoggettato al vincolo di inedificabilità di cui all’articolo 96 lett. f) del r.d. 25 luglio 1904, n. 523 (che vieta qualsiasi costruzione a meno di metri 10 dal "piede degli argini").

In sostanza ad avviso della ricorrente il permesso di costruire impugnato sarebbe illegittimo perché: a) il lotto minimo risulterebbe insussistente in linea di fatto poiché la quasi totalità del lotto delle ricorrente sarebbe entrato a far parte del demanio idrico necessario e sarebbe pertanto ormai sottratto alla disponibilità privata; b) in ogni caso il fabbricato autorizzato per effetto dello spostamento del letto del fiume verrebbe a trovarsi a distanza inferiore a 10 metri dal piede dell’argine (secondo le controdeduzioni del perito di parte si tratterebbe di soli m. 2,20).

10.1. Sostengono i resistenti che gli assunti della ricorrente sono infondati in quanto – come dimostrato dalla consulenza tecnica di parte depositata dalle controinteressate – le modifiche del corso del torrente Rialto verificatesi nel corso degli anni hanno comportato soltanto una erosione del suolo per mq. 84; a questo fenomeno di erosione è peraltro corrisposto un fenomeno di avulsione di segno opposto per una superficie di circa mq. 66; quanto alla posizione del fabbricato in contestazione rispetto al torrente Rialto, lo spigolo del fabbricato è posto a una distanza di m. 12,80 dalla spalla del torrente e di oltre 16 m. dal letto; il dislivello tra la minima piena del torrente e il solaio di calpestio del piano terra del fabbricato è infine di 11,80 m..

Sul medesimo punto il consulente tecnico d’ufficio, invero contraddittoriamente, dopo aver affermato che "i confini e le dimensioni di un terreno sono individuati dalle planimetrie e dai certificati catastali ed ogni modifica del perimetro e della superficie di tale terreno, per essere validamente riconosciuta, deve essere riportata in mappa", sostiene che "nel caso in esame, non essendo stata apportata nessuna variazione alle particelle 103, 700 e 933, si devono ritenere valide le attuali visure catastali". Lo stesso consulente, tuttavia, ammette modifiche dello stato dei luoghi, riportando le conclusioni del perito delle controinteressate ed evidenziando che comunque tali modifiche – che riducono le dimensioni del lotto di soli 18 mq. – si riferiscono all’area posta al di fuori della perimetrazione urbana, con conseguente irrilevanza di esse sulla volumetria realizzabile.

Il consulente evidenzia altresì che "tra la spalla dell’argine e il fabbricato" il terreno è in pendio cosicchè esso non può costituire area golenale costituendo quest’ultima la "zona di terreno pianeggiante adiacente al letto di magra di un corso d’acqua, che viene sommersa quando le acque sono alte"; in altri termini, stante l’ "accentuato declivio" del terreno oltre l’argine, deve escludersi che questo possa costituire "golena" perché la golena è il "letto di espansione delle acque durante le piene".

Per quanto riguarda infine il profilo della distanza del fabbricato dal torrente, il consulente l’ha quantificata in m. 11,89.

Nelle controdeduzioni e nelle memorie si evidenzia peraltro che la metodologia di calcolo della distanza impiegata dal consulente è errata; richiamando un precedente della sezione secondo cui, in caso di assenza di un argine come opera naturale dell’uomo (e questo è il caso), il piede esterno dell’argine (cioè il punto in cui la cd. "scarpa esterna" o "spalla" dell’argine si congiunge al terreno) è "identificabile nella proiezione, lungo la linea (orizzontale) di base del corso d’acqua del punto più alto (della scarpata); così individuando un argine a sezione trasversale a mò di triangolo rettangolo…", si sostiene che la distanza avrebbe dovuto essere misurata dal punto più alto della scarpata (che è posto a poco più di due metri dal fabbricato).

10.2. Le argomentazioni della ricorrente sono in parte fondate.

Pur dovendosi ritenere errato l’assunto del consulente tecnico in ordine al valore delle mappe catastali, dato che esse rappresentano una realtà di fatto e la loro validità è subordinata alla corrispondenza con tale realtà di fatto (che può essere anche presunta in mancanza di elementi che facciano ritenere che la realtà di fatto sia diversa), deve rilevarsi che le argomentazioni della ricorrente in punto di dimensioni del lotto sono poco verosimili dato che, se corrispondesse alla realtà che le particelle 697 e 933 costituiscono l’argine e l’area golenale del torrente, ciò significherebbe – dato che tali particelle praticamente esauriscono il suolo di cui dispongono le controinteressate e che il fabbricato preesistente di cui era prevista la demolizione (che costituisce la particella n. 700) non è stato demolito secondo quanto sostiene la stessa ricorrente – che l’immobile in contestazione, che è ormai stato realizzato, insiste a ridosso del letto di magra del torrente ed è destinato a essere periodicamente investito e allagato dalla piena. In realtà – e su questo punto la documentazione fotografica esistente in atti è incontrovertibile – il fabbricato delle controinteressate è situato su un terreno rialzato rispetto al letto del fiume ed è separato da quest’ultimo da un pendio, cioè da una scarpata che, in prossimità del letto del torrente e per un primo tratto, è accentuatamente ripida, per poi restare comunque in declivio; in concreto, il consulente tecnico d’ufficio ha misurato la distanza usando come riferimento il punto terminale del tratto di scarpata più ripido (indicandolo nel relativo elaborato grafico come "spalla dell’argine"), mentre il perito della ricorrente sostiene che la distanza doveva essere misurata dal punto più alto della scarpata (che, nel medesimo elaborato grafico, è indicato come "ceppo pianta").

Ciò premesso, deve osservarsi che il Collegio condivide l’assunto del consulente d’ufficio secondo cui nella fattispecie non è riconoscibile alcuna golena, dato che quest’ultima è un terreno pianeggiante che viene sommerso dalla piena del fiume; nella fattispecie le foto dimostrano chiaramente che ai lati del letto del torrente non esiste alcun terreno pianeggiante ma un declivio.

Opposte sono però le conclusioni quanto al profilo della distanza tra il piede esterno dell’argine e il fabbricato; sul punto la metodologia proposta dalla ricorrente è corretta e soprattutto è conforme a quanto statuito dal Tribunale nel precedente richiamato (sentenza n. 886 del 19 dicembre 2000), dalle cui conclusioni (peraltro relative a fattispecie identica, venendo in rilievo proprio un problema di distanze di un corpo di fabbrica dal torrente Rialto) non v’è ragione di discostarsi; benchè il precedente usi una formula non chiarissima, da esso si desume che il piede dell’argine si identifica con il punto più alto della scarpata; in altri termini – ipotizzando di costruire, come indicato nel citato precedente, un triangolo rettangolo la cui ipotenusa è il declivio e i cateti rispettivamente la semiretta perpendicolare al limite del letto del torrente e la semiretta nascente dal punto più alto della scarpata – il piede esterno dell’argine si identifica con il vertice dell’angolo formato dall’ipotenusa e dal cateto parallelo (opposto) al letto del torrente; del resto questa è l’unica soluzione coerente con la affermazione del precedente citato secondo cui – ove non vi sia argine costruito dall’uomo ma una scarpata – quest’ultima costituisce l’argine (naturale) del corso d’acqua (nel precedente deciso dalla sezione l’immobile in contestazione era separato dal fosso del torrente Rialto da una strada delimitata da un parapetto e la sezione ritenne che la distanza di 10 metri dovesse misurarsi a partire dal parapetto e non dal punto iniziale dell’alveo).

Alla luce di quanto precede deve concludersi che l’immobile delle controinteressate è stato costruito a distanza inferiore a quella minima prescritta dal torrente Rialto.

Di conseguenza il terzo motivo è fondato.

11. Con il quarto e ultimo motivo la ricorrente censura l’omessa acquisizione sul permesso di costruire del parere dell’Autorità dei bacini regionali del Lazio, parere indispensabile, ex delibera n. 1 del 5 marzo 2003 del comitato istituzionale dell’Autorità, rientrando le particelle interessate in "area di attenzione idraulica".

L’assunto della ricorrente – che a sostegno dello stesso ha presentato un’apposita attestazione – è che le superfici adiacenti al torrente Rialto, costituendo questo un’acqua pubblica, costituiscono – ai sensi dell’articolo 9 del Progetto di piano stralcio per l’assetto idrogeologico (p.a.i.) predisposto dall’Autorità dei bacini regionali: norme di salvaguardia relative alle "aree a pericolo di frana e d’inondazione elevato e molto elevato" (approvato con la delibera sopra indicata) – aree di attenzione idraulica soggette alle disposizioni dell’articolo 26 del piano, che subordinano "ogni determinazione relativa ad eventuali interventi" alla redazione di uno studio idraulico da sottoporre a n.o. dell’Autorità.

Il motivo è infondato.

Come documentato dal comune – che ha depositato copia del piano – l’articolo 3, comma 3, di esso espressamente stabilisce che le disposizioni degli articoli 1619 e 2226 sono immediatamente vincolanti "limitatamente alle aree perimetrate nella tavola 2", la quale non comprende il torrente Rialto.

12. Conclusivamente il ricorso e i motivi aggiunti devono essere accolti e gli atti impugnati annullati. Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese della presente fase processuale.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, accoglie il ricorso e i motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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