Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-03-2011) 25-05-2011, n. 20982

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 3/6/10 il Tribunale di Sorveglianza di Perugia rigettava il reclamo proposto dal detenuto C.C. avverso il provvedimento 27/1/10 con cui il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto dichiarava inammissibile la sua domanda di permesso premio.

Il Tribunale, conformemente al giudice monocratico, rilevava che i reati in espiazione (di omicidio e tentato omicidio) erano ostativi alla concessione del beneficio richiesto in quanto, benchè non formalmente aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, erano stati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416- bis c.p. ed al fine di agevolare la attività delle associazioni di tipo mafioso ivi previste (giusta il dettato dell’art. 4-bis, comma 1, op), non trattandosi di una mera faida familiare: ciò (come doveva essere verificato dai giudici di sorveglianza) emergeva chiaramente dalla motivazione della sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria (la faida Commisso – Costa aveva finalità di predominio mafioso sul territorio di Siderno), non contraddetta da quella definitiva della Corte di Cassazione, che anzi, nell’escludere l’incompatibilità di un giudice che aveva partecipato anche al separato processo per il reato associativo (e ciò per la diversità dei reati contestati), aveva fatto esplicito riferimento alla natura mafiosa dei due gruppi.

Ricorreva per cassazione la difesa del C., deducendo violazione di legge in relazione all’art. 4-bis op e al principio del giudicato: la sentenza della S.C. che aveva definito il processo nella parte riguardante gli omicidi aveva escluso l’incompatibilità di uno dei giudici di merito per essersi questi occupato della parte riguardante il reato associativo proprio per l’autonomia delle diverse imputazioni, non essendo contestato negli omicidi l’aggravante mafiosa. Ne conseguiva che la Corte che si era occupata degli omicidi non poteva pronunciarsi sulla pretesa mafiosità dei medesimi, a pena di sconfinare – senza alcun contraddittorio – nell’oggetto del diverso processo. Chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato.

Nel suo parere scritto il PG presso la S.C., condividendo le ragioni dell’ordinanza impugnata che privilegiavano la valutazione sostanziale dei reati a prescindere dalla loro formale imputazione, chiedeva il rigetto del ricorso. Quanto alla compatibilità, dichiarata nella specie, di un giudice del processo per la,sua partecipazione all’altro, rimarcava come essa andasse valutata all’inizio del processo medesimo e quindi sulla base della contestazione formale del reato e prima della sua valutazione sostanziale.

Con note di replica in vista dell’udienza di trattazione la difesa osservava come nel caso concreto il giudizio di compatibilità del giudice di merito espresso dalla S.C. non fondasse su un dato formale (peraltro al tempo dei fatti contestati non esisteva l’aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7), ma su un esame sostanziale della sentenza, che aveva considerato gli imputati nella loro qualità di esponenti dei due gruppi avversari, ma non aveva considerato nello specifico la natura mafiosa dei contrapposti gruppi cui essi appartenevano. Di qui, da parte del giudice-di sorveglianza, la violazione del giudicato.

Il ricorso è infondato e va rigettato.

In tema di rilevanza per l’ordinamento penitenziario in genere dell’appartenenza e del metodo mafioso nella commissione dei reati è giurisprudenza consolidata di questa Corte che "è irrilevante la formale contestazione della circostanza aggravante prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203, essendo sufficiente il dato sostanziale della tipologia criminologica del delitto considerato, nonchè la ratto della previsione normativa" (così Cass., sez. 1^, sent. n. 46068 del 4/11/04, rv. 230166, Albanese, in tema di legittimità del decreto che dispone ai sensi dell’art. 41-bis op il regime carcerario differenziato nei confronti di detenuti per reati commessi al fine di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso).

La valutazione, vista appunto la generale ratio della previsione normativa (la difesa sociale), riguarda anche la concessione di permessi premio a detenuti che siano stati condannati per reati aggravati di tal tipo.

Non cambia nella specie i termini della questione la circostanza che nel corso del processo la Cassazione abbia ritenuto la compatibilità di un giudice comune a quello separatamente celebrato nei confronti del C. per associazione mafiosa sul rilievo della diversità dei reati contestati: posto che al tempo degli omicidi giudicati non esisteva l’aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7, ciò che all’epoca non interessava formalmente il giudice della cognizione ha consentito a quello di legittimità di non ravvisare incompatibilità in un giudice comune ai due processi ed al contempo di valutare "a posteriori" la natura sostanzialmente mafiosa dei due gruppi in contesa). Oggi (sulla base della richiamata giurisprudenza) tale valutazione interessa il giudice della sorveglianza.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo ( art. 616 c.p.p.).
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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