T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 25-05-2011, n. 4733 Carriera inquadramento Mansioni e funzioni Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Col ricorso in esame (basato su argomentazioni confutate dal soggetto intimato, ritualmente costituitosi in giudizio), l’interessato ha chiesto – previa disapplicazione degli atti amministrativi con esso contrastanti – l’accertamento del diritto

a) ad esser inquadrato in una qualifica superiore a quella formalmente attribuitagli dall’Amministrazione di appartenenza e, comunque,

b) a percepire, in virtù delle mansioni da lui effettivamente svolte, il relativo trattamento economico.

All’esito della discussione svoltasi nella pubblica udienza del 16.3.2011, il Collegio – trattenuto il predetto ricorso in decisione – ritiene che le pretese attoree siano intrinsecamente infondate.

Anche – invero – a non voler considerare

che l’azione di accertamento proposta, da un pubblico dipendente, per ottenere un miglior inquadramento dovrebbe (a rigore) esser dichiarata inammissibile: dato che, in presenza del potere autoritativo dell’Amministrazione di disporre in ordine alla posizione degli impiegati nell’ambito della propria struttura burocratica, gli impiegati stessi non sono titolari che di un interesse legittimo (tutelabile, come tale, mediante il solo esperimento di un’azione costitutiva: volta ad ottenere l’annullamento del provvedimento ritenuto lesivo della situazione stessa); e non, già, di un diritto soggettivo;

che (detto in altri, e più chiari, termini), poiché il provvedimento (autoritativo) di inquadramento (con cui la p.a., in applicazione di norme dettate nell’interesse pubblico, definisce la posizione – giuridica e funzionale – del dipendente nell’ambito dell’apparato amministrativo) determina quale trattamento economico deve esser corrisposto all’impiegato, se questi intende percepire un trattamento superiore in base alle mansioni svolte (perché spettante, tale trattamento, a coloro che sono inquadrati in un livello – o in una qualifica – superiore) dovrebbe (infatti) impugnare, nei termini di decadenza (ciò che, nel caso di specie, non risulta sia avvenuto), un tale provvedimento: che – lo si rileva incidentalmente – non può certo esser disapplicato, ex art.5 L.A.C., dal giudice amministrativo;

che, per costante giurisprudenza, un’azione di accertamento non può esser (surrettiziamente) proposta per rimuovere gli effetti di atti autoritativi rimasti inoppugnati;

che tale principio è stato affermato anche con riferimento ai casi in cui l’azione di accertamento sia preceduta (come nell’occasione) da un’istanza e da una diffida a rivedere i disposti inquadramenti: essendosi ritenuto (tra l’altro)

a) che non sussiste alcun obbligo di provvedere su di un’istanza di riesame, o di annullamento o di revoca, di un provvedimento divenuto definitivo per mancanza di tempestiva impugnazione e

b) che il mancato esercizio del potere amministrativo di autotutela non può esser sindacato in sede giurisdizionale,

si deve – in ogni caso – rilevare (per quel che concerne la, parimenti richiesta, declaratoria del diritto alla corresponsione delle differenze retributive connesse all’asserito svolgimento di mansioni superiori)

che, salvo che una norma speciale (nella circostanza insussistente) non disponga altrimenti, le mansioni svolte dal pubblico dipendente (anche a voler ammettere che quelle espletate dall’interessato siano effettivamente superiori a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento) sono del tutto irrilevanti: sia ai fini della progressione in carriera che a quelli economici (cfr., "ex multis", C.d.S., V, n.1219/97);

che (in particolare), al fine di rendere rilevanti tali mansioni, non è invocabile il disposto dell’art.2126 c.c.: il quale (oltre a non dare risalto alle mansioni svolte in difformità dal titolo invalido) riguarda, affermando il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un atto nullo o annullato, un fenomeno del tutto diverso (e, cioè, lo svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non è qualificabile come pubblico dipendente);

che (pertanto) esso non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata degli atti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici: e (lo si ripete) non consente, comunque, di disapplicare i provvedimenti di nomina o di inquadramento. (Specie se questi, cfr. C.d.S., V, n,515/97, sono divenuti inoppugnabili).

Si fa, altresì, presente

che, per quanto riguarda l’obbligo di adeguare il trattamento economico di un soggetto alle mansioni esercitate, l’art.2103 c.c. (come sostituito dall’art.13 della legge 20.5.70 n.300) ha (cfr. C.d.S., V, n.274/89) carattere supplementare ed integrativo;

che detta norma può, quindi, esser applicata – al settore dell’impiego pubblico – soltanto nei limiti previsti da norme speciali;

che lo stesso art.36 Cost. non può trovare incondizionata applicazione in tale settore: concorrendo, in quest’ambito, altri principi di pari rilevanza costituzionale;

che, in particolare, l’operatività della cennata norma trova un limite invalicabile nel disposto dell’art.97 della stessa Costituzione. (L’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita contrasta, infatti, con il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari).

Va, del resto, considerato

che l’opera di chi svolge mansioni superiori (affidate, spesso, con criteri che non garantiscono il rispetto del menzionato principio di imparzialità) non può identificarsi – "sic et simpliciter" – con quella di chi appartiene ad un diverso livello: e la cui maggior qualificazione professionale (significativa di una più elevata qualità del lavoro prestato) è stata oggettivamente accertata con apposita selezione concorsuale;

che, se è vero che – in tempi (relativamente) recenti – l’art.57 del d.lg. 3.2.93 n.29 ha introdotto una nuova e completa disciplina dell’attribuzione temporanea (e si sottolinea con forza tale aggettivo) di mansioni superiori (riconoscendo, entro certi limiti, rilevanza economica a tale attribuzione), è altresì vero che questa norma (la cui operatività era stata più volte differita) è stata abrogata – dall’art.43 del d.lg. 31.3.98 n.80 – senza aver mai avuto concreta applicazione;

che la materia è ora disciplinata dall’art.25 del cennato d.lg. n.80: che prevede, sì, la retribuibilità dello svolgimento di mansioni superiori ma ne rinvia l’applicazione in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi; e con la decorrenza stabilita da questi.

Conclusivamente; ribadito

che, nell’ambito del pubblico impiego, è la qualifica (e non l’attività concretamente svolta) il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita (considerato anche l’assetto rigido della p.a. sotto il profilo organizzatorio: collegato anch’esso, secondo il paradigma del menzionato art.97 Cost., ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica);

che, pertanto, l’Amministrazione è tenuta ad erogare la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori solo qualora una norma speciale (nel caso di specie, lo si ripete, del tutto insussistente) consenta tale assegnazione e la relativa maggiorazione retributiva (cfr. C.d.S., A.p., n.22 del 7/618/11/99),

il ricorso in esame deve ritenersi – appunto – infondato: ed, in quanto tale (con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite), meritevole di reiezione.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)

rigetta il ricorso indicato in epigrafe,

condanna il proponente al pagamento delle spese del giudizio: che liquida in complessivi 2000 euro.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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