Cass. pen., sez. I 21-11-2008 (13-11-2008), n. 43716 Aggravante del metodo mafioso non contestata nel giudizio di cognizione e ritenuta in sede esecutiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con ordinanza del 17 marzo 2008 la Corte di Assise di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’opposizione proposta da D.S.M. avverso il provvedimento che aveva negato l’applicazione in suo favore dei benefici previsti dalla L. n. 241 del 2006 in materia di condono, con riferimento alla condanna alla pena di anni due e mesi due di reclusione inflitta dalla Corte di Assise di Napoli con sentenza resa il 22 ottobre 1999, perchè giudicato colpevole del reato di cui agli artt. 110 e 81 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 12 in materia di armi.
A sostegno della sua decisione il giudice territoriale ha sostenuto la tesi che la causa ostativa alla concessione del beneficio prevista "per i reati per i quali ricorre la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 e successive modificazioni" deve essere interpretata nel senso che la causa ostativa ricorrerebbe anche nella ipotesi in cui tale aggravante non sia stata formalmente contestata, purchè risulti essa comunque desumibile dai fatti giudicati.
Partendo da tale principio di diritto, ha poi la Corte territoriale rilevato che il ricorrente è stato condannato per condotte consumate attraverso le modalità di cui all’art. 7 menzionato, di guisa che, nonostante l’assenza di contestazione della medesima in tale giudizio, ricorrerebbero nel caso di specie le condizioni ostative all’applicazione dell’invocato beneficio.
Ricorre avverso l’esposto rigetto il D.S. chiedendone l’annullamento perchè viziato, a suo avviso, da violazione di legge sul rilievo che i principi di diritto affermati dal giudice a qua sarebbero in palese conflitto con le disposizioni normative invocate e con i principi generali in tema di giudicato e poteri del giudice dell’esecuzione.
Depositata motivata requisitoria scritta il P.G. in sede concludendo per l’accoglimento della doglianza.
Il ricorso è fondato.
Al quesito se ai fini dell’applicazione della norma ostativa alla concessione dell’indulto di cui all’art. 1, comma 2, lett. d) in forza del quale "per i reati per i quali ricorre la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1001, n. 152, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni", debba aversi riguardo alla concreta contestazione del reato ed al giudizio su di essa espresso dalla sentenza di condanna che l’abbia ritenuta sussistente ovvero se possa farsi riferimento, da parte dei giudice dell’esecuzione, ad una valutazione dei fatti indipendentemente dalla concreta applicazione dell’aggravante in parola da parte del giudice della cognizione, non può darsi risposta diversa da quella che faccia propria la prima delle opzioni sintetizzate (in ipotesi parzialmente analoga e nello stesso senso Cass., Sez. 1, 29.22.07, n. 46994).
Ed invero depongono a sostegno di tale conclusione più considerazioni giuridiche, tutte di consistente peso interpretativo.
V’è in primo luogo l’argomento letterale per il quale "’reati per i quali ricorre la circostanza aggravante di cui…" non può che fare riferimento ai reati concretamente accertati e giudicati nella contestata forma aggravata e questo perchè il dato letterale non può essere considerato, così come viceversa operato dalla Corte territoriale, prescindendo dalle regole sistemiche generali in tema di giudicato e di poteri connessi alla giurisdizione di cognizione ed a quella esecutiva di provvedimenti decisori di contenuto cognitorio.
Orbene integra l’esercizio di un potere abnorme giacchè incidente sul vigente modello processuale penale e sulle regole generali che lo delineano, quello del giudice dell’esecuzione che assuma sussistere una circostanza aggravante non ritenuta dal giudice della cognizione, posto che esso giudice dell’esecuzione ha il solo potere di dare corso a ciò che altra istanza giudiziaria ha conosciuto e giudicato, nè può confondersi il potere di interpretazione del giudicato con tale abnorme potestà, che si esaurisce non già in una operazione interpretativa, bensì in un nuovo ed estemporaneo giudizio circa la sussistenza di fatti penalmente rilevanti, esclusi dalla pronuncia di merito e, nel caso in esame, fin’anche dal titolare dell’azione penale, che mai ha accusato il ricorrente di ciò di cui il giudice dell’esecuzione, sostanzialmente, lo accusa, senza che su tale accusa l’interessato abbia mai avuto la necessità (e la possibilità) di difendersi.
Diversamente opinando si mina il principio fondamentale, di natura costituzionale, di corrispondenza tra contestazione, decisione e giudicato, le regole di competenza e giurisdizione tra giudice della cognizione e giudice dell’esecuzione, le regole sulla titolarità dell’azione penale e sulle funzioni della magistratura inquirente e di quella requirente.
Nel caso di specie, come in premessa chiarito, il ricorrente chiede l’applicazione del condono con riferimento ad un reato non escluso dall’applicazione del beneficio ed in relazione al quale non è stata mai contestata l’aggravante in questione nè con la formulazione del capo di imputazione nè nel corso del processo. L’ordinanza impugnata, conclusivamente, va annullata perchè adottata in violazione di legge con rinvio al giudice a qua per nuovo esame della questione rispettoso dei principi di diritto con la presente affermati.
P.Q.M.
La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Assise di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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