Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-03-2011) 25-05-2011, n. 20962 Sicurezza pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 18/2/10 la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza 1/12/08 del Tribunale di Roma che condannava C. G. alla pena di mesi 5 di arresto per il reato continuato di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9 (allontanamento non autorizzato dalla dimora in orari non consentiti: con assoluzione dall’episodio del 22/10/05, esclusa la recidiva, con le attenuanti generiche e la continuazione), dichiarava non doversi procedere in ordine agli episodi del 15/6 e dell’1/7/05 e riduceva (rideterminava) la pena, per i rimanenti del 23/10 e 17/11/05 e del 30/1 (due), 25/2, 22/3 e 8/4/06, in mesi 3 e giorni 5 di arresto.

Ricorreva per cassazione il C. con atto a sua firma, deducendo violazione di legge in relazione alla determinazione della pena – con riferimento al numero e alla entità degli aumenti applicati sulla pena base – in misura superiore ai singoli illeciti in contestazione:

1) già con la sentenza di primo grado, a fronte di dieci episodi, si erano erroneamente calcolati nove aumenti di 10 giorni ciascuno (per un sub-totale di 3 mesi), su una pena base di 4 mesi, per un totale di 7 mesi di arresto (ridotti a 5 con erronea applicazione delle attenuanti generiche dopo il calcolo delle continuazione: ndr), trascurando che lo stesso giudice aveva assolto dall’episodio del 22/10/05 e che l’episodio del 30/1/06 era stato indebitamente computato due volte per un ripetuto controllo a mezz’ora di distanza;

2) con la sentenza di appello, pur in assenza di uno specifico gravame, nel confermare la pena base, il giudice l’aveva aumentata – pur nella ridotta misura di giorni 5 per ciascun episodio in continuazione – nella misura complessiva di mesi 3 e giorni 5 di arresto, ancora una volta trascurando la duplicata violazione del 30/1/06 ed errando in ogni caso sul numero degli aumenti (comunque sei e non sette).

Alla pubblica udienza di discussione il PG chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso (nessuno compariva per il ricorrente).

Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.

Invero il giudice di merito erra nel calcolo della pena, ma l’errore, infine, è senza danno per l’imputato.

Ricostruendo: le violazioni originariamente contestate erano dieci;

il giudice di primo grado escludeva l’episodio del 22/10/05 e condannava per i rimanenti nove; il giudice di secondo grado dichiarava la prescrizione di due reati (15/6 e 1/7/05) e condannava per i rimanti sette.

Conferma la pena base in mesi 4 di arresto, la diminuisce di 1/3 per le attenuanti generiche e, qui errando, l’aumenta dei 5 giorni fissati per l’aumento di ciascun reato in continuazione per sette volte e non per sei (35 giorni e non 30), pervenendo ad una pena finale di mesi 3 e giorni 5 di arresto (non censurabile in questa sede la valutazione di merito inerente il computo di entrambe le contestazioni del 30/1/06). Ma i cinque giorni in più sarebbero stati un effettivo errore in danno dell’imputato se il giudice non avesse già commesso un più rilevante errore in suo vantaggio, non considerando che la pena base di 4 mesi diminuita di 1/3 portava a 2 mesi e 20 giorni, che, aumentati dei 30 (non 35) giorni in continuazione, portavano comunque alla pena finale di mesi 3 e giorni 20: la pena in concreto irrogata di mesi 3 e giorni 5 di arresto, anche se non impugnata dal Pm, è dunque inferiore a quella che avrebbe dovuto essere inflitta.

Alla dichiarata inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna alle spese del processo.

La circostanza, tuttavia, che l’errore denunciato effettivamente sussistesse induce a non applicare l’ulteriore sanzione pecuniaria prevista dall’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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