Cass. civ. Sez. I, Sent., 29-09-2011, n. 19936 Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

to del processo

1 – La Maglieria Lanix s.p.a., ora Val Fashion Group S.p.a. proponeva opposizione allo stima definitiva relativa all’espropriazione di un’area di mq 1820 in Comune di Brendola, disposta nell’ambito della realizzazione della terza corsia dell’autostrada Brascia-Padova.

Veniva dedotto, in particolare, che l’ampliamento della sede stradale, ora maggiormente prossima all’opificio dell’opponente, aveva determinato un aumento della rumorosità, che incideva negativamente sull’esercizio dell’attività industriale. Per tale motivo si chiedeva che l’attività fosse commisurata al valore dell’immobile, ormai inutilizzabile, deducendosi, in via subordinata, che fosse determinato il minor valore della proprietà residua, ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 40. 1.1 – Si costituiva la Società Autostrada Brescia S.p.a., contestando la fondatezza dell’opposizione, in quanto il fabbricato era già stato costruito, successiva alla realizzazione dell’arteria autostradale, a metri 9,60 dalla stessa. Veniva altresì richiesto, in via riconvenzionale, che l’indennità fosse determinata in base alla natura agricola del terreno.

1.2 – La Corte di appello di Venezia, con la decisione indicata in epigrafe, espletata ctu, esclusa la natura edificatoria del terreno, determinava l’indennità di espropriazione in Euro 7.060,05, e quella di occupazione in Euro 2.892,65.

Veniva affermato che la dedotta necessita, da parte dell’opponente, di reintegrare l’area espropriata per effettuare attività edificatoria non era ricollegabile a una diminuzione di valore derivante dalla separazione del fondo, ma alla necessità di ampliamento dell’edificio.

Veniva esclusa la ricorrenza di un pregiudizio derivante da vibrazioni, mentre, quanto alle immissioni acustiche, si escludeva che risultasse dimostrato che il livello superiore a quello consentito, a finestre aperte, fosse la conseguenza della creazione della terza corsia, e non potesse, viceversa, attribuirsi al traffico in misura pari a quella già esistente prima dell’ampliamento.

1.3 – Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la VFG, deducendo tre motivi, illustrati con memoria.

La società Autostrada, senza presentare controricorso, ha depositato memoria di costituzione ed ha partecipato alla discussione della causa.
Motivi della decisione

2. Il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione dell’art. 2967 c.c. e della L. n. 2359 del 1865, art. 40 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e n. 5, è infondato. Questa Corte, in caso affatto analogo, ha affermato, con riguardo ad opera autostradale che sia stata realizzata in conformità delle norme di legge e regolamentari, anche per quanto attiene alle distanze rispetto a preesistenti costruzioni di edilizia residenziale (esclusa peraltro la "fascia di rispetto" di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 19 ed al D.M. 1 aprile 1968, n. 1404, alla quale è soggetto soltanto il proprietario che intenda edificare in prossimità della strada), che il pregiudizio subito dalle suddette costruzioni, per effetto di perdita di luce, ovvero di immissioni di rumori, vibrazioni, correnti d’aria e simili, è indennizzabile, ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46 qualora superi i limiti di una menomazione di aspetti solo marginali del diritto dominicale, analoga a quella ricevuta da ogni fondo coinvolto dall’esecuzione di opere di viabilità, traducendosi in una sensibile compressione delle obiettive possibilità di utilizzazione (da valutarsi anche alla stregua dei criteri dettati dall’art. 844 cod. civ. in tema di normale tollerabilità delle immissioni), con consequenziale apprezzabile diminuzione del valore venale del bene (Cass., 9 marzo 1988, n. 2366).

E’ stato altresì statuito che l’indennizzo di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 46 va riconosciuto nei casi in cui la compromissione del valore di un immobile – quindi anche la riduzione della godibilità di un appartamento nella sua destinazione abitativa (la quale ha riflessi negativi sul prezzo di mercato) – sia effetto dell’opera pubblica, e tale nesso causale sussiste quando la menomazione di una o più facoltà (non marginali) del diritto dominicale sia conseguenza dell’esecuzione e della presenza dell’opera pubblica, ovvero della sua utilizzazione in conformità della funzione per la quale è stata progettata e realizzata; ne deriva che, rispetto ad opera stradale, il predetto nesso è ravvisabile per gli scuotimenti, le vibrazioni, gli impoverimenti di luce ed aria, i rumori e le esalazioni nocive prodotte dalle strutture della costruzione o dagli automezzi che se ne avvalgono, non anche per le immissioni determinate dall’accentuazione del traffico nelle aree limitrofe, in cui l’opera medesima si inserisce con attitudine a creare un percorso più breve o più scorrevole, come tale preferibile da un maggior numero di utenti, giacchè questi ultimi effetti integrano un pregiudizio meramente occasionato dall’opera stradale e dal suo uso, ma direttamente riferibile alle scelte della pubblica amministrazione nella gestione del territorio e della viabilità, e, dunque, potrebbero essere forieri della responsabilità risarcitoria dell’amministrazione stessa ove sia incorsa in colposa violazione dei diritti altrui, con inosservanza del principio del "neminem ledere", non dell’ob-bligazione indennitaria di cui all’art. 46 cit. (Cass., 9 settembre 2004, n. 18172).

2.1 – La corte territoriale, affermata l’insussistenza del lamentato danno da vibrazioni, ha ritenuto, quanto alle immissioni acustiche, che non risultasse provato che il superamento del livello, a finestre aperte, non fosse preesistente. Trattasi di un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, ed in ogni caso, a prescindere dall’insussistenza della denunciata violazione dei principi in materia di onere della prova, ricollegabile a un effetto che, in base al richiamato principio, condiviso dal Collegio, esula dai profili indennitari in esame.

2.2 – Parimenti infondato è il secondo motivo, con il quale si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè vizio motivazionale, per aver la corte rigettato la domanda inerente ai pregiudizi derivanti dalla necessità di acquistare altra area e alla successiva dislocazione in due arre separate del bene. Invero la Corte ha esaminato tali deduzioni, fornendo al riguardo una motivazione congrua, mentre la doglianza relativa all’omesso esame di deduzioni contenute nella "terza comparsa conclusionale" è intrinsecamente inassecondabile, posto che le comparse conclusionali hanno la funzione di illustrare le domande già precisate, senza, pertanto, che sussista l’obbligo del giudice di pronunciarsi in merito a richieste avanzate dopo la precisazione delle conclusioni (Cass., 31 marzo 2005, n. 6748; Cass., 7 dicembre 2004, n. 22970).

2.3 – Il terzo motivo, che concerne la liquidazione del danno, prospettandosi violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 39 e dell’art. 6 CEDU, è interessato dalla recente pronuncia n. 181 del 2011 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 865 del 1971, art. 16 e confermato dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4 per contrasto con l’art. 42 Cost., comma 3 e art. 117 Cost..

Invero, pur dovendosi confermare il giudizio della corte territoriale circa la natura non edificabile dall’area, in quanto, come desumibile dalle risultanze della ctu, ricadente nella fascia di rispetto stradale (Cass., 3 aprile 2009, n. 8121; Cass., 25 agosto 2006, n. 18544), devesi constatare come i criteri di stima adottati non siano attualmente in vigore.

E’ del tutto evidente come, al di là della specifica contestazione del criterio con il motivo in esame, questa Corte Suprema, così come del resto affermato in relazione alla declaratoria di incostituzionalità della normativa relativa ai suoli aventi natura edificatoria, in merito all’individuazione del criterio legale di stima non sia concepibile la formazione di un giudicato autonomo, in quanto il bene della vita alla cui attribuzione tende l’opponente alla stima è l’indennità, liquidata nella misura di legge, non già l’indicato criterio legale.

Tale principio deve trovare applicazione allorchè l’espropriato abbia reagito alla stima della Corte territoriale (con il meccanismo dei VAM) operata sul presupposto della destinazione agricola/non edificatoria del terreno,assumendone invece (pur se infondatamente) la natura edificatoria: posto che anche in questo caso ricorre il problema del rapporto fra giudizio di Cassazione e declaratoria di incostituzionalità retroattiva di una norma; e perchè il problema si pone negli stessi termini, dato che la pronuncia di illegittimità costituzionale non si applica ai soli rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass., n. 16450 del 2006; n. 15200 del 2005; n. 22413 del 2004) .

Nessuna di queste ipotesi si è verificata nel caso concreto posto che l’espropriato con il motivo di impugnazione in esame ha impedito la definitiva ed immodificabile determinazione dell’indennità, ponendo in discussione proprio il criterio legale utilizzato dalla Corte territoriale, tenuto conto che il relativo capo della sentenza riposa sulla premessa dell’applicabilità della L. n. 865 del 1971, art. 16 e della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4. 2.4 – Una volta venuti meno i criteri riduttivi suddetti a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, la Corte deve ribadire quanto già affermato dopo la menzionata sentenza 348/2007 della Corte costituzionale relativa ai suoli edificatori: che cioè per la stima dell’indennità torna nuovamente applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 che è l’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento, e per di più non stabilito per singole e specifiche fattispecie espropriative, ma destinato a funzionare in linea generale in ogni ipotesi o tipo di espropriazione salvo che un’apposita norma provvedesse diversamente.

E che quindi nel caso concreto si presenta idoneo a riespandere la sua efficacia per colmare il vuoto prodotto nell’ordinamento dall’espunzione del criterio dichiarato incostituzionale (Cass., n. 4602/1989; 3785/1988; sez.un. 64/1986): anche per la sua corrispondenza con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea,nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU. L’applicazione del criterio in questione da parte del giudice di rinvio comporta necessariamente l’estensione anche alla stima dell’indennizzo in questione dei medesimi principi già applicati per quello rivolto a risarcire l’espropriazione illegittima degli stessi fondi non edificatori; i quali impongono di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare sempre all’interno della categoria suoli/inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo, da determinarsi in base al relativo mercato, sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.): semprecchè assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

Cassata, pertanto, in parte qua, la sentenza impugnata che non ha compiuto i suddetti accertamenti, il giudizio va rinviato alla stessa Corte di appello di Venezia, che in diversa composizione si adeguerà ai principi avanti enunciati.
P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, e pronunciando sul terzo, cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese, alla Cote di appello di Venezia, in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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