Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-02-2011) 25-05-2011, n. 20858 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di La Spezia in data 27.11.2003, con la quale D.C., D.F. e M.A. venivano condannati alla pena di anni due di reclusione ciascuno per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commesso da:

– D.C., amministratore dal 15.2.1995 al 10.4.1995, poi membro del consiglio di amministrazione fino al 5.3.1997 e successivamente amministratore di fatto della s.r.l. Edilfar, dichiarata fallita il 29.5.1999, e M.A., membro del consiglio di amministrazione della stessa società dal 10.4.1995 al 5.3.1997, annotando sul libro giornale dal 31.12.1996 ratei passivi non documentati per circa L. 153.000.000, omettendo di annotare in contabilità pagamenti ricevuti da creditori in relazione a fatture emesse dal 10.10.1995 all’11.4.1997 per circa L. 250.000.000 e distraendo le somme provenienti da detti pagamenti;

– D.F., membro del consiglio di amministrazione della Edilfar dal 10.4.1995 al 5.3.1997, omettendo di compilare il libro giornale dall’1.1.1998, annotando sul libro giornale dal 31.12.1996 ratei passivi non documentati per circa L. 153.000.000 e distraendo la somma di L. 31.000.000 circa corrispondente al saldo di cassa al 31.12.1997.

I ricorrenti deducono:

1. violazione di legge In ordine alla sussistenza dei requisiti di fattibilità della società con particolare riguardo alla qualifica di piccolo imprenditore;

2. carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla responsabilità soggettiva degli imputati;

3. violazione di legge in ordine alla qualificazione dei fatti come bancarotta fraudolenta anzichè come bancarotta semplice.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo alla sussistenza dei requisiti di fallibilità della società con particolare riguardo alla qualifica di piccolo imprenditore, è infondato.

I ricorrenti, premesso che la Edilfar risultava presentare investimenti, ricavi lordi ed un passivo rientranti nei parametri indicati nel D.Lgs. n. 5 del 2006, sopravvenuto art. 5, rilevano che tale normativa doveva essere applicata al caso in esame in quanto più favorevole disciplina di un elemento costitutivo del reato, quale la dichiarazione di fallimento. All’odierna udienza la difesa ha peraltro sollevato in via subordinata eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 216 L. Fall., per contrasto con l’art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede l’applicazione retroattiva della diversa e più favorevole normativa sopravvenuta in tema di presupposti per la declaratoria di fallimento.

La sentenza Impugnata faceva tuttavia correttamente riferimento sul punto al principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 19601 del 28.2.2008, imp. Niccoli, Rv. 239398) secondo un’interpretazione successivamente e più volte ribadita (Sez. 5, n. 9279 dell’8.1.2009, imp. Carottini, Rv.243160; Sez. 5, n. 40404 dell’8.5.2009, imp. Melucci, Rv.245427). La dichiarazione di fallimento costituisce invero atto giuridico richiamato nella struttura di una fattispecie incriminatrice, nel caso in esame quella della bancarotta fraudolenta. Essa assume pertanto la funzione di elemento costitutivo del reato nella sua natura di provvedimento giurisprudenziale, che con l’apertura della procedura fallimentare attualizza e rende concreta la potenzialità offensiva della condotta rispetto al soddisfacimento dei crediti ammessi al concorso; mentre tale funzione non si estende ai fatti che con detto provvedimento vengono accertati. Su questi fatti, e non anche sull’atto giuridico della declaratoria di fallimento, incide la normativa che individua I presupposti di quest’ultima. Detta normativa, di natura indiscutibilmente extrapenale, non investe dò che propriamente è l’elemento costitutivo della fattispecie, e non può pertanto essere qualificata come integratrice del precetto penale; la modifica legislativa in discussione, intervenuta sulla normativa di cui sopra con la ridefinizione del presupposti di fallibllltà dell’impresa, rimane di conseguenza estranea all’operatività dell’art. 2 cod. pen., e non può trovare applicazione per fatti commessi nell’ambito di vicende fallimentari precedentemente in corso.

Questa specificazione dei contenuti e del fondamento del principio di diritto seguito dalla decisione impugnata evidenzia la manifesta infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale.

Nessuna violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza può essere Infatti invocata nella situazione in esame rispetto al trattamento giuridico dei fatti commessi precedentemente e successivamente all’intervenuta modifica legislativa; in entrambi gli ordini di fatti si registra la realizzazione di condotte poste In essere nella gestione di imprese legittimamente sottoposte a procedura concorsuale, che rende concreta ed attuale l’offensività di dette condotte rispetto alle posizioni creditorie. L’eccezione deve pertanto essere respinta.

2. Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso, relativo alla responsabilità soggettiva degli imputati.

I ricorrenti denunciano l’illogicità dell’aver posto alla base della decisione di condanna elementi quali le corresponsioni di stipendi effettuate dagli imputati, non significativi ai fini della prova della loro attività gestionale, la carenza di motivazione sull’aver gli imputati assunto la doppia veste di datori di lavoro ed operai e la contraddittorietà nel valutare la delicatezza degli incarichi assunti da D.F. come dato tale da superare l’inadeguatezza culturale del predetto, la quale viceversa evidenziava la sproporzione degli incarichi rispetto alla personalità dell’imputato, contrastante con la consapevolezza delle condotte contestate.

Nessuna manifesta illogicità è tuttavia rilevabile nella motivazione della sentenza impugnata, laddove la stessa desumeva la concreta posizione gestionale degli imputati non solo dalle dichiarazioni dei dipendenti sulla corresponsioni di compensi da parte dei predetti, dato già di per sè tutt’altro che privo di rilievo, ma anche da quanto ulteriormente riferito dal dipendente B. in ordine all’aver egli ricevuto disposizioni da D. C. e dal dati documentali delle sottoscrizioni apposte per quietanza dagli imputati sulle fatture di cui alle imputazioni.

Neppure può ritenersi contraddittoria l’argomentazione dei giudici di merito sull’irrilevanza degli addotti limiti culturali di D.F. nel momento in cui lo stesso aveva coscientemente assunto incarichi amministrativi, fra i quali da ultimo quello di liquidatore. E la non significatività dell’attività lavorativa materiale svolta dagli imputati nell’impresa, in quanto meramente sovrapposta alla posizione gestionale riconosciuta in capo agli stessi, consente di ritenere implicitamente disatteso il relativo argomento difensivo.

3. Infondato è infine il terzo motivo di ricorso, relativo alla qualificazione dei fatti come bancarotta fraudolenta anzichè come bancarotta semplice.

I ricorrenti lamentano che i giudici di merito non abbiano valutato le dichiarazioni del commercialista B., per le quali il disordine contabile era determinato dalla mancata contabilizzazione delle uscite a fronte della registrazione delle fatture in entrata, comportamento contrario ai tipici artifici fraudolenti dell’incremento delle perdite e della riduzione dei ricavi, e non abbiano tenuto conto del richiedere il reato il dolo specifico di non rendere possibile la ricostruzione del movimento degli affari, nella specie non provato e addirittura escluso dalla stessa sentenza impugnata la posizione di D.F., a proposito della quale si faceva riferimento al dolo eventuale.

Quanto a questo secondo aspetto, l’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale, nell’ipotesi contestata nel caso di specie, ha notoriamente natura di dolo generico. Esso pertanto non richiede necessariamente una finalizzazione della condotta all’intenzione di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della fallita; è viceversa sufficiente che l’autore del reato agisca con la consapevolezza che una determinata tenuta della contabilità possa condurre a siffatte conseguenze (Sez. 5 del 25.3.2010, n. 21872, imp. Laudiero, Rv.

247444). Ed in questa prospettiva è evidente come non vi siano ragioni di incompatibilità del dolo eventuale con la struttura della fattispecie (Sez. 5, n. 38712 del 19.6.2008, imp. Prandelli, Rv.

242022).

La motivazione della sentenza impugnata si muove coerentemente nell’ambito di questi principi, desumendo la sussistenza a carico degli imputati dell’elemento psicologico come appena definito dalla consistenza oggettiva dei fatti e dai rilievi del curatore in ordine all’assoluta impossibilità di ricostruire il movimento degli affari della fallita per l’anno 1998, dal conseguimento di tale risultato per l’anno 1997 solo in base all’accertamento dei pagamenti dei crediti e dalla persistente inspiegabiiità della giacenza di cassa di L. 31.000.000 e della dimensione dei ratei passivi; dati ritenuti non illogicamente assorbenti rispetto ai rilievi difensivi.

I ricorsi devono pertanto essere rigettati, seguendone la condanna del ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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