Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-01-2011) 25-05-2011, n. 20972 Trattamento penitenziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con Ordinanza 19.3.2010, depositata il successivo 26.3.2010, il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingevi il reclamo proposto da M.C., detenuto in custodia cautelare in carcere in esecuzione dell’ordinanza 14.6.2007 del GIP del Tribunale di Napoli, notificata il 10.2.2009, per associazione e a delinquere di stampo mafioso perdurante a partire dal 2006, avverso il decreto 21.5.2009 con il quale il Ministro della Giustizia aveva applicato nei suoi confronti, ai sensi della L. n. 354 del 1975, art. 41 bis, comma 2, la sospensione di alcune regole del trattamento con particolare riferimento a quelle relative ai colloqui con i familiari, ai colloqui con i terzi, alla corrispondenza telefonica, alla ricezione di somme di danaro e pacchi all’esterno, alla nomina ed alla partecipazione alle rappresentanze dei detenuti ed alla permanenza all’aperto. Lamentava il detenuto a sostegno del reclamo: 1) che il provvedimento di cui all’art. 41 bis O.P. si fondava solo su una presunzione di pericolosità del M.C. in quanto figlio di G. e fratello di M.F.; 2) che il collaboratore Mi. aveva accusato solo M.G. ed il fratello V. e non anche M.C.:

Riteneva il tribunale, contrariamente agli assunti del reclamante, che l’applicazione del regime differenziato nei confronti del M.C. si fondasse su una esaustiva istruttoria avente quali punti di riferimento l’ordinanza di custodia cautelare intervenuta a suo carico e le informazioni della DDA di Napoli e della DNA. Tutti gli elementi indicati, nel decreto dimostravano, come argomentato dal tribunale, sia la attuale, permanente, operatività sul territorio napoletano della associazione criminale della quale il detenuto fa parte, che il ruolo di responsabilità da lui rivestito, assieme al padre V. ed al fratello F. nell’ambito del clan Mazzarella, ed erano queste circostanze concordemente indicative dell’ancora sussistente suo legame con la associazione e della, conseguente, capacità di mantenere contatti con la stessa in regime di detenzione ordinario.

2.- Avverso l’ordinanza propongono ricorso per Cassazione i difensori di M.C., avvocato Antonio Abet e avvocato Salvatore Impradice assumendo violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea applicazione dell’art. 41 bis O.P.. Con atti di contenuto pressochè coincidente i difensori sostengono che sono apodittiche e superficiali le argomentazioni addotte dal tribunale in ordine alla ritenuta perduranza del vincolo associativo. In particolare il tribunale non indica le ragioni per cui, contrariamene contrariamente a quanto sottolineato dalla difesa, si deve ritenere che sussistono elementi concreti e dati recenti, realmente significativi, da cui si evinca la pericolosità qualificata del detenuto. Il provvedimento si limita ad una lunga disamina di tutti i fatti che coinvolgono la famiglia Mazzarella senza fare mai menzione del ruolo del ricorrente nel sodalizio. La detenzione in regime speciale di tutti i familiari di M.C. invece di ridondare a suo danno, come è secondo la decisione gravata, dovrebbe essere un elemento a suo favore, non avendo lo stesso possibilità di avere rapporti, da molti anni, con gli esponenti di spicco del presunto clan di appartenenza. Nè sono significative le richiamate condanne emesse a seguito del decreto di fermo in data 25.11.2006, per il quale il M. è attualmente a giudizio, infatti si tratta di condanne non definitive e che riguardano posizioni diverse.

Non sono indicati elementi relativamente alla asserita direzione del clan da parte di Ciro dopo l’arresto del padre, si tratta di una presupposizione derivante dal ruolo attribuito al fratello F.. Neppure sono indicati fatti o circostanze che evidenzino l’attuale ed elevata pericolosità del M., mentre non sono valutati elementi di segno contrario indicati dalla difesa, quali l’assenza da Napoli del predetto. Le informative della DNA e della DDA di Napoli, contenenti gli elementi di pretesa attualità, non riguardano M.C. ma, piuttosto, il padre G. ed il fratello, e non dimostrano la sua concreta pericolosità e la persistenza della capacità di mantenere contatti con la rete associati va, ma si limitano a riferire che il gruppo di appartenenza è ancora attivo e che non vi sono sopravvenienze da cui desumere che il ruolo detenuto all’interno del clan sia mutato. In sostanza, lamenta il ricorrente, nel provvedimento impugnato non son indicati nè dati recenti nè fatti realmente significativi e sono state pretermesse circostanze importanti, di segno opposto, indicate dalla difesa quali: la detenzione del M. e il fatto che egli non abbia riportato condanna per il reato di cui all’art. 416 bis..

3.- Il Procuratore Generale presso questa Corte chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.
Motivi della decisione

4.- Il ricorso inammissibile.

L’ordinanza del tribunale di sorveglianza è, infatti, compiutamente e congruamente motivata ed è conforme sia al disposto della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41 bis, comma 2, che ai criteri di interpretazione dello stesso quali delineati dalla giurisprudenza di legittimità. E’ principio di diritto consolidato (ex plurimis Cass., Sez. 1, Sentenza 03/03/2006 – dep. 27/04/2006 – n. 14551, Rv. 233944) che la permanenza dei collegamenti con la associazione criminale, consistente nella concreta possibilità per il condannato di riprendere i vincoli associativi e di continuare ad essere utile alla organizzazione anche all’interno del circuito carcerario ordinario, qualora il regime detentivo differenziato dovesse venire meno, deve essere valutata alla stregua di specifici paramenti quali: il profilo criminale del soggetto in relazione alla sua biografia, alle condanne riportate, alle misure di sicurezza irrogate ed alla eventuale pendenza di procedimenti penali per fatti significativi; la posizione del soggetto nell’ambito della cosca di appartenenza; la operatività o meno del sodalizio criminale di appartenenza; il tenore di vita dei familiari e delle persone vicine al condannato; le informazioni fomite dalle autorità con riguardo anche a notizie recenti in relazioni alla vitalità della cosca ed alla posizione dei parenti e dei sodali del condannato, la capacità di aggregazione di proseliti, l’esame delle eventuali circostanze allegate dal detenuto.

5.- Tutti questi elementi sono stati oggetto di attenta e puntuale verifica da parte del tribunale di sorveglianza in riferimento alle attestazioni ed alle allegazioni del decreto ministeriale di proroga.

Il tribunale con un procedimento di valutazione logico e ancorato ai dati concreti risultanti dagli apporti probatori, ritiene la concreta ed attuale operatività della associazione camorristica e, fa riferimento a numerosi e specifici profili attinenti al ruolo, di primo piano del M.C. nell’ambito della consorteria. I fatti contestati al M. nell’ordinanza i custodia cautelare del GIP del tribunale di Napoli, confermata in sede di riesame, sono di specifica gravità e attengono alla sua posizione di vertice, assieme al padre ed al fratello, nell’associazione camorristica omonima con compiti di organizzazione e direzione. Il suddetto clan, avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo, si è dedicata, a partire dal 2006 e con condotta perdurante, alla commissione di svariati reati contro la persona e contro il patrimonio, ad assicurare l’impunità per gli affiliati ed a perseguire l’affermazione del controllo egemonico su tutto il territorio di Napoli, sia direttamente che attraverso alleanze con i clan Misso, Sarno e di Biasi.

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, unitamente alle intercettazioni telefoniche ed ambientali, sulle quali si è basta l’ordinanza di custodia cautelare, sono state accuratamente vagliate dal Tribunale che ha desunto, da tali fonti di prova, una serie articolata e specifica di elementi, tutti riferibili a M. C., il quale, assieme al fratello F., è costante punto di riferimento per il pagamento degli stipendi agli affiliati, partecipa alle decisioni del clan, è tra le persone di vertice cui fanno capo i proventi del clan, impartisce direttive in merito alle attività del sodalizio, partecipa alle riunioni con i clan alleati, è punto di riferimento, assieme al fratello, sia per le attività di produzione e commercializzazione di CD e DVD contraffati; è, sempre col fratello, il riferimento per i capi zona, è direttamente coinvolto negli scontri armati con le organizzazioni criminali contrapposte e, infine, il suo ruolo di successore del padre, assieme al fratello F., anche nell’esecuzione degli omicidi da questi decisi, è evidenziato dalla chiamata di correità operata da S.F..

6.- I richiami operati dal tribunale alle precedenti vicende giudiziarie relative ai congiunti del detenuto, lungi dall’essere state evocate a impropria ed inconferente conferma della attuale pericolosità dello stesso, come sostenuto in ricorso, costituiscono, invece, nell’ambito della motivazione, l’ineludibile preambolo della successiva individuazione delle condotte per le quali M. C., in prima persona, è divenuto ed è considerato personaggio di spicco, nell’attualità, dell’organizzazione criminale. Nè il tribunale trascura che egli sia stato assente da Napoli, posto che proprio dalla sua latitanza e successiva cattura nella Repubblica Dominicana, trae logico argomento per ritenere confermata tanto la ramificazione all’estero delle attività del clan che la posizione di rispetto riconosciuta al ricorrente nell’ambito dello stesso, visti i supporti, non indifferenti, che egli doveva ricevere dai compartecipi per consentire tale latitanza.

Privi di pregio sono, poi, i rilievi difensivi, relativi alla impossibilità del M.C. di comunicare con i congiunti ristretti in regime di 41 bis O.P., che, al pari del suo attuale stato di detenzione sarebbe da valutare quale concreta prova della non sussistenza della sua capacità di mantenere rapporti e collegamenti; infatti l’attualità del collegamento con l’organizzazione criminale esterna non va confusa con l’attualità dei contatti malavitosi, poichè la specifica, mirata, funzione preventiva dell’ari 41 bis vuole impedire proprio il realizzarsi del collegamento (Cass. Sez. 1,sentenza 20/10/2005 – dep. 07/11/2005 – n. 40220 Rv. 232466).

In conclusione va rilevato che i motivi di ricorso così dedotti, rapportati ai contenuti concreti del decreto impugnato, al di là della qualificazione formale intesa a denunciare inosservanza o erronea applicazione di legge, appaiono, piuttosto, formulati al fine di richiedere, in forme inammissibili in questa sede di legittimità, una sovrapposizione argomentativa non consentita rispetto i contenuti di tale giudizio.

Per le ragioni sopraesposte il ricorso è inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) a favore della Cassa Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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