CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – SENTENZA 29 maggio 2008, n.21839 L’ASSISTENTE DI UN UFFICIO SANITARIO LOCALE FORMA FALSI LIBRETTI DI IDONEITÀ SANITARIA? E’ FALSO IDEOLOGICO IN ATTO PUBBLICO.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto e Diritto

Propone ricorso per cassazione A. G. avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 27 aprile 2007 con la quale è stata confermata la sentenza di primo grado affermativa della sua penale responsabilità per il reato di concorso con B. M., nel reato continuato di falsità materiale e ideologica in atti pubblici, commesso nel 1998.

Il ricorrente era stato accusato di avere, quale funzionario dell’ufficio sanitario locale, formato dei falsi libretti di idoneità sanitaria, nella specie destinati in prevalenza a marittimi in procinto di imbarcarsi, apponendovi le firme contraffatte dei medici pubblici ufficiali e contenenti la attestazione, contraria al vero, che i richiedenti erano stati sottoposti a visita e agli esami clinici propedeutici al rilascio dei libretti stessi.

Deduce:

1) la erronea applicazione dell’art. 479 c.p. in luogo dell’art. 480 c.p..

Ad avviso del ricorrente e sulla base della giurisprudenza della Cassazione civile oltre che amministrativa, il libretto sanitario, regolato dagli artt. 14 l. n. 283 del 1962, 37 dpr n. 237 del 1980 e 5 dpr n. 260 del 1980, sarebbe da qualificare non come atto pubblico ma come certificazione amministrativa o autorizzazione. Essi sono infatti destinati ad autorizzare all’esercizio di attività lavorativa ritenuta "sensibile" e quindi sottoposta a tutela pubblica mediante autorizzazione preventiva all’esercizio. Ne conseguirebbe che il diverso inquadramento farebbe cadere la condotta sotto la falcidia della prescrizione.

La Corte, al riguardo, motivando sulla asserita valutazione autonoma che il sanitario addetto al rilascio del libretto compirebbe, si sarebbe fondata su un elemento di fatto insussistente e contraddetto dalla stessa ricostruzione dei fatti operata a pago 3 della sentenza: ricostruzione in virtù della quale il sanitario sarebbe un controllore di legalità della procedura;

2) il travisamento del fatto riguardante la qualità, attribuita all’A., di pubblico ufficiale, sul falso presupposto che rivestisse la qualità di funzionario, essendo egli soltanto un assistente amministrativo. D’altra parte, nessun elemento di fatto sarebbe stato addotto dalla Corte per supportare la ricostruzione della condotta dell’A. a titolo di concorso con Busco Matteo, effettivamente soggetto dotato della qualifica di pubblico ufficiale.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Come correttamente osservato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, il libretto di idoneità sanitaria ha natura di atto pubblico e non di certificazione o autorizzazione amministrativa.

Al fine di qualificare come certificato amministrativo un atto proveniente da un pubblico ufficiale, devono infatti concorrere due condizioni: che l’atto non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate; che l’atto, pur quando riproduca informazioni desunte da altri atti già documentati, non abbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica, ma si limiti a riprodurre anche gli effetti dell’atto preesistente (rv 207009).

Nella specie il contenuto aggiuntivo dell’atto rispetto al suo tenore riproduttivo dell’esito di analisi precedentemente compiute, consiste, come ancora una volta si desume dalla sentenza, dal fatto che l’ufficiale sanitario compie una autonoma attestazione sullo stato di salute del richiedente. Tanto è imposto dall’art. 37 del Regolamento di esecuzione della l. n. 283 del 1962 (dpr n. 327 del 1980) sulla disciplina igienica della produzione e vendita di sostanze alimentari. Tale norma stabilisce infatti che l’autorità sanitaria competente al rilascio deve compiere previamente una visita medica e prescrivere gli accertamenti idonei a stabilire che il richiedente non sia affetto da una malattia infettiva contagiosa o sia portatore di agenti patogeni.

È indubbio che la interpretazione dell’esito della analisi cliniche e la diagnosi sulla presenza o meno, a carico del richiedente, di una delle situazioni patologiche indicate comportino una valutazione propria del sanitario, valutazione che dunque è prevista ed imposta dalla legge e non rappresenta il frutto di una apodittica affermazione della Corte di merito.

Le citazioni giurisprudenziali effettuate nel ricorso, poi, sono del tutto generiche e l’esame delle sentenze menzionate non ha apportato risultati utili ai fini della presente decisione in punto di natura giuridica del libretto di idoneità sanitaria; in senso contrario risulta che questa Corte si è già espressa nel senso qui accolto, osservando che il libretto sanitario, prescritto dalla legge 30 aprile 1962, n. 260, rientra nella categoria degli atti pubblici, ai sensi dell’art. 476 cod. pen., in quanto le attestazioni in esso contenute promanano direttamente da un pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, ed attestano fatti da lui stesso compiuti (rv 111695).

Per quanto concerne, poi, la configurabilità del reato dal punto di vista del soggetto, ossia in relazione alla qualità del suo autore, si osserva che la decisione non merita censure.

Invero, il ricorrente critica la osservazione della Corte, secondo cui egli avrebbe esercitato una pubblica funzione amministrativa nella qualità di funzionario dell’Ufficio sanitario: in realtà, sostiene la difesa, è in atti la prova che l’A. non rivestiva la qualifica di funzionario ma di semplice assistente.

Tale censura non è però idonea ad inficiare il costrutto accusatorio.

Se è vero che il passaggio della sentenza impugnata riguardante la questione in esame è proprio quello oggetto di censura, è anche vero che l’affermazione della Corte non esaurisce la intera gamma dei requisiti rilevanti per la individuazione del "pubblico ufficiale".

Infatti il legislatore, con la novella del 1990, ha ridisegnato la nozione di pubblico ufficiale di cui all’art. 357 cp ispirandosi alla concezione oggettiva e cioè abbandonando il riferimento al rapporto di dipendenza del soggetto con un ente pubblico e alle sue caratteristiche. Ciò che rileva è lo svolgimento in concreto della pubblica funzione o del pubblico servizio.

Come sottolineato anche dalle Sezioni unite, al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica funzione, è necessario verificare se essa sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, distinguendosi poi – nell’ambito dell’attività definita pubblica sulla base di detto parametro oggettivo – la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza (nell’una) o la mancanza (nell’altro) dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal secondo comma dell’art. 357 predetto (rv 211190).

Da ciò discende che l’inquadramento lavorativo dell’A. come assistente anziché come funzionario di per sé non rappresenta una censura decisiva per la semplice ragione che, come detto, la qualifica lavorativa da sola non dimostra la idoneità o meno del soggetto legato all’ente da un rapporto di diritto pubblico, a svolgere in concreto poteri autoritativi o certificativi e a partecipare alla formazione della volontà dell’ente.

È vero invece che l’affermazione della Corte si lega alle osservazioni contenute nella sentenza di primo grado secondo cui l’A. era addetto all’Ufficio competente al rilascio dei libretti sanitari – Ufficio di cui sembra fosse responsabile il coimputato B. – con funzioni di compilatore materiale dei libretti e spesso di dirigente in assenza del titolare (v. sentenza I grado sub posizioni di B., Casentino e A.).

La sua attività rientrava dunque nel paradigma dell’art. 357 comma 2 cpp.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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