Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-01-2011) 25-05-2011, n. 20938

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- All’esito di giudizio abbreviato c.d. incondizionato il g.u.p. del Tribunale di Messina con sentenza in data 24.11.2008, ritenute acquisite in corso di indagini univoche e convincenti prove della penale responsabilità dei tre imputati, ha dichiarato T. M. colpevole del reato di: a) partecipazione all’associazione mafiosa aggravata attiva nel quartiere (OMISSIS) della città e diretta da M.G., condannato all’ergastolo e in stato di temporaneo differimento della pena in regime di sorveglianza speciale a (OMISSIS) (capo A della rubrica); nonchè dei reati fine dell’associazione, tutti aggravati da modalità e finalità mafiose ( L. n. 203 del 1991, art. 7), di concorso: b) in tentata estorsione aggravata continuata in danno dei fratelli P.N. e P.D., gestori della società Messina Scavi s.n.c. e in incendio ex art. 424 c.p. di tre veicoli della detta società Messina Scavi e di una vettura Mercedes di P.D. (capi C e D della rubrica);

c) in estorsione aggravata continuata in pregiudizio degli imprenditori edili D.S.R. e S.G. (capo F della rubrica); d) in estorsione aggravata continuata in pregiudizio dell’imprenditore edile B.R. (capo G della rubrica); c) in tentata estorsione aggravata in danno di A. P., titolare di una impresa di panificazione denominata (capo M della rubrica); f) del reato, infine, a titolo individuale di illecita detenzione per fini di vendita di sostanza stupefacente del tipo cocaina del complessivo costo di Euro 1.100,00 (capo T della rubrica). Unificati i reati sotto il vincolo della continuazione e computato nel calcolo l’incremento per la contestata recidiva qualificata ex art. 99 c.p., commi 4 e 5, il g.u.p. ha condannato il T. alla pena di dieci anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 2.200,00 di multa.

Con la stessa sentenza il g.u.p. del Tribunale di Messina ha dichiarato i coniugi C.R.G. e T. D. colpevoli dei reati di favoreggiamento personale e di procurata inosservanza di pena (capi U e V della rubrica) per avere entrambi aiutato M.G. a sottrarsi alle ricerche dell’autorità a seguito dell’ordinanza cautelare emessa nei suoi confronti per i fatti criminosi collegati al gruppo mafioso da lui diretto nonchè dell’ordine di carcerazione per fini espiativi emesso nei suoi confronti dal competente p.m., ospitando il M. e la sua convivente ( R.F.) dal (OMISSIS) in una loro abitazione in provincia di (OMISSIS) ed assicurando agli stessi assistenza logistica. Unificati i due reati ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p. ed esclusa l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, il g.u.p. ha condannato – concesse le attenuanti generiche alla sola Tr. – il C. alla pena di tre anni di reclusione e la Tr. alla pena sospesa di un anno e otto mesi di reclusione.

2.- Giudicando sulle impugnazioni dei tre imputati, deducenti l’asserita fragilità degli elementi di accusa delineantisi nei loro confronti, la Corte di Appello di Messina con la sentenza del 22.1.2010 richiamata in epigrafe -previa parziale rinnovazione istruttoria (per l’acquisizione dei verbali di fonoregistrazione delle udienze del processo principale e di un memoriale del T., dichiaratosi partecipe della sola estorsione ai danni del panettiere A. e della detenzione per fini di spaccio di 15 grammi di cocaina) – ha respinto, in punto di responsabilità, gli appelli dei tre imputati, ritenendo di condividere la ricostruzione storica e valutativa dei fatti criminosi sviluppata dalla sentenza di primo grado. La Corte territoriale ha soltanto ridotto la pena inflitta al T., fissandola in nove anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 2.200,00 di multa.

Col supporto del tessuto narrativo delle due decisioni di merito, che vanno lette congiuntamente, costituendo un unitario ed inscindibile compendio probatorio e valutativo (avuto anche riguardo al riproporsi in secondo grado di argomenti difensivi già prospettati dagli imputati al primo giudice), i fatti reato contestati, compiuti dalla metà del (OMISSIS) sino alla fine del (OMISSIS) ed in linea di massima coincidenti con la temporanea permanenza a (OMISSIS) da M. G. (resosi latitante nel settembre 2007), sono agevolmente ripercorribili.

Tornato a (OMISSIS) dopo la sua detenzione nel Nord Italia (per differita esecuzione di pena) il M., attinto da numerose condanne per gravi reati commessi nel quadro del suo risalente ruolo di esponente della mafia messinese, sancito – come ampiamente puntualizza la sentenza di primo grado – da più procedimenti svoltisi nei suoi confronti, riprende a svolgere l’attività estorsiva che gli è connaturale, avvalendosi di una cerchia ristretta ma affidabile di vecchi sodali e di propri familiari (il cognato R.G. e la stessa convivente R.F.), tra i quali si inserisce, con ruolo non secondario, T.M..

La consumazione dei fatti estorsivi contestati (due estorsioni mafiose consumate e due estorsioni mafiose tentate) è oggettivamente conclamata, in uno alla partecipazione criminosa agli stessi prestata dal T., dalle conversazioni telefoniche e ambientali registrate in corso di indagini e dai concomitanti servizi di riscontro e osservazione svolti dalla p.g. Tra i dialoghi intercettati si inscrivono, quali elementi di sicuro supporto probatorio alle vicende che integrano la regiudicanda, più conversazioni avvenute tra le vittime delle intimidazioni estorsive dei coimputati e segnatamente quelle intercorse tra P. N. e D.S.R., reciprocamente dolentisi delle sopraffattone pretese di natura economica avanzate dal M. e dai suoi accoliti. A ciò aggiungendosi le denunce dei gravi danneggiamenti subiti presentate dai fratelli P..

Con riguardo alla posizione del T. il suo ruolo di concorrente nel sodalizio mafioso e nei connessi episodi estorsivi è fatto palese, ad avviso dei giudici di merito:

a) dalla sua attiva presenza ad un incontro (conversazione) svoltosi a casa del M. il (OMISSIS), avente natura "programmatica", in funzione delle operazioni criminose da attuare (estorsioni); incontro in cui il T. interviene con suggerimenti e indicazioni operative, che attestano i suoi stretti rapporti con il M. e R.G. in vista di azioni criminali di comune interesse associativo;

b) nella sua partecipazione insieme al M. a due incontri presso un ristorante in cui il M. ha "convocato" gli imprenditori P.N., B. e D.S. per rivolgere loro le proprie richieste-imposizioni di tangenti, alle quali il T. offre il proprio personale supporto a fini "persuasivi";

c) dalla conversazione ambientale captata presso la dimora del M. (il (OMISSIS)), dalla quale si evince che il panificatore A. è stato indicato al M. e agli altri associati dal T. quale vittima di una potenziale estorsione (poi in concreto attuata a livello tentato); evenienza ammessa, per altro, dallo stesso T.;

d) quanto all’illecita detenzione di droga per finalità di spaccio ascritta al prevenuto, da una intercettata conversazione tra il M., il R. e lo stesso T., che del resto ha ammesso – sia pure in termini riduttivi – l’addebito.

Per quel che attiene alle condotte criminose favoreggiatrici della latitanza e della sottrazione alla pena del M. poste in essere dal C. e dalla Tr., la concorrente responsabilità dei due coniugi è accreditata dal contenuto larvatamente criptico delle conversazioni intercorse tra i due nel settembre 2007, dimostrative della loro comune consapevolezza del ruolo criminoso del M. e del suo proposito di sottrarsi alle ricerche per finalità cautelari ed espiative (sentenza di appello, p. 16: "Costoro, come emerge chiaramente dal linguaggio volutamente criptico e velato utilizzato dalla coppia, avevano assunto l’oneroso compito di prestare assistenza e ospitalità, del tutto ingiustificata, a un notissimo ergastolano, le cui vicende processuali erano da anni assurte anche all’onore delle cronache nazionali e del quale non potevano ignorare lo stato di latitanza").

3.- Avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina hanno proposto, mediante i rispettivi difensori, ricorsi per cassazione i tre imputati, denunciando vizi, disgiunti o congiunti, di violazione di legge e di difetto e illogicità della motivazione come di seguito illustrati per gli effetti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Ricorso di T.M..

1. La sentenza di secondo grado è priva di effettiva motivazione, poichè si richiama per intero alla ricostruzione storica e sequenziale dei fatti compiuta dalla sentenza di primo grado senza un peculiare approfondimento di temi rilevanti e delle deduzioni formulate con l’atto di appello. I giudici di secondo grado si astengono dal soffermarsi sulla reale esistenza dell’associazione mafiosa facente capo al M. e sull’adesione alla stessa del T., limitandosi a rinviare per relationem alla decisione del g.u.p. del Tribunale. Ma con tale tecnica argomentativa la Corte di Appello elude l’obbligo di chiarire quale effettivo contributo criminoso sia stato offerto dal ricorrente ai fatti criminosi, tenuto conto della labilità degli elementi probatori. Tra l’altro i giudici di appello, pur avendo ritenuto di acquisire i verbali di fonoregistrazione delle udienze del procedimento principale (contro M. e altri), si astengono da qualsiasi commento in ordine alle modalità di svolgimento delle due cene/incontri nel ristorante (OMISSIS), cui ha preso parte l’imputato insieme al M. e ad alcuni imprenditori locali, i verbali in parola ben potendo dimostrare l’irrilevanza della partecipazione criminosa nelle vicende estorsive (oltre che nell’associazione mafiosa) contestata al ricorrente.

Con motivi nuovi (depositati il 20.12.2010) si formulano due subordinate censure.

2. Violazione di legge in riferimento alla erroneità del calcolo della pena per la contestata recidiva, il cui aumento i giudici di appello reputano "obbligatorio", ciò che è previsto soltanto per la particolare recidiva di cui all’art. 99 c.p., comma 5, ma non anche per la recidiva reiterata ex art. 99 c.p., comma 4, quale quella contestata al T., di guisa che l’incremento della sanzione allo stesso applicabile deve ritenersi "facoltativo". 3. Difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, di cui il ricorrente avrebbe potuto beneficiare se non altro in ragione della marginalità del suo ruolo criminoso in seno al sodalizio mafioso e nella commissione dei reati fine. La Corte di Appello richiama la gravità dei fatti reato e i precedenti penali dell’imputato, profilo – quest’ultimo – che deve considerarsi assorbito nella contestata e valutata recidiva.

Ricorsi di C.R.G. e Tr.Do..

Con unitario atto di impugnazione sono enunciati quattro motivi di doglianza in tutto o in parte comuni ai due imputati.

1. Carenza o insufficienza di motivazione in merito all’effettivo riconoscimento della voce di M.G. che, secondo i risultati delle indagini preliminari, è possibile cogliere in sottofondo nel corso di più intercettate conversazioni dei due ricorrenti. Mancano dati di certezza scientifica per ritenere dimostrata l’identificazione vocale del M. e tale evenienza riveste peculiare importanza, poichè rappresenta il solo elemento di prova su cui è fondata la condotta favoreggiatrice dei due imputati.

2. Difetto di motivazione sulla addotta erroneità del confermato aumento di pena per la recidiva applicato dal g.u.p. al C. in misura di due terzi della individuata pena base e non della metà, come previsto dalla prima parte dell’art. 99 c.p., comma 4. 3. Carenza di motivazione nella determinazione della pena, laddove i giudici di merito (confermata sentenza del g.u.p.) operano un generico riferimento ai precedenti penali dei due imputati, sebbene la Tr. sia persona del tutto incensurata.

4. Carenza o insufficienza di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del dolo dei contestati reati di favoreggiamento personale, che è ravvisabile soltanto ove si dimostri che il soggetto agente abbia agito nella consapevolezza della commissione di un reato da parte della persona aiutata e del suo intento di sottrarsi alle ricerche dell’autorità. La sentenza impugnata si limita a far leva, apoditticamente, sulla "caratura" criminale del M. che i due imputati non avrebbero potuto ignorare. Ma il Mule nel caso specifico si è limitato a commettere il semplice reato di elusione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale.

Reato non certo di agevole cognizione per chi ignori l’anteriore sottoposizione a tale misura del soggetto "favorito". 6.- I tre ricorsi degli imputati vanno respinti per l’infondatezza (in alcuni casi manifesta) dei motivi di critica proposti a loro sostegno ovvero per loro indeducibilità.

Ribadito che, al di là della puntuale motivazione della sentenza di appello, il giudice di legittimità -ai fini del vaglio di congruità e completezza della motivazione del provvedimento impugnato – deve fare riferimento sia alla sentenza di primo grado che alla sentenza di secondo grado, è il caso di evidenziare -in rapporto alle critiche più o meno espresse dei tre ricorrenti- che pienamente legittimi si prospettano i passaggi della motivazione della sentenza di appello che si richiamano per relationem alla decisione di primo grado (nel caso di specie segnatamente per quel che concerne l’estesa motivazione sulla sussistenza dell’associazione mafiosa di cui è stato ritenuto partecipe T.M.). In vero la sentenza impugnata dimostra in tutta evidenza di aver preso piena cognizione delle ragioni di critica dei tre imputati e di averne compiuto un autonomo vaglio, all’esito del quale sono state motivatamente condivise le analisi e le considerazioni già enucleate dal giudice di primo grado.

7.- Ricorso di T.M..

1. L’unitario e articolato motivo di censura dell’originario ricorso del T. è destituito di pregio sino a lambire i contorni della inammissibilità per la assertiva riproduzione degli omologhi motivi di gravame (pur presi in esame dai giudici di appello) e per l’improponibile rivisitazione, per più versi, degli elementi di fatto che sostanziano il compendio probatorio involgente la posizione processuale del ricorrente.

La decisione della Corte peloritana ha posto l’accento, infatti, sulle conversazioni captate in corso di indagini, riportandone i brani più significativi, e sul valore rappresentativo dei comportamenti criminosi dell’imputato in rapporto a tutti i reati ascrittigli, di cui è stato ritenuto a pieno titolo partecipe (perfino compiaciuto del proprio ruolo, come si precisa nella sentenza di primo grado). La totale adesione dell’imputato ai progetti criminosi del sodalizio mafioso guidato dal M. è motivatamente argomentata attraverso la disamina dei contribuiti conoscitivi e operativi offerti ai suoi sodali dal T. (fatti palesi dalle intercettazioni) e dal suo personale intervento nello "spalleggiare" il M. in occasione delle "cene" da costui organizzate con la coattiva presenza degli imprenditori selezionati, anche grazie al contributo di T., come vittime di richieste di tangenti o comunque di indebite erogazioni pecuniarie. E il valore, tutt’altro che marginale, della funzione criminale svolta dal T. è inequivocamente surrogato dai ricordati dialoghi tra gli imprenditori sottoposti a minacce estorsive e dalle conversazioni in cui proprio il ricorrente risulta avere individuato, per le sue maggiori disponibilità finanziarie, il panificatore A. quale soggetto predestinato ad una ulteriore operazione estorsiva mafiosa.

2. Premesso che i motivi c.d. nuovi non hanno specifica attinenza con le ragioni poste a corredo del ricorso originario, sì da rendersi indeducibili, è agevole rimarcare l’infondatezza manifesta del rilievo attinente alla supposta erroneità del computo sanzionatorio applicato per la recidiva contestata al ricorrente. La Corte territoriale ha unicamente osservato che – in rapporto alla "ritenuta" recidiva contestata all’imputato ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 4 – l’aumento della pena base diviene "obbligatorio" in riferimento al titolo dei reati ascritti, oggettivamente ricadenti – come precisa la sentenza di primo grado- tra quelli previsti dall’art. 99 c.p., comma 5 in riferimento all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a).

Come chiarito in precedenza, infatti, al T. sono attribuiti il reato di associazione mafiosa e reati fine aggravati tutti dalla mafiosità, ontologica o finalistica delle condotte illecite, ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7. 3. Indeducibile è il lamentato diniego delle attenuanti generiche, la doglianza investendo un profilo della regiudicanda, quale quello del trattamento sanzionatorio nel suo complesso che è riservato all’esclusivo apprezzamento discrezionale del giudice di merito.

Apprezzamento non scrutinabile in sede di legittimità, quando sia sorretto da congrua e non illogica motivazione, come deve constatarsi per quella espressa dalla impugnata decisione (che richiama l’intrinseca gravità dei farti criminosi per cui è intervenuta condanna e la personalità antisociale del ricorrente descritta dai suoi precedenti penali).

8.- Ricorsi di C.R.G. e Tr.Do..

1. Il primo motivo di censura sui dubbi emergenti in ordine alla identificazione della voce del M., quale della persona "ospite" dei coniugi C. – Tr. in una loro casa di (OMISSIS), è infondato. La sentenza della Corte di Appello peloritana ha evidenziato come nessun dubbio possa nutrirsi in ordine alla identificazione del M. con il personaggio "aiutato" (in uno alla sua convivente) dai due ricorrenti, segnalando che il M. è in auto in compagnia dell’originario coimputato Ma.Gi. (col quale è videoripreso allontanarsi in auto dalla sua abitazione messinese) la sera del (OMISSIS), quando il Ma. contatta più volte telefonicamente il C. per farsi indicare il luogo di incontro al fine di raggiungere il rifugio da costui offerto a (OMISSIS). D’altro canto a tale oggettiva evenienza si sovrappone la sicurezza del riconoscimento delle voci del M. e della sua convivente percepite, in sottofondo alle diverse conversazioni intercettate, dai carabinieri operanti. Dato fattuale di sicura rilevanza probatoria, quando si tenga conto della piena attendibilità dei militari operanti senz’altro in grado di riconoscere le voci dei dialoganti non fosse altro che per il gran numero di conversazione ascoltate in cui risulta intervenire in prima persona il M. (cfr., ex plurimis: Cass. Sez. 1,6.3.2007 n. 22722, P.G. in proc. Grande Aracri, rv. 236763), e senz’altro utilizzabile a fini derisori, essendosi proceduto al giudizio nelle forme del rito abbreviato c.d. puro.

2. Privo di pregio e frutto di palese errore prospettico del comune ricorso dei due imputati è il quarto motivo di critica in merito alla mancata dimostrazione della consapevolezza da parte del C. e della Tr. della condizione di ricercato del M. (supposto difetto dell’elemento soggettivo del reato), che è confusa con la posizione di chi si sottragga alle ricerche dopo la commissione di uno specifico reato e non a provvedimenti coercitivi emessi a suo carico per ragioni di natura cautelare o per fini di esecuzione di pena irrevocabile. A buon titolo la sentenza impugnata focalizza l’attenzione sulle cautele discorsive con cui i due coniugi si comunicano le diverse esigenze (anche alimentari) del loro ospite e sulla non disconoscibile "caratura" criminale del personaggio (ben noto esponente di spicco della mafia della Sicilia orientale), tale da non ingenerare dubbio alcuno sul carattere illecito dell’aiuto che entrambi gli stanno fornendo. Puntualmente la sentenza impugnata evoca diverse decisioni di legittimità che confortano tale assunto deduttivo (cfr., fra le molte: Cass. Sez. 6, 26.11.2009 n. 2533/10, Gariffo, rv. 245702: "In tema di procurata inosservanza di pena, la, prova circa la consapevolezza dell’imputato di agevolare l’autore di un reato a sottrarsi (all’esecuzione della pena può fondarsi sulla notorietà della caratura criminale del soggetto favorito nonchè sul fatto che egli sia stato condannato per tale reato e che si sia reso latitante").

3. Manifestamente infondata, perchè erronea, è la censura relativa all’ipotizzato incongruo aumento della pena inflitta al C. per effetto della contestata recidiva qualificata, operato in misura di due terzi e non in misura della metà ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 4, prima parte. Dal certificato penale alla data del 7.9.2009 versato in atti si evince che il C. ha riportato complessive sette condanne, di cui quattro per delitti e tre per la contravvenzione di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9, l’ultima delle quali pronunciata il 18.8.2008 con decreto penale. Ne consegue che congruamente è stata contestata al C., come da imputazione, la "recidiva plurireiterata". Con tale dizione intendendosi la recidiva qualificata di cui alla seconda parte dell’art. 99 c.p., comma 4, determinante un aumento sanzionatorio pari ai due terzi della individuata pena base equivalente a quello applicato dalla confermata sentenza di primo grado.

4. Generico e indeducibile è il rilievo sulla non corretta applicazione dell’art. 133 c.p. ai fini della determinazione delle pene inflitte ai due ricorrenti. Diversamente da quanto si adduce in ricorso, il giudice di primo grado (la cui statuizione sanzionatoria è stata confermata dalla sentenza di appello perchè reputata adeguata al disvalore sociale dei contegni criminosi dei due imputati) ha specificamente valutato la diversa posizione della Tr. (rispetto a quella del marito e del T.), tanto da ritenerla meritevole delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena per il suo stato di incensuratezza e per la connessa favorevole prognosi comportamentale formulabile nei confronti della donna.

Al rigetto delle tre impugnazioni segue per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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