Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-05-2011) 26-05-2011, n. 21298 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

. Abbate chiedeva l’accoglimento dei motivi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame di Ancona rigettava il ricorso presentato da P.G. in relazione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa per il reato di concorso in sequestro di persona e omicidio volontario di L.D., avvenuto con sevizie.

Osservava che il coinvolgimento della donna era avvenuto all’interno di una faida tra spacciatori tunisini dai quali si riforniva di stupefacenti ed era consistito nell’utilizzare la donna per attirare la vittima nella trappola. Infatti costei, usando un falso nome, aveva contattato telefonicamente L. per fissare un appuntamento fittizio per l’acquisto di droga, mentre invece all’appuntamento vi sarebbero stati i componenti della banda avversa per dargli una lezione. Tale circostanza era stata riferita da tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, tranne che dall’indagata e dal suo fidanzato, avendo sostenuto che lei non conosceva i veri motivi della convocazione del L. e che aveva effettivamente bisogno di acquistare droga. Secondo il tribunale già questo comportamento era sufficiente per individuare a carico della indagata i gravi indizi del concorso nei reati contestati, ma sussistevano anche elementi ulteriori dai quali emergeva che il suo ruolo non era stato solo quello di esca consapevole ma anche quello di esecutrice materiale;

sulla auto da lei occupata era stato caricato a forza la vittima ed inoltre lei era rimasta sul luogo fino alla fine dell’aggressione, mentre non appariva credibile che i due fidanzati non fossero potuti andar via, solo perchè erano rimasti imbottigliati da altra macchina sopraggiunta. Sussisteva poi la deposizione del tutto disinteressata di D.C.M. la quale non conosceva l’indagata, ma avendo telefonato al suo spacciatore proprio mentre era in esecuzione l’omicidio, costui le aveva passato l’indagata che parlava italiano allo scopo di farle raccontare in diretta cosa stessero facendo e così aveva appreso dalla voce dell’indagata che stavano uccidendo un soggetto e che gli aveva infetto una coltellata perchè se lo meritava; conferma a tale dichiarazione giungeva anche dal teste C. che si trovava con la D.C. in occasione di una di tali telefonate. Sempre da tali dichiarazioni emergeva che la donna avrebbe avuto in cambio della sua collaborazione con la banda droga ed il denaro custodito nella tasca della vittima. Il Tribunale riteneva che sussistessero le esigenze cautelari del pericolo di fuga, visto che il giorno dopo il fatto si era data alla fuga alla vista dei carabinieri, il pericolo di inquinamento probatorio essendosi adoperata per ripulire l’auto dalle tracce di sangue lasciate dalla vittima e il pericolo di recidiva avendo commesso il fatto per solidarietà con gli spacciatori e per procurarsi la dose per uso personale, a nulla rilevando la giovane età e il fatto che vivesse in una famiglia agiata. L’unica misura idonea era quindi la custodia in carcere.

Avverso la decisione presentava ricorso l’indagata e deduceva nullità dell’ordinanza per violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione per aver omesso di pronunciarsi sull’omesso invio del verbale di interrogatorio di un coindagato che costituiva elemento sopravvenuto favorevole all’indagata, inoltre per aver omesso di valutare nella loro interezza le dichiarazioni rese dai coindagati utilizzando solo alcune frasi senza rilevare che nessuno di loro aveva coinvolto la donna nella vicenda. La ragazza infatti aveva come unico scopo quello di comprare eroina e aveva fatto la telefonata solo per questo senza neppure immaginare cosa gli altri avessero in animo di fare e rimanendo testimone passiva dei fatti; risibile era stato l’utilizzo delle deposizioni della D. C. e del C. in assoluto contrasto tra loro e del tutto inverosimili sul coinvolgimento della indagata nel fatto di sangue. Ne discendeva che non sussistevano i gravi indizi di colpevolezza e neppure le esigenze cautelari, visto che l’indagata era stata arrestata a casa sua e non vi era prova di una sua fuga, che l’aver aiutato il fidanzato a lavare l’auto non determinava alcun pericolo di inquinamento probatorio, e che la sua personalità di ragazza tossicodipendente ma estranea ad ambienti criminali non provava il pericolo di recidiva. La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato per la sua infondatezza. La circostanza dedotta dell’omessa trasmissione del verbale di interrogatorio di un coindagato a lei favorevole, non tiene conto di quanto descritto nel verbale dell’udienza e cioè che di fronte alla richiesta il P.M. aveva dichiarato di non essere ancora entrato in possesso di quell’atto e quindi non si trattava di un documento del quale poteva tenere conto il tribunale del riesame. Qualora quel verbale avesse contenuto elementi nuovi e rilevanti il difensore avrebbe potuto utilizzarlo in seguito una volta che era stato acquisito agli atti, inoltrando una nuova richiesta al GIP. Inoltre la deduzione era del tutto generica non indicando i motivi per i quali tale verbale sarebbe stato a favore dell’indagata; infatti la giurisprudenza di legittimità ha sempre affermato che l’interrogatorio di garanzia non è in se un atto favorevole all’indagato, ma può acquisire detta valenza solo quando venga specificamente indicata nel ricorso al tribunale del riesame (Sez. 6, 3 febbraio 2004 n. 12257, rv. 228469).

Tutti gli altri motivi attengono ad una diversa valutazione degli elementi di fatto raccolti nel corso delle indagini fino a questo momento eseguite, operazione preclusa davanti al giudice di legittimità, visto che le argomentazioni utilizzate nell’ordinanza appaiono logiche, congrue e aderenti ai fatti di causa. Infatti neppure la difesa nega che l’indagata sia stata l’autrice della telefonata che aveva attirato la vittima nell’agguato, e che sia rimasta presente all’aggressione fino alla fine caricando sull’auto in uso a lei e al fidanzato la vittima. Senza contare la rilevanza indiziante delle dichiarazioni rese dalla D.C. che ha rappresentato un colloquio che, per la sua crudezza, appare veramente difficile inventare.

Si tratta di elementi idonei allo stato a configurare i gravi indizi di un pieno coinvolgimento nel fatto omicidiario, e che costituiscono una solida base per individuare anche la sussistenza dell’esigenza cautelare del concreto pericolo di reiterazione di episodi criminosi, tenuto conto del legame di fatto dimostrato con ambienti criminali di inusitato spessore, nonchè del pericolo di fuga alla luce del comportamento tenuto il girono dopo il delitto.

La ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condannala ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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