Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-05-2011) 26-05-2011, n. 21292 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame di Napoli confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di E.A. e C.V., il primo quale partecipe e il secondo quale mandante, dell’omicidio di F.D. avvenuto nel 2004.

Osservava che all’attuale procedimento si era giunti, dopo alcuni anni dal fatto, grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e che non era necessario in quella sede riesaminare la loro attendibilità intrinseca visto che i motivi di riesame non la avevano posta in dubbio e quindi richiamava interamente l’ordinanza impositiva.

In particolare D.A., esecutore materiale, aveva riferito che l’omicidio era maturato nell’ambito della faida conseguente all’uccisione del capo clan C.P. e che l’azione aveva avuto come obiettivo quello di eliminare uno dei componenti del clan rivale facente capo al D.B.. Aveva riferito che C.V., fratello dalla vittima, aveva partecipato agli incontri che si erano svolti a fine anno 2003 per programmare la ritorsione e che si erano fatti i nomi di tre possibili obiettivi.

Aveva poi aggiunto che la programmazione dell’omicidio prevedeva che E.A., spacciatore per conto del clan, avvertisse gli esecutori quando uno degli obiettivi si fosse presentato per acquistare la droga e che il giorno del fatto aveva chiamato per avvertire che, invece di uno dei tre obiettivi individuati, si era presentato il F. e aveva chiesto se andava bene comunque che venisse ucciso. Il boss M. interpellato aveva detto che anche il F. andava bene come vittima e così l’agguato era stato eseguito nei suoi confronti. Il collaboratore D.G.P. aveva riferito, de relato dagli esecutori materiali, che l’omicidio era avvenuto per ritorsione all’uccisione di C.P., che i mandanti erano M. e C.V. e che nell’esecuzione si erano avvalsi di uno "specchiettista" cioè di uno che doveva avvertire quando arrivava la vittima.

Il collaboratore G.A. aveva riferito che la vittima si trovava sul luogo dell’omicidio perchè doveva acquistato droga da E., e che il gruppo non lo gradiva perchè non pagava mai i suoi acquisti.

Il collaboratore M.G., mandante dell’omicidio, aveva confermato il racconto di D. sui mandanti, sugli esecutori e sul movente, aveva ammesso di avere concordato con la proposta fatta da altri. Aveva riferito che C.V. aveva avuto il ruolo di organizzatore, che E. era lo spacciatore per conto di C. e che presso di lui si recavano molti acquirenti anche della banda avversa. Sapeva che tra questi vi era il F., il quale per altro non pagava, e che E. in più occasioni si era lamentato di questo ed aveva chiesto la sua eliminazione; per questi motivi vi era stato in passato un tentativo di ucciderlo non andato a buon fine. Aveva poi precisato che il mancato pagamento della droga era stato solo l’elemento scatenante dell’omicidio, mentre la causale era stata quella della vendetta per l’omicidio di C. P..

Il tribunale osservava che, oltre a queste dichiarazioni, nel dibattimento contro gli esecutori materiali, vi erano state dichiarazioni di imputati non collaboratori i quali avevano in tutto o in parte escluso la partecipazione ai fatti dei due attuali indagati, ma il loro rilievo era minimo, visto che la loro attendibilità non era stata accertata.

Di contro, le chiamate in correità a carico di C. erano del tutto corrispondenti tra loro e sorrette da una evidente e provata causale; la circostanza che nella fase esecutiva fosse mutato l’obiettivo dell’agguato, nel senso che ad acquistare lo stupefacente si era presentato F. e non uno degli altri tre indicati nella riunione operativa, non escludeva la sua responsabilità, in quanto si era trattato della logica esecuzione di un accordo iniziale, avente ad oggetto l’uccisione di un appartenente alla banda avversa.

In relazione alla posizione di E. le uniche incongruenze riguardavano il fatto che egli avesse anche un movente personale per uccidere F., il fatto che non gli pagava lo stupefacente acquistato, ma questo nulla toglieva alla sua piena responsabilità in relazione al ruolo di "specchiettista" che gli era stato attribuito proprio perchè si era deciso di utilizzare come vittima un acquirente di droga. Le diversità di particolari riferiti dai collaboratori sulle modalità con le quali aveva comunicato, se per telefono o recandosi in luogo, non erano in grado di minare il nucleo del loro narrato che lo aveva individuato come uno dei partecipanti alla fase esecutiva.

Il delitto era aggravato dalle modalità mafiose ed era stato portato a termine grazie alla capacità criminale del gruppo e, nonostante il tempo decorso dal fatto, l’unica misura applicabile era la custodia in carcere per impedire la realizzazione di reati della stessa specie e di criminalità organizzata.

Avverso la decisione presentavano ricorso gli indagati e deducevano:

quanto a C. la nullità dell’ordinanza per omessa valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, individuati nelle dichiarazioni di collaboratori senza prima avere sottoposo al vaglio di attendibilità tutte le loro dichiarazioni e non solo quelle relative all’indagato e senza curarsi dell’esistenza di riscontri esterni ed individualizzanti; la mancanza di riscontri era stata superata col meccanismo del riscontro incrociato di alcune chiamate in correità, senza però curarsi di rinvenire riscontri estrinseci e individualizzanti; non erano state superate le insanabili discrasie sulla causale dell’omicidio, sulle dichiarazioni degli esecutori materiali che avevano escluso la sua responsabilità e sulla circostanza che l’obiettivo della ritorsione era mutato e che la vittima finale era stata persona del tutto diversa da quelle originariamente individuate; non vi era stata adeguata motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari tenuto conto della distanza temporale dai fatti;

quanto ad E. violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla individuazione dei gravi indizi ravvisati esclusivamente in chiamate in correità prive di riscontri estemi e soprattutto oggetto di travisamento della prova visto che le dichiarazioni di D. e M. sull’indagato erano in contrasto e quindi inattendibili; D. infatti aveva riferito in vari interrogatori diverse modalità esecutive dell’agguato e soprattutto modalità contrastanti con quanto affermato dai testi oculari, non aveva mai riferito che in passato vi era stato un tentativo di uccidere proprio il F. perchè non pagava la droga che acquistava; M. aveva riferito di condotte dell’indagato del tutto diverse da quelle di D. ed in particolare che costui si sarebbe presentato sul luogo in cui si trovavano i killers per assicurarsi che fosse tutto pronto per uccidere F.; non si era dato atto che dai tabulati telefonici acquisiti era emerso che nessun contatto telefonico vi era stato tra E. e F. quel giorno; non si era dato alcun rilievo alla circostanza che la teste oculare aveva descritto altre modalità esecutive dell’omicidio e che i tre esecutori materiali avevano escluso la partecipazione al fatto dell’indagato. La Corte ritiene che i ricorsi debbano essere rigettati.

La questione dell’omessa analisi dell’attendibilità dei collaboratori, sollevata con memorie davanti al tribunale della libertà, deve essere rigettata in quanto i motivi avevano ad oggetto la attendibilità estrinseca cioè i contrasti del loro narrato, e su questi aspetti il tribunale aveva ampiamente risposto; inoltre il richiamo alla motivazione contenuta sul punto nella ordinanza impositiva della misura era idonea a configurare una adeguata risposta.

I gravi indizi per ambedue i ricorrenti sono costituiti dalle dichiarazioni di D. e M., ambedue correi in relazione all’omicidio di F.. La ricostruzione del movente è del tutto unitaria in quanto per ambedue quello principale è costituito dalla vendetta per l’omicidio del capo clan C.P. e rientra nella logica di tali gruppi criminali individuare l’oggetto della vendetta senza prestare alcuna considerazione alla individuazione della vittima, che può essere indifferentemente l’una o l’altra persona fisica. Pertanto, una volta partito l’ordine di uccidere non aveva grande importanza chi materialmente venisse eliminato purchè rappresentasse il ruolo di persona affiliata al clan rivale ed infatti, nel caso di specie, l’unico dubbio che era stato sollevato dallo specchiettista E. era quello di sapere se anche F. andava bene per la vendetta e, di fronte alla risposta positiva, si era dato esecuzione all’ordine. La circostanza che F. assommasse in se anche un’altra causale e cioè quella di dover essere punito, perchè non pagava la droga che acquistava, non escludeva certo la causale principale riferita da tutti i collaboratori e assolutamente logica.

Castaldo quindi può rispondere dell’omicidio come mandante anche se ignorava che la vittima effettiva era diversa da quella in precedenza individuata, visto che aveva dato il suo assenso alla vendetta ed aveva partecipato alla fase organizzativa dell’omicidio.

Il ruolo di E. è molto chiaro, costui viene in gioco in quanto spacciatore del clan e la vittima doveva essere individuata in uno di coloro che, pur appartenendo al clan avverso, si recavano da lui per acquistare droga; il suo ruolo è quindi importante, indipendentemente dal fatto che lo abbia svolto per telefono o di persona.

Del tutto logica è la spiegazione utilizzata dal tribunale secondo il quale la mancanza di comunicazioni tra E. e F. quel giorno era dovuta al fatto che la vittima non si fidava dell’indagato e quindi non aveva preannunciato la sua visita.

Alle chiamate in correità dei due collaboratori si aggiungono come riscontri le dichiarazioni di altri due collaboratori che riferiscono de relato dagli stessi esecutori materiali circostanze sul coinvolgimento dei due indagati riferibili ai due moventi individuati. Queste dichiarazioni per altro smentiscono anche le versioni fornite dagli esecutori materiali in dibattimento sull’esclusione di ogni responsabilità degli attuali indagati. I ricorrenti debbono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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