Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-05-2011) 26-05-2011, n. 21227

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 30 giugno 2010, depositata in cancelleria il 26 luglio 2010, la Corte Militare d’Appello, in parziale riforma della sentenza 9 aprile 2009 del Tribunale Militare di Roma, su appello del Pubblico Ministero, qualificati i fatti contestati sub capo A) (violenza ad inferiore aggravata) e i fatti di cui sub capo B) (minaccia e ingiuria a inferiore aggravata) nella sola fattispecie di ingiuria a inferiore, con le già concesse attenuanti generiche e quella di cui all’art. 48 c.p.m.p. ritenute con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, dichiarava A.A. responsabile di detti reati e, valutato il reato più grave quello di cui sub A), lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione militare, oltre al pagamento delle spese processuali del giudizio.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, era accaduto che la parte offesa, caporal maggiore T. R., riportava in sede, con la macchina di servizio, quale autista, i militari impegnati a Corvara, quando, in occasione di una sosta presso un’area di servizio, scoppiava un diverbio con l’imputato maresciallo dell’esercito, odierno ricorrente, per avere il T., secondo l’ A., indugiato troppo nel fumarsi una sigaretta ritardando così a riprendere tempestivamente il viaggio.

In quel frangente l’imputato inveiva nei confronti del caporalmaggiore pronunciando le frasi che, per l’accusa, concretavano ingiuria e minaccia, assestando altresì uno schiaffo e cercando di colpire il T. con una testata.

Il primo giudice riteneva che, per quanto concerneva le ingiurie, era stato lo stesso A. ad averle ammesse, mentre, per ciò che atteneva le minacce, le medesime in realtà andavano ritenute come rivolte unicamente a ledere il patrimonio morale dell’inferiore, sicchè la supposta violenza, altro non era, per il contesto in cui si era svolta, una concorrente modalità di offesa dell’altrui prestigio e, di conseguenza, doveva farsi rientrare nella fattispecie di ingiuria a inferiore.

Di diverso avviso era invece la Corte di appello la quale, su appello del pubblico ministero, recuperando le dichiarazioni del teste presente al fatto, il maresciallo B. che aveva affermato che il T. era stato raggiunto sul viso da una spinta a mano aperta, riteneva che il gesto fosse comunque connotato dal carattere della violenza essendo finalizzato quantomeno a percuotere l’antagonista sicchè doveva ritenersi integrato il relativo reato contestato sub A).

Sussistente doveva ritenersi altresì il reato di minaccia proferita dall’imputato, il cui contenuto era stato dallo stesso ammesso, giusto l’inequivocabile tenore minatorio.

2. Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Romolo Vignola, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione l’ A. chiedendone l’annullamento per travisamento del fatto e vizi motivazionali; in subordine veniva chiesta la derubricazione del fatto e l’annullamento senza rinvio con assoluzione dell’imputato.

La Corte di Appello aveva infatti prima affermato che le dichiarazioni della parte offesa, in quanto tale, dovevano essere sottoposte a un vaglio più attento da parte del giudicante e poi aveva ritenuto che la percezione del gesto violento dell’imputato da parte del T. come schiaffo dovesse assumere valore preminente.

Il teste B., del resto, non aveva parlato di schiaffo o di un gesto violento, bensì di una spinta a mano aperta non concretante nè violenza o ingiuria, nè tantomeno minaccia.

Inoltre il giudice ha ritenuto falsamente che l’imputato avesse ammesso di aver pronunciato le parole minacciose quando per contro ciò non era rispondente al vero.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.1 – La Corte di Appello, nel riformare la decisione del primo giudice (sul punto cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 6^, 29 aprile 2009, n. 22120, rv. 243946, Tatone e altri, che ha stabilito che in tema di motivazione della sentenza di condanna pronunciata in appello in riforma di sentenza assolutoria di primo grado, il giudice ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di assoluzione e di valutare le ulteriori argomentazioni non sviluppate in tale decisione ma comunque dedotte dall’imputato dopo la stessa e prima della sentenza di secondo grado, pronunciandosi altresì sui motivi di impugnazione relativi a violazioni di legge intervenute nel giudizio di primo grado in danno dell’imputato e da questi non dedotte per carenza di interesse, nonchè sulle richieste subordinate avanzate dall’imputato stesso in sede di discussione nel giudizio di primo grado) ha dato ampio ed esaustivo conto delle ragioni del proprio decidere.

E’ stata, per vero, scrutinata, a conforto delle dichiarazioni della parte offesa, la testimonianza del maresciallo B., il quale ha riferito, a prescindere dalla qualificazione del fatto, di una spinta con la mano aperta sulla guancia, gesto che conservava, in ogni caso, la connotazione della violenza per l’alterazione ancorchè momentanea, della persona fisica della vittima.

Il gesto, ancorchè particolare, era stato così motivatamente ricondotto dal giudice di secondo grado, in modo logico e non contraddittorio, nell’alveo della manipolazione non consensuale e non consentita di una persona, arrecante di per sè una sensazione non solo fastidiosa, ma anche suscettibile di produrre dolore.

Le sollecitazioni difensive sul punto, peraltro, si propongono come una mera rilettura del dato probatorio a fronte di argomentazioni del giudice, lo si ribadisce, da ritenersi immuni da vizi logici e giuridici che, come tali, si sottraggono alle censure in questa sede.

Peraltro, come implicitamente fatto valere dal giudice territoriale, il gesto andava "letto" nel contesto complessivo della condotta tenuta dal prevenuto che non si era esaurita nel profferire frasi ingiuriose (e nello schiaffo a mano aperta), ma anche nel tentativo di assestare all’inferiore una testata, gesto anche questo, dalla sicura connotazione aggressiva e violenta.

3.2. – Quanto alla diversa lettura delle dichiarazioni dell’imputato, che secondo la difesa, non sarebbero ammissive di responsabilità (circostanza di per sè di modesto rilievo nell’ambito del compendio di prova evidenziato dal giudice), deve rilevarsi che il ricorrente, nella confutazione dell’opposto assunto del giudice, è venuto meno all’onere di autosufficienza e specificità del ricorso non avendo riportato il contenuto del relativo verbale di interrogatorio nè individuato i passi ritenuti significativi da sottoporre al vaglio da parte di questa Corte.

4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *