Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04-05-2011) 26-05-2011, n. 21036 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza in data 17 dicembre 2009 la Corte di Appello di Napoli rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione proposta da S.R., il quale era stato sottoposto a misura cautelare carceraria dal 2 al 30 settembre 1996 ed agli arresti domiciliari da tale ultima data al 5 maggio 1997. Rilevava la Corte territoriale che il richiedente era stato tratto in arresto in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli, in quanto indagato per concussione, peculato e detenzione illegale di sostanze stupefacenti. Il Collegio chiariva che l’agente di polizia penitenziaria S.R., condannato in primo grado per i delitti di concussione e peculato, era stato assolto da ogni imputazione dalla Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 4.12.2007, divenuta irrevocabile il 19.1.2008. Il giudice della riparazione rigettava la richiesta che occupa, osservando che l’intervenuta privazione della libertà personale era nel caso attribuibile a colpa grave del richiedente.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione S.R., a mezzo del difensore, deducendo la contraddittorietà della motivazione rilevabile dal testo del provvedimento impugnato. L’esponente rileva che gli argomenti posti a fondamento del rigetto dell’istanza di riparazione contrastano con quanto accertato dalla sentenza assolutoria pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli; il giudice della cognizione, infatti, aveva considerato che gli agenti di Polizia Giudiziaria possono prendere notizia dei reati anche di propria iniziativa, ai sensi dell’art. 55 c.p.p.; e che non apparivano rilevanti, al fine di ritenere la sussistenza della concussione, la mancanza di autorizzazione da parte dei superiori gerarchici per l’operazione contestata agli imputati.

L’esponente assume che il comportamento posto in essere dal S. risulti legittimo, in quanto conforme alle richiamate disposizioni normative; e che la colpa grave, ostativa al diritto all’equa riparazione, non può mai essere ravvisata in comportamenti intrinsecamente leciti. Sotto altro aspetto, il ricorrente osserva che la Corte territoriale non ha specificato in che termini la condotta posta in essere dal S., se pure connotata da negligenza, abbia dato causa, con rapporto sinergico, alla emissione del provvedimento cautelare; tenuto conto del fatto che sin dal momento dell’arresto S. ebbe a riferire agli inquirenti tutti gli elementi a sua discolpa.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, rilevato che l’esponente propone censure manifestamente infondate, ha chiesto che la Suprema Corte dichiari l’inammissibilità del ricorso. La parte ha depositato memoria.

Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.

Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Il giudice della riparazione, cioè, ben può rivalutare (non ai fini dell’accertamento della penale responsabilità ma) ai fini dell’accertamento del diritto alla riparazione i fatti accertati o non esclusi dai giudici del merito (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27397 del 10/06/2010, dep. 14/07/2010, Rv.

247867). E la giurisprudenza di legittimità ha in particolare chiarito che il piano valutativo del tutto diverso tra le condotte da considerare per la sussistenza delle condizioni per la liquidazione dell’equo indennizzo e gli elementi posti a base della decisione da parte del giudice della cognizione dimostra che tutti gli elementi probatori devono essere rivalutati, in quanto, pur se ritenuti insufficienti ai fini della dichiarazione di responsabilità, possono essere tali da configurare il dolo o la colpa grave, soprattutto nel momento dell’emissione della misura cautelare personale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10987 del 15/02/2007, dep. 15/03/2007, Rv. 236508).

Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

4.1 L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente nella linea del suddetto quadro interpretativo. La Corte di Appello ha considerato che l’esponente, unitamente ad altri agenti di Polizia Penitenziaria, senza avere avuto alcuna disposizione dai superiori gerarchici, si era recato in più occasioni presso una discoteca entrando gratuitamente in base alla qualifica; e che all’interno del locale aveva effettuato operazioni volte ad accertare il possesso di sostanze stupefacenti da parte dei frequentatori della discoteca, procedendo a perquisizioni, anche con modalità violente, ed al sequestro di alcune pastiglie di ecstasy e denaro. La Corte territoriale ha evidenziato che in nessun caso erano stati redatti verbali o annotazioni di servizio; che le pastiglie contenenti sostanze stupefacenti non erano state repertate e che, nel giudizio di secondo grado, tutti gli imputati erano stati definitivamente assolti per carenza di prova sulla responsabilità personale.

La Corte di Appello ha considerato che non potevano essere messi in discussione gli esiti processuali sulla irrilevanza penale di perquisizioni e sequestri non autorizzati e sulla mera rilevanza disciplinare della condotta; ed ha conferentemente osservato che la condotta posta in essere dall’istante, come accertata, era connotata da rilevanti profili di violazione dei doveri inerenti alla funzione:

ingresso in discoteca gratuito per procedere ad attività di ricerca di droga non rientrante nei compiti di istituto ed in assenza di alcun incarico al riguardo; attività di perquisizione e sequestro di sostanze stupefacenti, con omissione di qualsiasi relazione di servizio fino alla scoperta dei fatti, a seguito di autonoma operazione di polizia giudiziaria, effettuata dalla Polizia di Stato.

Il Collegio ha, quindi, rilevato che tali condotte integravano la nozione di colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’equa riparazione. Si osserva che la valutazione operata dalla Corte territoriale trova piena rispondenza nell’apprezzamento dei fatti svolto dal giudice per le indagini preliminari; ed invero, nell’ordinanza applicativa di misure cautelari, resa in data 30.8.1996, il G.i.p presso il Tribunale di Napoli aveva individuato le seguenti condotte poste in essere dal richiedente, quali antecedenti causali rispetto alla applicazione della estrema misura richiesta: l’effettuazione di un servizio antidroga non richiesto da alcuna Autorità e senza preavvisare alcuna Autorità a ciò preposta; l’espletamento di perquisizioni ed il sequestro di sostanze stupefacenti senza la predisposizione dei relativi verbali;

l’esercizio di violenza fisica in danno delle persone sottoposte a controllo. Ed il G.i.p. aveva pure sottolineato che le dichiarazioni rese dal S., a giustificazione del proprio operato, evidenziavano la sussistenza di specifiche esigenze di cautela, date dal pericolo di inquinamento probatorio.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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