CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE – SENTENZA 4 settembre 2008, n.34620 STUPEFACENTI: LAVORO AL POSTO DEL CARCERE PER IL FATTO DI LIEVE ENTITÀ

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Ritenuto in fatto e in diritto

1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Sassari, in sede di giudizio abbreviato, ha condannato S. P. alla pena di quattro anni di reclusione ed euro 18.000 di multa per il delitto di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/1990, sostituendo la pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità, così come previsto dal comma 5-bis dell’art. 73 cit., introdotto dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49.

2. Il procuratore generale presso la Sezione distaccata di Corte d’appello di Sassari ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge e omessa motivazione in relazione ai criteri di applicazione dell’art. 73 comma 5-bis d.P.R. 309/1990.

In particolare, parte ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto che unico presupposto per l’applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sia la configurazione del fatto come di lieve entità, mentre la norma richiede anche che il fatto sia commesso da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti.

Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia che la disposizione in questione non attribuisce diritti, né prevede che la trasformazione della pena avvenga automaticamente, in presenza dei presupposti di legge, in quanto è il giudice che, caso per caso, utilizzando i criteri indicati dall’art. 133 c.p., deve valutare se procedere o meno alla sostituzione. Valutazione che, nella specie, risulta del tutto omessa, nonostante a carico dell’imputato risultino due condanne per violazione della legge sugli stupefacenti.

3. Il ricorso è infondato.

3.1. Il comma 5-bis dell’art. 73 prevede la possibilità di applicare, in luogo della pena detentiva, la sanzione del lavoro di pubblica utilità, che consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti ed organizzazioni di assistenza e di volontariato e presso le strutture private autorizzate ai sensi dell’art. 116 che svolgono attività sanitarie e socio sanitaria a favore di soggetti tossicodipendenti.

Si tratta di una sanzione che, comportando un’attività lavorativa, può essere applicata solo ove vi sia il consenso dell’interessato, il quale dovrà farne espressamente richiesta e poiché la disposizione non ripropone il meccanismo di formazione progressiva della sentenza, così come invece è stato previsto dall’art. 33 del d.lgs. 274 del 2000, si deve ritenere che l’imputato potrà formulare la richiesta in via subordinata, come è avvenuto nel caso in esame.

La norma collega la possibilità di applicare il lavoro di pubblica utilità ai seguenti presupposti: a) condizione di tossicodipendente o di assuntore di stupefacenti; b) sentenza di condanna o di patteggiamento che ritenga l’attenuante del fatto lieve; c) richiesta dell’imputato; d) non sussistenza delle condizioni per concedere la sospensione condizionale della pena.

Secondo parte ricorrente il giudice di merito avrebbe omesso di valutare la sussistenza della condizione di tossicodipendente del P., ma al riguardo deve rilevarsi che tale condizione è stata, sia pure implicitamente, presa in esame nella sentenza impugnata, in quanto dagli atti del processo risulta che all’imputato è stata sostituita la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari presso la Comunità terapeutica “Associazione Primavera” e che nel relativo provvedimento si è dato atto della sua condizione di tossicodipendente. In sostanza, la sentenza impugnata non ha omesso di valutare il presupposto soggettivo che può dar luogo alla sostituzione della pena detentiva, piuttosto ha dato per scontato la condizione soggettiva dell’imputato, rinviando per relationem agli atti processuali dai quali lo stato di tossicodipendenza appariva evidente e non oggetto di contestazione, neppure dal pubblico ministero d’udienza.

3.2. Quanto all’altro profilo del ricorso, con cui si censura la sentenza per non avere esplicitato in base a quali criteri si sia deciso di procedere alla sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità, si rileva che il giudice ha operato una corretta valutazione al riguardo, facendo riferimento alla lieve entità del fatto, così come prescritto dall’art. 73 comma 5-bis del d.P.R. 309/1990. Non vi è stato alcun automatismo nel meccanismo attivato dalla richiesta dell’imputato – come sostiene il ricorrente -, in quanto il giudice ha ritenuto di procedere alla sostituzione dopo avere considerato la lieve entità del fatto contestato, sulla base di una opzione che non è suscettibile di controllo in sede di legittimità, qualora sia fondata, come nel caso di specie, sulla corretta applicazione della normativa.

4. In conclusione, il ricorso del procuratore generale deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *